La guerra in Congo, l’intrico dei Grandi Laghi

Condividi su...

Si scrive Repubblica Democratica del Congo, ma si legge in mille altri modi, iniziando da Pechino, passando per Washington e Parigi, e arrivando nella gran parte dei  paesi dell’Africa sub-sahariana, dal Rwanda all’Uganda, dal Burundi all’Angola, non dimenticando Tanzania, Kenya, Sudafrica e altri ancora. Le sorti del grande gigante africano – quello sconfinato Congo grande quanto l’intera Europa occidentale – non dipendono da ancestrali odi tribali, da quel presunto innato piacere tutto africano di scannarsi non appena possibile: dipendono invece da calcoli politici e economici assai schietti, che giocano un ruolo di primo piano nello scacchiere dei Grandi Laghi africani.

L’emergenza umanitaria denunciata dalle più grandi organizzazioni internazionali e dalle stesse Nazioni Unite è solamente la parte visibile – e più terribile – di uno scacchiere che non può essere interpretato puramente con chiavi etniche o tribali. Il futuro dell’intera zona è quanto mai incerto, ma – quali che siano gli sviluppi dei prossimi giorni e delle prossime settimane – sarà bene non dimenticare alcuni dati di fondo.

La Repubblica Democratica del Congo è un paese vastissimo, potenzialmente in grado di assumere un ruolo centrale, di guida e di trascinamento, dell’intera area dei Grandi Laghi, se non addirittura dell’intero continente. E’ un paese vasto e (potenzialmente) altrettanto ricco: giacimenti e miniere rendono le sue aree orientali – non è certo un caso, proprio quelle flagellate dalla guerra… – appetibili e appetite da molti. Risorse naturali che sono state a lungo depredate durante la guerra del 1998 – 2003 (ma ancora oggi in buona misura lo sono), soprattutto da parte dei paesi immediatamente confinanti, l’Uganda e il Rwanda. Le elezioni del 2006 hanno segnato un avvenimento epocale nella storia del paese, e il presidente Joseph Kabila è stato il primo ad essere democraticamente eletto dal momento dell’indipendenza dal Belgio fino ad oggi: difficile governare però un paese così vasto e averne un controllo diretto sul territorio, soprattutto in presenza di movimenti ribelli armati di tutto punto. In Congo – anzi nelle sole regioni orientali – ce ne sono una ventina, tutti però integrati negli accordi di pace siglati nello scorso mese di gennaio. Tutti tranne quelli più pericolosi, cioè quelli guidati dall’ex generale dell’esercito Laurent Nkunda, uomo strettamente legato al Rwanda e al suo presidente Paul Kagame. Le rispettive posizioni sono assai chiare: il Rwanda (dove nel 1994 si consumò un genocidio dalle immani proporzioni, con 800mila morti in poco più di tre mesi) accusa il governo congolese di ospitare e di non contrastare le milizie estremiste hutu responsabili del massacro della primavera del ’94 ai danni dei tutsi, e mantiene per questo alta la sua presenza militare (indirettamente anche oltre i propri confini) per esigenze di “sicurezza”. Dal canto suo, Kinshasa accusa Kigali di appoggiare i ribelli e di soffiare sempre sul fuoco della rivolta, sottraendo al contempo ingenti risorse minerarie, traendone indebiti guadagni. Non è davvero un caso, per fare un solo esempio, che il Rwanda figuri come uno dei maggiori esportatori di coltan (il prezioso minerale utile per la fabbricazione dei telefoni cellulari) nonostante sul suo territorio non siano stati individuati luoghi di estrazione significativi.

Il Nord-Kivu, la zona interessata dai combattimenti di queste settimane, è il territorio più ricco di risorse dell’intero Congo, fascia di importanza strategica primaria per il controllo e l’influenza sull’intera regione. Il governo di Kinshasa, che col tempo ha sottoscritto numerosi accordi di estrazione con paesi occidentali, ha di fatto ceduto la gran parte di questi giacimenti alla Cina, in cambio di infrastrutture. La presenza di Pechino nel continente africano è la vera, grande novità dell’ultimo decennio: un cambiamento epocale, per certi versi paragonabile a quello avvenuto prima con gli europei e poi con gli statunitensi: se i primi arrivarono con in pugno le armi (colonizzazione) e i secondi con la mentalità battagliera della guerra fredda, i cinesi stanno espandendosi sul continente con la forza degli accordi commerciali, al grido di “risorse in cambio di infrastrutture” (queste ultime, generalmente, di non impeccabile realizzazione… Il “made in China” è di qualità scadente ovunque, e in Africa non si fanno certamente eccezioni alla regola…). E se europei e statunitensi ancora agiscono anche secondo criteri “politici” (chi rientra nella mia area di influenza e chi no), i cinesi non si fanno scrupoli, e stringono accordi con chiunque: con il Congo così come con il Rwanda e con tutti gli altri paesi della zona. Il generale ribelle Laurent Nkunda accusa di fatto il presidente congolese Kabila di “svendere” le ricchezze del territorio congolese e di sottrarle al suo popolo, che lui invece intenderebbe difendere: e dimentica naturalmente, nei suoi proclami, di ricordare che la sua attività di generale ribelle lo ha portato di fatto alla creazione di un suo “feudo” personale nelle regioni del Congo orientale, con un potere di fatto assoluto sui luoghi controllati dalle sue truppe. Per chi si appassiona al potere, un regno difficile da cedere anche per cifre imponenti come i due milioni e mezzo di dollari che Kinshasa gli avrebbe offerto per mettersi da parte. E un ruolo non di secondo piano lo giocano anche gli altri paesi della zona, da quell’Uganda da sempre alleata del Rwanda in chiave anti-congolese (con i ribelli ugandesi dell’Lra che infatti hanno avuto e in parte hanno tuttora le loro basi su territorio congolese) allo Zimbabwe di Mugabe, che nella guerra del 1998-2003 intervenne a fianco della Rd Congo. Insieme, in questo, all’Angola (si, proprio il paese che Benedetto XVI visiterà nel prossimo mese di marzo 2009). E una influenza, seppur ridotta, ce l’hanno anche il Burundi, la Tanzania, il Sudafrica come paese guida regionale, e molti altri…

In tutto questo, c’è la popolazione locale e ci sono i militari dell’Onu, quelli della “Monuc”: il contingente più imponente dispiegato a livello mondiale dal Palazzo di Vetro, legato da un mandato di mantenimento della pace in appoggio al governo in carica. Compito arduo, quello dei caschi blu, che devono guardarsi dalle diffidenze della popolazione – che li accusa di fare poco o nulla per difendere i civili -, dalla scarsa motivazione dei soldati dell’esercito regolare (i primi a darsi alla fuga di fronte all’avanzata dei ribelli e i primi ad abbandonarsi nella città di Goma a saccheggi e razzie) e dall’inevitabile contrasto con i ribelli di Nkunda, contro i quali i militari Onu hanno usato, inutilmente, anche i loro elicotteri da guerra.

Nel movimento di truppe e di blindati, e in mezzo ai purtroppo usuali crimini che si accompagnano alla guerra, la popolazione civile fugge in cerca di luoghi sicuri: fugge verso Nord e fugge verso Sud, puntando anche verso il Rwanda, pur di non restare in balia dei combattimenti fra esercito regolare congolese (o quel che ne resta) e ribelli filo-ruandesi. La comunità internazionale, nel frattempo, discute: l’Unione europea batte con più solerzia i propri canali diplomatici (e Parigi, presidente di turno, si avvicina ancora di più a Kinshasa) e chiede al contempo l’appoggio degli Stati Uniti e della loro influenza sul Rwanda di Kagame, pedina fondamentale per giungere ad una qualsiasi soluzione del problema. L’emergenza umanitaria è certamente la priorità immediata, ma l’occasione non può essere lasciata passare senza tentare una soluzione complessiva del problema che affligge da ormai troppo tempo la parte più ricca e potenzialmente vitale della Repubblica Democratica del Congo. Un’ulteriore pezza alla situazione già catastrofica, l’ennesima corsa all’emergenza umanitaria, pur certamente moralmente doverosa, non potrà però restituire speranza concreta a quel paese. Stavolta, insieme agli obblighi umanitari, l’asticella deve essere posta più in alto, puntando ad una soluzione convincente nei fatti, oltre che nelle parole. E tutti coloro che hanno influenza sui leader della regione, da Parigi a Washington, devono esser consapevoli che dei Grandi Laghi finalmente stabilizzati porteranno davvero vantaggi a tutti.

Free Webcam Girls
151.11.48.50