Cancellazione del debito. Un problema non risolto

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Oltre 1000 progetti realizzati in Guinea Conakry e Zambia pari a circa 17 milioni e mezzo di euro, poco più della cifra raccolta in Italia nel 2000 durante la Campagna ecclesiale per la remissione del debito estero. A distanza di sette anni c’è soddisfazione a metà perché, nonostante l’esperienza abbia dato i suoi frutti, il problema della cancellazione del debito internazionale nel mondo “non è ancora un capitolo risolto”.

E’ quanto emerso a Roma durante i lavori del convegno su “Debito, giustizia e solidarietà”, a conclusione del lavoro portato avanti in questi anni nei due Paesi africani dalla Fondazione Giustizia e solidarietà della Cei: “Faremo un bilancio di quanto realizzato ma anche delle prospettive future, ha detto aprendo l’incontro mons. Fernando Charrier, presidente della Fondazione Giustizia e solidarietà, in una situazione complicata dal chiaro tradimento degli Obiettivi del millennio, che volevano nel 2015 dimezzare la povertà nel mondo”. Per Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e solidarietà, la campagna ecclesiale sul debito “è stata realmente una occasione per costruire giustizia insieme”.

Con la legge 209 del 2000 sulla cancellazione del debito, grazie alla pressione della campagna, è divenuto infatti possibile partecipare direttamente alle operazioni bilaterali di cancellazione, utilizzando i fondi raccolti per incrementare quelli messi a disposizione dai due Paesi. Dal 2002 ad oggi l’Italia ha cancellato e convertito 7,3 miliardi di euro, in media 1 miliardo di euro l’anno. “Sono soddisfatto ma non è abbastanza, ha precisato Moro. Quello che abbiamo fatto è certo rilevante, ma ha toccato solo due Paesi, e solo in parte. Dimostra però che è possibile costruire rapporti di cooperazione dal punto di vista governativo, con il coinvolgimento della società civile, in modo efficace”. Questa operazione, ha proseguito, “si è caratterizzata per un forte protagonismo locale in Guinea e Zambia, dialogando con noi e nella corresponsabilità. E’ stata una opportunità di cammino comune”.

Dei 17 milioni di euro raccolti in Italia, sette milioni di euro sono già stati spesi in Guinea, in 719 progetti (il 49% in ambito agricolo, il 12% nei diritti e nell’animazione sociale, il 10% nella formazione e micro finanza, il 5% nell’educazione, il 5% nella produzione agricola, il 2% nella tutela ambientale), coinvolgendo almeno 400.000 persone. Il governo guineano si è impegnato ad utilizzare la somma cancellata in favore della lotta alla povertà, versandone 1 milione mezzo nel Fondo guineo-italiano di riconversione del debito. In Zambia, invece, non è stato possibile adottare la stessa soluzione, quindi i 10 milioni di euro a disposizione nei 392 progetti già approvati (coinvolgendo almeno 240.000 persone, soprattutto in ambito agricolo ed educativo) sono in parte da spendere. “Malgrado sia stato cancellato il debito – ha detto Milimo Mwiba, responsabile del Justice and solidarity for poverty reduction fund di Caritas Zambia – il Paese non ha visto ancora grandi benefici, ad esempio nello sviluppo delle infrastrutture, nell’istruzione e nel settore sanitario”.

Saoudatou Diallo Sow, del ministero delle finanze della Guinea Conakry, ha ricordato che “la situazione rimane fragile per tanti Paesi in via di sviluppo, molti indicatori sono peggiorati e la gestione di nuovi prestiti solleva nuove domande”. Inoltre, ha sottolineato, “la situazione internazionale richiede numerosi sacrifici, e con la crisi alimentare e finanziaria dobbiamo essere ancora più vigilanti e attenti”. Anche l’America Latina – come illustrato dall’economista Humberto Ortiz, della Commissione episcopale azione sociale del Perù – farà i conti con la crisi finanziaria mondiale: “In Perù in sole tre settimane abbiamo perso 4000 milioni di dollari di riserve”. Nonostante in America Latina la povertà, negli ultimi vent’anni “sia diminuita a livello quantitativo, ha spiegato Ortiz, sono però aumentate le disuguaglianze e il debito sociale. E comunque il 35% di poveri è ancora una percentuale alta”. Ortiz ha ribadito che “il debito estero continua ad essere insostenibile, soprattutto con la crisi finanziaria” ed ha invocato “il diritto dei popoli all’autofinanziamento dello sviluppo, con la complementarietà della cooperazione internazionale”.

In conclusione Paolo Beccegato, responsabile area internazionale di Caritas italiana, ha sottolineato che “il tema della riduzione e cancellazione del debito non può essere né abbandonato, considerandolo un capitolo risolto, né trattato come un capitolo isolato. Il processo avviato in questi anni ha portato buoni risultati in molti Paesi. Se però, come sta accadendo, aumenta il debito interno, diminuiscono gli aiuti allo sviluppo, non riescono ad ottenere regole commerciali più eque, la sola misura della remissione del debito non è sufficiente”. La Campagna giubilare della Chiesa italiana, a suo avviso, “è stata una grossa operazione dal punto di vista culturale e politico, ma solo una goccia nel mare in uno scenario economico-finanziario di debito internazionale che nel 2000 era pari a 2500 miliardi di euro”. Nell’introdurre le testimonianze dopo il dibattito, Massimo Pallottino, della Fondazione Giustizia e Solidarietà, sull’esperienza di conversione del debito in Guinea Conakry, resa possibile grazie alla Campagna ecclesiale del 2000 e alla creazione in loco di un fondo, il Foguired, che ha gestito i 7 milioni e mezzo di euro destinati a 719 progetti, ha ribadito che: “Il programma del Foguired ha permesso agli abitanti della Guinea di beneficiare dei vantaggi e dello sviluppo derivato da questo fondo. Grazie ad esso le idee sono diventati progetti, ed il desiderio di agire è diventato possibile”.

Tra gli operatori delle organizzazioni non governative che lavorano in Guinea, Fiorella Capasso, della Comunità laici missionari, ha messo in evidenza “il valore della passione, dell’entusiasmo, del coraggio messi al servizio di una campagna, per trasformare il denaro in capitale sociale, beni comuni e giustizia riparatrice”. Per Alessandra Casu, del Cisv-Lvia, due ong impegnate in Guinea in un progetto per rafforzare le strutture locali di prossimità, “il problema non è soltanto inviare fondi, ma vigilare affinché le attività siano ben gestite e durevoli. Quindi diventa molto importante anche la formazione”. Infine Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e solidarietà della Cei, ha presentato il Rapporto sul debito 2006-2008. Dal Rapporto risulta che tutti i Paesi in via di sviluppo avevano nel 1996, 2.023 miliardi di dollari di esposizione debitoria, che nel 2007 sono diventati 3.357 miliardi di dollari: “Ma l’aumento non è per di per sé negativo, ha spiegato Moro, perché i dati comprendono anche Paesi come Cina, India e Russia e il fatto che il debito aumenti potrebbe anche significare che questi Paesi sono diventati più credibili sul piano internazionale. Quindi possono usufruire di nuovi indebitamenti a condizioni sostenibili, per finanziare investimenti positivi per il miglioramento dei Paesi”. Il dato che preoccupa Moro è quello relativo all’Africa sub-sahariana: nel 1996 il debito estero totale era pari a 230 miliardi di dollari, con 15 miliardi di servizio del debito pagato (tasse più interessi).

Nel 2007, pur essendo diminuito il debito a 193 miliardi di dollari, il servizio del debito è salito a 17 miliardi. Moro ha anche ricordato che il numero dei Paesi altamente indebitati coinvolti nell’iniziativa Hipc (33) è stato ‘troppo basso’: di questi 23 hanno terminato il percorso di cancellazione e 10 hanno raggiunto il ‘decision point’, ossia la promessa che i creditori cancelleranno il debito se seguono determinate condizioni. “Sebbene l’iniziativa internazionale sia esistita e sia iniziato un dialogo reale tra società civile e decisori pubblici, ha commentato Moro, per quanto si è fatto è sempre troppo poco in termini di lotta alla povertà”. Un appello particolare Moro l’ha rivolto all’Italia: “Vorremmo che il nostro Paese sia più autorevole ed esigente nelle sedi internazionali – ha auspicato -, purtroppo questo contraddice con la riduzione degli aiuti allo sviluppo allo 0,15% del Pil, che è il minimo storico, ben lontano dall’1% che il governo aveva promesso durante l’ultimo vertice della Fao. Comprendiamo le esigenze di bilancio ma questo nega credibilità ai percorsi politici ed è per noi estremamente preoccupante”. Moro ha invitato inoltre a mettere in piedi iniziative di monitoraggio delle operazioni di cancellazione del debito per “avere la certezza che i soldi vengano usati per finanziare lo sviluppo e non finiscano invece nelle mani di governanti corrotti”. L’auspicio è che ogni Paese giunga ad avere ‘una capacità di autofinanziamento’.

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