Mons. Delpini invita Milano a prendersi cura degli altri

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Nella vigilia della festa di sant’Ambrogio l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, rivolge alla città un discorso in cui ha invitato a non dimenticarsi degli altri amministratori pubblici, politici e responsabili del bene comune che operano nel territorio della diocesi:

“Il linguaggio di Milano e di questa nostra terra è la fierezza di poter affrontare le sfide, è la generosità nell’accogliere e nel condividere, è la saggezza pensosa che di fronte alle domande cerca le risposte, è la franchezza nell’approvare e nel dissentire, è la compassione che non si accontenta di elemosine ma crea soluzioni, stimola a darsi da fare, inventa e mantiene istituzioni per farsi carico dei più fragili”.

Nel discorso alla città (‘E gli altri? Tra ferite aperte e gemiti inascoltati: forse un grido, forse un cantico’), richiamando sant’Ambrogio, l’arcivescovo ambrosiano ha proposto un elogio dell’inquietudine con l’invito a superare la paura:

“Voglio fare l’elogio dell’inquietudine che bussa alle porte della paura. La paura serpeggia nella città e nella nostra terra: è la paura di difficoltà reali che si devono affrontare e non si sa come; è la paura indotta dalle notizie organizzate per deprimere, per guadagnare consenso verso scelte d’emergenza, senza una visione lungimirante; è la paura dell’ignoto; è la paura del futuro.

La paura induce a chiudersi in sé stessi, a costruire mura di protezione per arginare pericoli e nemici, ad accumulare e ad affannarsi per mettere al sicuro quello di cui potremmo aver bisogno, ‘non si sa mai’. Alle porte della paura bussa l’inquietudine con la sua provocazione: e gli altri?”

E’ un elogio ad un’inquietudine per non perdere il sogno: “Voglio fare l’elogio dell’inquietudine che bussa alle porte dei sogni che la città coltiva e realizza, la città che corre, la città che riqualifica quartieri e palazzi, la città che fa spazio all’innovazione e all’eccellenza, la città che seduce i turisti e gli uomini d’affari, la città che demolisce le case popolari e costruisce appartamenti a prezzi inaccessibili”.

L’elogio dell’inquietudine dell’arcivescovo è un invito a vivere nella complessità: “Faccio l’elogio dell’inquietudine perché mi faccio voce della comunità cristiana, della tradizione europea e italiana, della lungimiranza sui destini della civiltà occidentale e, d’altra parte, non ho la pretesa di giudicare sbrigativamente o di disporre di ricette risolutive.

Elogio l’inquietudine perché pensieri, decisioni, interventi siano attenti alla complessità e là dove sembra produttivo e popolare essere sbrigativi e semplicisti, istintivi e presuntuosi, l’inquietudine suggerisca saggezza e disponibilità al confronto, studio approfondito e concertazione ampia, per quanto possibile”.

Quindi l’elogio dell’inquietudine, fatto dall’arcivescovo, è un invito al realismo della speranza: “L’inquietudine non è un’inclinazione depressiva che può paralizzare il pensiero e l’azione nell’incertezza e nello scontento.

E’ piuttosto un rimedio per contrastare la soddisfazione narcisista che si assesta in un egocentrismo rovinoso. Il confronto con ‘gli altri’, l’ascolto del gemito, la costruzione di rapporti fondati sulla stima, sull’attenzione, sulla riconoscenza, sono fattori di quell’umanesimo realista che rende desiderabili la convivenza civile e i rapporti tra i popoli”.

E la speranza non è solo consolazione: “L’inquietudine e il realismo sono le tracce della speranza che è stata seminata nella vicenda umana. Infatti, senza una speranza non si può vivere né si può desiderare di generare vita, di costruire il futuro, di sostenere le fatiche e di celebrare le feste.

La speranza non è un’ingenuità consolatoria, è piuttosto la risposta alla promessa che chiama a desiderare la vita, la vita buona, la vita nella pace, la vita dono di Dio. La gente seria pratica la speranza e accoglie la promessa perché è consapevole del proprio limite radicale, dell’impossibilità dell’autosufficienza e, d’altra parte, non può ammettere l’abbandono dell’impegno o l’immergersi in un ottuso attivismo”.

La speranza apre uno sguardo verso l’avvenire: “La speranza autentica propizia non tanto il futuro (ricercato e voluto con l’ottimismo dell’esito) quanto l’avvenire (atteso e desiderato con la speranza di un senso e di un significato). Non ricerca l’immunità (come difesa dall’altro), ma la comunità (come difesa dell’altro)”.

La speranza è annuncio di speranza: “Voglio perciò fare l’elogio del realismo della speranza che risponde all’annuncio di una promessa. Opera, infatti, nella storia la provvidenza di Dio che è promessa di vita, di vita buona, di vita eterna.

La speranza non si costruisce sulle proiezioni delle statistiche, sulle previsioni degli intellettuali, sulle ideologie. C’è una parola affidabile che rivela che la vita è promettente, che non siamo destinati al nulla, che non siamo una presenza insensata in un universo insensato, ma siamo persone uniche, con una originalità irripetibile, con una vocazione che ci autorizza ad avere stima di noi stessi e ci chiama a mettere a frutto i talenti ricevuti per il bene di tutti”.

La speranza si mostra in molti modi: “E la promessa che autorizza la speranza giunge a noi in molti modi: nel silenzio della meditazione, nell’evento che ci provoca, nelle Scritture che interpretano la storia e annunciano la terra promessa verso la quale l’umanità può incamminarsi. Spesso l’annuncio della promessa sono gli altri, le persone che vivono con noi, le persone che ci vogliono bene, le persone che la vita ci fa incontrare e che sono come messaggeri di insospettate possibilità”.

Ed ecco che l’elogio della speranza si trasforma in elogio della politica: “Voglio fare l’elogio della politica che si esprime nella democrazia rappresentativa, il sistema costituzionale in cui viviamo, esito di un doloroso travaglio, della tragedia della guerra, dell’oppressione della dittatura, della sapienza dei legislatori.

Voglio esprimere apprezzamento e incoraggiamento per tutti i cittadini che in questa politica si impegnano, per quelli che accettano di essere candidati nel servizio delle comunità locali.

L’elogio della democrazia rappresentativa chiede che ci sia un impegno condiviso per contestare e correggere la sfiducia che è presente in chi non vuole essere coinvolto, si chiude nel proprio punto di vista e non si interessa degli altri, pretende che siano soddisfatti i propri bisogni ma non si cura del bene dell’insieme”.

Infatti la democrazia è partecipazione: “Voglio fare l’elogio della partecipazione che non si accontenta di esprimere il voto per il proprio partito e il proprio candidato, ma che discute, ascolta, offre le proprie idee, pretende supporto per le forme di aggregazione e di presenza costruttiva nel sociale per prendersi cura degli altri, soprattutto di quelli che non contano, non parlano, non votano”.

Infatti speranza significa anche la presa in cura: “Voglio fare l’elogio di un sistema che dà agli eletti il mandato di prendersi cura del bene comune chiedendo loro di rendere conto, di promuovere la sussidiarietà, evitando l’anacronistico schema pubblico-privato, e di svolgere un’opera di mediazione tra i diversi interessi.

Voglio fare l’elogio della politica che, volendo rappresentare tutti, si prende cura di chi è più fragile e bisognoso e, disponendo di risorse limitate, considera in primo luogo i servizi più necessari e coloro che non hanno risorse: i disabili gravi, gli anziani soli, le famiglie in povertà”.

In conclusione l’arcivescovo ha spiegato il significato di questi elogi, che conducono alla speranza: “Ho fatto l’elogio dell’inquietudine, del realismo della speranza, della politica: ma si tratta di parole, concetti, auspici.

La verità è che io ho di fronte a me persone, volti, storie, che in ogni momento si lasciano interpellare dagli altri, che ritengono che gli altri abbiano diritto di rivolgersi a loro e di porre domande, di presentare situazioni, di inquietare i sonni.

Non posso perciò tacere l’elogio di voi, amministratori della cosa pubblica nelle amministrazioni comunali, amministratori della giustizia nei tribunali, responsabili dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, uomini e donne di Chiesa, cittadini, voi tutti che sapete chi sono gli altri e ve ne prendete cura”.

(Foto: Arcidiocesi di Milano)

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