Papa Francesco: il perdono non è debolezza

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Giornata prenatalizia al Vaticano con papa Francesco che ha fatto gli auguri al personale della Santa Sede con l’invito a ringraziare il Signore per questo anno, che si sta concludendo, invitando a non dimenticare quando le vicende vanno meglio:

“Prima di tutto dobbiamo ringraziare il Signore, perché, con il suo aiuto, abbiamo superato la fase critica della pandemia. Non dimentichiamo! Quando eravamo nella chiusura dicevamo: chissà come sarà quando saremo liberi di muoverci, di incontrarci, e così via. Poi, appena le cose cambiano, succede che perdiamo la memoria e andiamo avanti come se niente fosse stato.

E magari nemmeno ringraziamo il Signore! Questo non è cristiano e non è neppure umano. No, vogliamo ringraziare perché abbiamo potuto riprendere a lavorare, e anche cercando di superare certi problemi più o meno grandi che si erano creati nel periodo più difficile. Riprendere è un lavoro che dobbiamo fare tutti”.

E’ un invito a non dimenticare il tempo trascorso, in quanto la pandemia ha lasciato alcuni ‘segni’ visibili: “Non solo conseguenze materiali, economiche; ha lasciato anche segni nella vita delle persone, nelle relazioni, nella serenità delle famiglie. E per questo oggi io vi auguro soprattutto serenità: serenità per ciascuno di voi e per le vostre famiglie”.

Quello del papa è un augurio di serenità, additando a modello la santa famiglia di Nazareth: “Serenità non vuol dire che tutto va bene, che non ci sono problemi, difficoltà, no, non vuol dire questo. Ce lo dimostra la Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria.

Possiamo immaginare, quando arrivarono a Betlemme, la Madonna cominciava a sentire i dolori, Giuseppe non sapeva dove andare, bussava a tante porte, ma non c’era posto…

Eppure nel cuore di Maria e di Giuseppe c’era una serenità di fondo, che veniva da Dio, veniva dalla consapevolezza di essere nella sua volontà, di cercarla insieme, nella preghiera e nell’amore reciproco. Questo vi auguro: che ciascuno di voi abbia fede in Dio e che nelle famiglie ci sia la semplicità di affidarsi al suo aiuto, di pregarlo e di ringraziarlo”.

E’ stato rivolto un augurio particolare ai figli dei dipendenti: “Vorrei augurare serenità in particolare ai vostri figli, ai ragazzi e alle ragazze, perché loro hanno risentito molto della chiusura, hanno accumulato parecchie tensioni.

E’ normale, è inevitabile. Però non bisogna fare finta di niente, bisogna riflettere, cercare di capire, perché uscire migliori dalla crisi non avviene per magia, bisogna lavorare su di sé, con calma, con pazienza.

Anche i ragazzi possono farlo, naturalmente con l’aiuto dei genitori e a volte di altre persone, ma è importante che loro stessi siano consapevoli che le crisi sono passaggi di crescita e richiedono un lavoro su sé stessi”.

Inoltre ha chiesto di essere testimoni di pace: “In questo momento della storia del mondo, siamo chiamati a sentire più forte la responsabilità di fare ciascuno la propria parte per costruire la pace. E questo ha un significato particolare per noi che viviamo e lavoriamo nella Città del Vaticano.

Non perché questo piccolissimo Stato, il più piccolo del mondo, abbia un peso specifico speciale, non per questo; ma perché noi abbiamo come Capo e Maestro il Signore Gesù, il quale ci chiama ad unire il nostro umile impegno quotidiano alla sua opera di riconciliazione e di pace”.

Quindi occorre seminare la pace iniziando dai rapporti interpersonali: “A partire dall’ambiente in cui viviamo, dai rapporti con i nostri colleghi, da come affrontiamo le incomprensioni e i conflitti che possono nascere sul lavoro; oppure a casa, nell’ambito familiare; o anche con gli amici, o in parrocchia. È lì che noi possiamo essere concretamente testimoni e artigiani di pace”.

Ed ha chiesto di seminare pace attraverso gesti concreti: “Seminare pace. E come? Per esempio: evitando di parlare male degli altri ‘dietro le spalle’. Se noi facessimo questo soltanto, saremmo creatori di pace dappertutto!

Se c’è qualcosa che non va, parliamone direttamente con la persona interessata, con rispetto, con franchezza. Siamo coraggiosi. Non facciamo finta di niente per poi sparlare di lui o di lei con altre persone. Cerchiamo di essere sinceri e onesti. Facciamo la prova e vediamo che questo andrà bene”.

Mentre alla Curia il papa ha sottolineato il bisogno della conversione: “Convertirsi è imparare sempre di più a prendere sul serio il messaggio del Vangelo e tentare di metterlo in pratica nella nostra vita.

Non è semplicemente prendere le distanze dal male, è mettere in pratica tutto il bene possibile: questo è convertirsi. Davanti al Vangelo rimaniamo sempre come dei bambini bisognosi di imparare. Presumere di avere imparato tutto ci fa cadere nella superbia spirituale”.

E conversione significa rendere attuale il Vangelo, come ha insegnato il Concilio Vaticano II: “La conversione che il Concilio ci ha donato è stato il tentativo di comprendere meglio il Vangelo, di renderlo attuale, vivo, operante in questo momento storico. Così, come più volte era già accaduto nella storia della Chiesa, anche nella nostra epoca come comunità di credenti ci siamo sentiti chiamati a conversione”.

Tale percorso è ancora da concludere, come dimostra la riflessione del cammino sinodale: “Il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo.

E’ l’errore di voler cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma valida sempre. La forma invece deve poter sempre cambiare affinché la sostanza rimanga sempre la stessa.

L’eresia vera non consiste solo nel predicare un altro Vangelo, come ci ricorda Paolo, ma anche nello smettere di tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali, cosa che proprio l’Apostolo delle genti ha fatto. Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo”.

Citando Bonhoeffer papa Francesco ha sottolineato il valore della pace: “Cari fratelli e care sorelle, la cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni.

Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi…

Se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso. San Paolo ci dice chiaramente che la benevolenza, la misericordia e il perdono sono la medicina che abbiamo per costruire la pace”.

La pace si costruisce attraverso la misericordia: “La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti. Anche in questo caso è giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate.

Una Chiesa pura per i puri è solo la riproposizione dell’eresia catara. Se così non fosse, il Vangelo, e la Bibbia in generale, non ci avrebbero raccontato limiti e difetti di molti che oggi noi riconosciamo come santi”.

Ed ecco la necessità del perdono, che non è debolezza: “Infine il perdono è concedere sempre un’altra possibilità, cioè capire che si diventa santi per tentativi. Dio fa così con ciascuno di noi, ci perdona sempre, ci rimette sempre in piedi e ci dona ancora un’altra possibilità. Tra di noi deve essere così.

Fratelli e sorelle, Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi a stancarci di chiedere perdono. Ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono, altrimenti la giustizia diventa vendetta, e l’amore viene riconosciuto solo come una forma di debolezza”.

(Fonte: Santa Sede)

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