Papa Francesco ai disabili parla del ‘magistero della fragilità’

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“La fiducia nel Signore, l’esperienza della sua tenerezza, il conforto della sua compagnia non sono privilegi riservati a pochi, né prerogative di chi ha ricevuto un’accurata e prolungata formazione. La sua misericordia, al contrario, si lascia conoscere e incontrare in maniera tutta particolare da chi non confida in sé e sente la necessità di abbandonarsi al Signore e di condividere con i fratelli”: in occasione della giornata mondiale delle persone disabili, papa Francesco ha scritto una lettera in cui parla di misericordia verso chi si ‘abbandona’ a Dio.

Ma tale misericordia di Dio non è il ‘contentino’ verso chi si sente escluso dalla società; è la consapevolezza di accettare il proprio limite: “Si tratta di una saggezza che cresce man mano che aumenta la coscienza del proprio limite, e che permette di apprezzare ancora di più la scelta d’amore dell’Onnipotente di chinarsi sulla nostra debolezza.

E’ una consapevolezza che libera dalla tristezza del lamento, anche il più motivato, e permette al cuore di aprirsi alla lode. La gioia che riempie il volto di chi incontra Gesù e a Lui affida la propria esistenza non è un’illusione o frutto di ingenuità, è l’irrompere della forza della sua Risurrezione in una vita segnata dalla fragilità”.

Per questo il papa parla di un ‘magistero della fragilità’: “Il magistero della fragilità è un carisma del quale voi, sorelle e fratelli con disabilità, potete arricchire la Chiesa: la vostra presenza ‘può contribuire a trasformare le realtà in cui viviamo, rendendole più umane e più accoglienti.

Senza vulnerabilità, senza limiti, senza ostacoli da superare, non ci sarebbe vera umanità’. Ed è per questo che mi rallegro che il cammino sinodale si stia dimostrando un’occasione propizia per ascoltare finalmente anche la vostra voce, e che l’eco di tale partecipazione sia giunta nel documento preparatorio per la tappa continentale del Sinodo”.

La disabilità, permettendo un nuovo sguardo sulla vita, non diminuisce l’amore di Dio per l’umanità: “Che si tratti di una condizione che riguarda noi, non loro, lo si scopre quando la disabilità, in maniera temporanea o per il naturale processo di invecchiamento, coinvolge noi stessi o qualcuno dei nostri cari.

In questa situazione si inizia a guardare alla realtà con occhi nuovi, e ci si rende conto della necessità di abbattere anche quelle barriere che prima sembravano insignificanti. Tutto questo, tuttavia, non scalfisce la certezza che qualsiasi condizione di disabilità (temporanea, acquisita o permanente) non modifica in alcun modo la nostra natura di figli dell’unico Padre e non altera la nostra dignità. Il Signore ci ama tutti dello stesso amore tenero, paterno e incondizionato”.

E, ricevendo un gruppo di persone con disabilità, papa Francesco ha illustrato lo sguardo di Gesù sulla gente: “Questo era lo sguardo di Gesù sulle persone che incontrava: uno sguardo di tenerezza e di misericordia soprattutto per coloro che erano esclusi dall’attenzione dei potenti e persino delle autorità religiose del suo tempo.

Per questo, ogni volta che la comunità cristiana trasforma l’indifferenza in prossimità (questa è una vera conversione: trasformare l’indifferenza in prossimità e in vicinanza) ogni volta che la Chiesa fa questo e trasforma l’esclusione in appartenenza, adempie la propria missione profetica”.

Nell’udienza ha sottolineato che è necessario rispondere soprattutto ai loro ‘bisogni esistenziali’: “In effetti, non basta difendere i diritti delle persone; occorre adoperarsi per rispondere anche ai loro bisogni esistenziali, nelle diverse dimensioni, corporea, psichica, sociale e spirituale.

Ogni uomo e ogni donna, infatti, in qualsiasi condizione si trovi, è portatore, oltre che di diritti che devono essere riconosciuti e garantiti, anche di istanze ancora più profonde, come il bisogno di appartenere, di relazionarsi e di coltivare la vita spirituale fino a sperimentarne la pienezza e benedire il Signore per questo dono irripetibile e meraviglioso”.

Quindi occorre generare comunità inclusive:  “Generare e sostenere comunità inclusive (questa parola è importante, inclusive, sempre) significa, allora, eliminare ogni discriminazione e soddisfare concretamente l’esigenza di ogni persona di sentirsi riconosciuta e di sentirsi parte.

Non c’è inclusione, infatti, se manca l’esperienza della fraternità e della comunione reciproca. Non c’è inclusione se essa resta uno slogan, una formula da usare nei discorsi politicamente corretti, una bandiera di cui appropriarsi. Non c’è inclusione se manca una conversione nelle pratiche della convivenza e delle relazioni”.

Significa garantire a tutti gli stessi ‘servizi’: “E’ doveroso garantire alle persone con disabilità l’accesso agli edifici e ai luoghi di incontro, rendere accessibili i linguaggi e superare barriere fisiche e pregiudizi. Questo però non basta.

Occorre promuovere una spiritualità di comunione, così che ognuno si senta parte di un corpo, con la sua irripetibile personalità. Solo così ogni persona, con i suoi limiti e le sue doti, si sentirà incoraggiata a fare la propria parte per il bene dell’intero corpo ecclesiale e per il bene di tutta la società”.

E questo vale anche per la Chiesa, come è raccontato nel Vangelo di Matteo: “Auguro a tutte le comunità cristiane di essere luoghi in cui ‘appartenenza’ e ‘inclusione’ non rimangano parole da pronunciare in certe occasioni, ma diventino un obiettivo dell’azione pastorale ordinaria. In tal modo potremo essere credibili quando annunciamo che il Signore ama tutti, che è salvezza per tutti e invita tutti alla mensa della vita, nessuno escluso.

A me colpisce tanto quando il Signore narra la storia di quell’uomo che aveva fatto la festa per le nozze del figlio e non sono venuti gli invitati…Tutti, tutti, tutti! Questo è il Signore: tutti, senza esclusione. La Chiesa è la casa di tutti, il cuore del cristiano è la casa di tutti, senza esclusione. Dobbiamo imparare questo. Noi siamo, a volte, un po’ tentati di andare sulla strada dell’esclusione. No: inclusione. Il Signore ci ha insegnato: tutti… Tutti, tutti. L’inclusione”.

(Foto: Santa Sede)

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