Il dott. Trombetta illustra alcuni casi riguardanti la nullità matrimoniale

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Il giurista F. Trombetta, tutor del gruppo diocesano “Il buon Pastore” di Palermo, illustra i tratti comuni fra esame prematrimoniale ed indagine pregiudiziale alla causa di nullità matrimoniale: “Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di pornéia, e ne sposa un’altra, commette adulterio  (Mt 19, 9)”

La Chiesa, che ha formato i nubendi nel percorso prematrimoniale, come spiega la nullità?

La  rottura di un matrimonio dipende ( vi sembrerà strano) dall’inidoneo approccio di molti fidanzati quando incontrano per la prima volta il sacerdote che consacrerà le loro nozze, pertanto, dobbiamo evidenziare preliminarmente i seguenti chiarimenti di alcuni studiosi di Teologia e di Diritto canonico (con cui sono costantemente in contatto anche sul piano sinodale che qui cito testualmente);

“ Tra gli strumenti pastorali significativi indicati dalla Chiesa nella preparazione alla celebrazione del matrimonio si pone l’E.F, cioè l’esame dei fidanzati (a tal proposito papa Francesco puntualizza al n. 221 di Amoris Laetitia che “Una delle cause che portano alla rottura dei matrimoni è avere aspettative troppo alte riguardo alla vita coniugale).

Questo adempimento giuridico e pastorale è molto importante per accertare che “ nulla “ si oppone alla celebrazione di un matrimonio valido e lecito (cfr. CIC canone 1066). Assicurare la valida e lecita celebrazione è uno dei doveri della cura pastorale (cfr. CIC, c. 1063) per il matrimonio.

I soggetti onorati sono anzitutto coloro che sono chiamati ad ammettere ed assistere alle nozze, ossia gli ordinari (Vescovi e Sacerdoti delegati ad hoc) del luogo ed i parroci.  Il CIC  ( Codice di Diritto canonico) circa l’EF al canone  1067 demanda alle Conferenze episcopali la redazione di norme in merito agli adempimenti canonici da osservarsi prima della celebrazione delle nozze  in primo luogo proprio per quanto concerne l’esame dei fidanzati (EF).

La Conferenza Episcopale Italiana ha provveduto con il Decreto Generale sul Matrimonio Canonico, entrato in vigore il 17 febbraio 1991 (=DGMC). Dell’esame dei fidanzati e del suo contesto trattano l’art. 10 e la prima parte dell’art. 11. In primo luogo il Decreto dichiara lo scopo dell’esame: esso è funzionale a garantire la libertà e l’integrità del consenso e la sua efficacia giuridica per assenza di impedimenti o condizioni ( in merito sottolineo che  la prima sentenza di nullità matrimoniale del Tribunale ecclesiastico di Palermo che un  fedele del nostro gruppo, risposato civilmente da oltre 20 anni con figli con la nostra fedele già  nubile, ha ottenuto nel 2021, sposati in questa parrocchia quest’anno il 5 Maggio 2022, era fondata proprio su questa omissione, non fu richiesta la dispensa episcopale prevista dal CIC, non avendo effettuato i preti un accurato esame dei fidanzati  riguardante il fatto che con la prima moglie erano cugini di primo grado).

«L’esame dei nubendi è finalizzato a verificare la libertà e l’integrità del loro consenso, la loro volontà di sposarsi secondo la natura, i fini e le proprietà essenziali del matrimonio, l’assenza di impedimenti o di condizioni» ex art. 10.

 Aggiunge il Rev.mo Padre Prof.  Domenico Marrone ( Sacerdote dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie. Parroco della Chiesa Matrice in San Ferdinando di Puglia. Docente di Teologia Morale Fondamentale e Teologia Morale Sociale presso l’Istituto Superiore Metropolitano di Scienze Religiose ‘S. Nicola’ a Bari):

“Infatti spetta ai pastori discernere quale sia l’intenzione dei battezzati credenti e non credenti quando chiedono di sposarsi “in chiesa” (in un’altra sentenza ottenuta da altro fedele del nostro gruppo quest’anno a Giugno 2022, il sacerdote non appurò  40 anni fa se i fidanzati erano credenti, per cui la vera intenzione dei nubendi era fondata, ha scritto il giudice ecclesiastico nella sentenza, sulla necessità di lasciare la famiglia d’origine per varie ragioni impellenti, comunque fra qualche settimana celebrerà in parrocchia le nozze con  la moglie con cui è sposato civilmente da oltre 20 anni, con un figlio maggiorenne). 

Può essere, quindi, un tempo favorevole per rinnovare il proprio incontro con la persona di Gesù Cristo, con il messaggio del Vangelo e con la dottrina elaborata dal Magistero della Chiesa. La finalità di questa preparazione consiste, quindi, nell’aiutare i fidanzati a conoscere e vivere la realtà del sacramento del matrimonio che intendono celebrare, perché, lo possano fare non solo validamente e lecitamente, ma anche fruttuosamente, e perché siano disponibili a fare di questa celebrazione una tappa del loro cammino di fede.

Pertanto, quando viene meno la fede personale vissuta (questa grazia che risana e perfeziona la natura, direbbe san Tommaso d’Aquino), è sempre più improbabile che i nubendi abbiano l’intenzione di fare ciò che la Chiesa intende fare quando celebrano il matrimonio e, pertanto, è lecito dubitare dall’inizio della validità del sacramento celebrato in queste condizioni”.(la mia recensione degli articoli pubblicati su internet ricevuti in anteprima dal  mio amico “ Dott. Padre Emanuele Tupputi, Vicario giudiziale del Tribunale diocesano di Trani, Barletta, Bisceglie”).

Il Magistero pontificio legittima le famiglie cosiddette “irregolari”?

Per rispondere correttamente alla domanda dobbiamo fare riferimento ad alcuni documenti, che ritengo utili riportare anche per essere evidenziati durante il discernimento in foro interno ( n. 300 A.L.), facenti parte del Magistero pontificio ( interpretativi della Sacra Scrittura e della Tradizione) che raramente vengono illustrati dai presbiteri ai divorziati che a loro si rivolgono, come hanno spesso riferito  le 25 coppie accompagnate dal 2013 dal nostro gruppo diocesano “il buon Pastore” di Palermo ( illustrato nelle precedenti interviste qui pubblicate), incomunicabilità confermata anche durante la mia  Catechesi del 27 Novembre 2022 dal titolo: ‘Dopo 2000 anni Il Magistero pontificio legittima le coppie di cattolici separati, divorziati, conviventi o risposati?: il matrimonio canonico nullo’.

 Mi riferisco in particolare  al  Catechismo della Chiesa Cattolica ( C.C.C.  promulgato con la Costituzione Apost. “Fidei depositum” dell’ 11/10/1992  da Papa San Giovanni Paolo 2^) ed al   Codice di Diritto canonico (CIC  promulgato con la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges del  25/1/1983 anche da Papa San Giovanni Paolo 2^).  A tal proposito la DEI VERBUM  n. 9 (la Costituzione dogmatica  del  Concilio Vaticano II del 1965) sottolinea che la sacra Tradizione e la sacra Scrittura scaturiscono dalla stessa divina sorgente e formano un’unità organica. Pertanto  i nn.76 e 77 del  CCC puntualizzano che  “La trasmissione del Vangelo, secondo il comando del Signore, è stata fatta in due modi:

a)Oralmente ( denominata Tradizione)« dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, negli esempi e nelle istituzioni trasmisero ciò che o avevano ricevuto dalla bocca, dalla vita in comune e dalle opere di Cristo, o avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo »;

b)Per iscritto (Sacra Scrittura/Bibbia), « da quegli Apostoli e uomini della loro cerchia, i quali, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, misero in iscritto l’annunzio della salvezza »….continuata attraverso la successione apostolica..

  « Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i Vescovi, ad essi “affidando il loro proprio compito di magistero ( n. 77)….

 In tal modo la comunicazione ( n. 79)  che il Padre ha fatto di sé mediante il suo Verbo nello Spirito Santo, rimane presente e operante nella Chiesa: “Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa (cioè la Chiesa) del suo Figlio diletto ( Gesù Cristo), e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo (cioè gli sposi nel matrimonio sacramentale devono ispirarsi e conformarsi a questa concezione cristiana)”.

Conseguentemente il n. 85 conferma che « L’ufficio di interpretare autenticamente (cioè ermeneutica, esegesi) la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivente della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo », e cioè ai Vescovi in comunione con il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma (il Papa).

Il  canone CIC n. 747 §2 sancisce che “ È compito della Chiesa (costituita dal popolo di Dio, cioè  i fedeli credenti, chierici e laici) annunciare sempre e dovunque i princìpi morali ( riguardanti anche il divorzio) anche circa l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana (compresa quella delle famiglie cosiddette irregolari, ecc.), in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime.

Per San Paolo questi diritti si fondano sulla comune fede in Cristo Gesù. Lo affermava anche nella Lettera ai Galati (3, 26-28).: << Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.>> .

Il Can. CIC 754  sancisce che “Tutti i fedeli sono tenuti all’obbligo di osservare le costituzioni e i decreti, che la legittima autorità della Chiesa propone per esporre una dottrina (per esempio le  Esortazioni apostoliche post-sinodali Familiaris Consortio di PAPA S. Giovanni Paolo 2^ del 1981, l’ Amoris Laetitia del 2016 e la nuova Costituzione della Santa Sede del  19 Marzo 2022 di Papa Francesco che confermano l’esigenza dell’ integrazione ecclesiale dei divorziati risposati) e per proscrivere opinioni erronee; per ragione speciale, quando poi le emanano il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi”.

Il Catechismo Chiesa Cattolica  al n.2384 sancisce “ Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto, liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte. Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente..  (Dice Gesù Cristo “ Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di pornéia , e ne sposa un’altra, commette adulterio” cfr. Mt 19, 9)”.

Conseguentemente Papa Francesco al n. 292 A.L. conferma “Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società.

Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo. I Padri sinodali hanno affermato che la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio”.

Tuttavia il  n. 2383 del Catechismo della Chiesa cattolica  puntualizza che “La separazione degli sposi, con la permanenza del vincolo matrimoniale, può essere legittima in certi casi contemplati dal diritto canonico ( cioè dai  canoni CIC  1151-1155: Can. 1151 – I coniugi hanno il dovere e il diritto di conservare la convivenza coniugale, eccetto che ne siano scusati da causa legittima.  Can. 1153 – §1. Se uno dei coniugi compromette gravemente il bene sia spirituale sia corporale dell’altro o della prole, oppure rende altrimenti troppo dura la vita comune, dà all’altro una causa legittima per separarsi, per decreto dell’Ordinario del luogo e anche per decisione propria, se vi è pericolo nell’attesa. Can. 1154 – Effettuata la separazione dei coniugi, si deve sempre provvedere opportunamente al debito sostentamento e educazione dei figli. Can. 1154 – Effettuata la separazione dei coniugi, si deve sempre provvedere opportunamente al debito sostentamento e educazione dei figli. ) ed aggiunge: “Se il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale”. Inoltre il n. 2386 specifica “Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale….”.

Come disciplina in sintesi il Diritto canonico la rottura del matrimonio religioso?

L’attuale  definizione è contenuta nel  CIC (approvato con la citata costituzione del 1983) :

Canone 1055-§1. Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento (I Sacramenti sono i segni visibili ed efficaci della grazia invisibile di Cristo. In ciascuno di essi è lo stesso Signore Risorto che opera attraverso il ministro, agendo nella vita del credente, che riceve il dono di una nuova dignità e di una nuova grazia santificante per opera dello Spirito Santo). Can. 1056 – Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità.. i coniugi divengono una sola carne….

 Come ho già chiarito nelle precedenti interviste che invito i lettori interessati ad approfondire ( di cui ritengo opportuno comunque  ribadire  la seguente sintesi su richiesta del Dr. Simone Baroncia che ringrazio sempre per la Sua autorevolezza e sensibilità per queste tematiche care al nostro Pontefice),  l’eventuale richiesta di  nullità non è mai certa in quanto  può essere dichiarata o negata  esclusivamente con sentenza del Tribunale ecclesiastico, con la conseguente ‘inesistenza’ (conosco la differente configurazione giuridica, ma la indico per essere compresa da tutti)  del Sacramento dalla data delle nozze.

La nuova disciplina è sancita con Lettera Apostolica in forma di ‘Motu Proprio’ Mitis Iudex Dominus Iesus (MIDI), promulgato da Papa Francesco- sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel Codice di Diritto Canonico (15 agosto 2015) – Norme procedurali (sintesi):Art. 1. Il Vescovo in forza del can. 383 § 1 è tenuto a seguire con animo apostolico i coniugi separati o divorziati..

Egli quindi condivide con i parroci (cfr. can. 529 § 1) la sollecitudine pastorale verso questi fedeli in difficoltà ( al fine di applicare l’Art. 2: L’indagine pregiudiziale o pastorale, che accoglie nelle strutture parrocchiali o diocesane i fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo) per attuare le disposizioni dell’ Art. 4: L’indagine pastorale raccoglie (in un documento specifico, unico nella giurisprudenza ecclesiastica elaborato dal giurista Francesco Trombetta, sulla base interpretativa di A.L. e MIDI, cfr. le  interviste  pubblicate nel 2021 e 2022 da questa rivista cattolica “KORAZYM)) gli elementi utili per l’eventuale introduzione della causa da parte dei coniugi o del loro patrono davanti al tribunale competente, concludendosi anche in parrocchia in via preliminare con l’applicazione dell’ Art. 5 ( Raccolti tutti gli elementi, l’indagine si chiude con il libello, da presentare, se del caso, al competente tribunale ecclesiastico).” A 6 anni dalla promulgazione del motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (=MIDI) di papa Francesco in tema di “Riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del Matrimonio nel Codice di Diritto Canonico”, a 5 anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica sull’amore nella famiglia Amoris laetitia e a seguito dell’anno dedicato dal pontefice alla Famiglia – Amoris laetitia, sentiamo il dovere di porre l’accento su un aspetto fondamentale della riforma introdotta dal romano pontefice che riguarda gli artt. 1-5 delle R.P., testo annesso al m.p..

“Tali Regole (estratto dall’articolo di Carlo Cassano  su “Azione giuridica e dimensione pastorale“ del 15 novembre 2022, tematica elaborata  dal mio amico Dott. Padre Emanuele Tupputi, vicario giudiziale del Tribunale diocesano di Trani, Barletta, Bisceglie che ha istituito nel 2016 un servizio diocesano di accoglienza ed accompagnamento ad hoc ). introducono quindi il nuovo istituto canonico denominato “indagine pregiudiziale o pastorale” che costituisce una delle più importanti novità della riforma matrimoniale e che ha notevoli risvolti pastorali. È bene ricordare che tutta la riforma del successore di Pietro ha come fine la preoccupazione della salvezza delle anime, scopo supremo delle Istituzioni e ad esso si devono adeguare tutte le leggi della Chiesa”.

Quali sono le circostanze giustificative del divorzio contemplate in Amoris Laetitia?: la “porneia “ (Mt 19, 9)

Mi chiedo propedeuticamente se i Teologi ed i Canonisti (chierici e laici)  condividano il fatto che  un cattolico possa essere  considerato soggettivamente incolpevole di un “peccato” (oggettivamente esistente) alla stessa stregua di un “reato” di cui il soggetto non è considerato, in base all’elemento psicologico, responsabile, per cui occorre effettuare un’analisi  dei 2 comportamenti (entrambi fatti che “prima facie”  violerebbero norme giuridiche e morali).

Tale spinosa problematica è emersa in particolare per alcune  puntualizzazioni formulate dall ’ Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia”  (nn. 301,302,303) elaborata, com’è noto, dal nostro amato Papa Francesco, per cui, come Tutor del gruppo diocesano “Il buon Pastore”

(http://www.pastoralefamiliare.arcidiocesi.palermo.it/il-buon-pastore/)  e studioso di Teologia, Diritto ed Antropologia criminale (già docente alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, già dirigente presso Organo giurisdizionale) ritengo necessario, per rispondere adeguatamente a tale quesito, prospettare   una  comparazione fra “peccato e reato” riportando testualmente le formulazioni di base (gli elementi oggettivi, gli elementi soggettivi, l’imputabilità, le circostanze attenuanti la responsabilità, le cause di giustificazione determinanti in alcuni casi  la insussistenza del reato e del peccato ).

Aggiungo che siffatta “questio iuris” fu approfondita, fra l’altro, in  una dotta ed esaustiva  relazione del Presidente emerito  della Suprema Corte di Cassazione dello Stato “Città del Vaticano” da me recensita in un   sito cattolico (“https://gloria.tv/post/8WTi7XQgAziZ2dEL6jqZni9h1), su cui ho imperniato, fra l’altro, ripeto, la mia catechesi svolta domenica 27 Novembre 2022 presso la Parrocchia Annunciazione del Signore di Palermo, dove ha sede il nostro gruppo dal 2013, formato dalle coppie di cattolici separati, divorziati, conviventi o risposati.

Entrando nel merito evidenzio che la dottrina afferma che  è inoppugnabile che la maggior parte dei peccati (mortali e veniali) si identificano con i reati (delitti e contravvenzioni) previsti dal Codice penale, come l’ omicidio (delitto istantaneo), il furto, la truffa, l’associazione a delinquere (reato permanente) ed a volte  con gli illeciti civili (art. 2043 Cod. civ.) ed erariali ( di cui mi occupai quando ero dirigente presso la Procura della Magistratura di controllo).

Tuttavia, si può confermare  in generale che  tutti i delitti sono peccati, ma non tutti i peccati sono reati.

Il reato (delitto e contravvenzione) in senso formale  è quel fatto giuridico, infrattivo della legge penale (principio di legalità), espressamente previsto dal legislatore e al quale l’ordinamento giuridico ricollega come conseguenza, una sanzione (pena).

In relazione alla struttura, il reato è quel fatto umano attribuibile al soggetto (principio di materialità) offensivo di un bene giuridicamente tutelato (da una lesione o, in alcuni casi, anche da una intimidazione) sanzionato con una pena ritenuta proporzionale alla rilevanza del bene tutelato, in cui la sanzione svolge la funzione di rieducazione del condannato.

Il reato, previsto, disciplinato e sanzionato dall’ordinamento giuridico penale si distingue dall’illecito erariale (la cui cognizione spetta alla Corte dei conti), da quello amministrativo ( di norma di natura disciplinare) e da quello civile  ( art. 2043 CC) per  il differente status dell’autore e per la diversa natura della sanzione prevista.

Gli elementi essenziali del reato (in assenza dei quali lo stesso non esiste od è giustificato da alcune circostanze scriminanti come per esempio la legittima difesa, ovvero la responsabilità penale  è diminuita o la sanzione comminata è ridotta in presenza di circostanze attenuanti, per esempio l’aver agito per ragioni morali o umanitarie, ovvero non sussistono gli estremi della piena imputabilità, ecc.) sono:

Il fatto tipico (condotta umana, evento e nesso di causalità che lega la condotta all’evento)

 Imputazione soggettiva del fatto che si risolve in un giudizio sul dolo (intenzionalità) e sulla colpa (in generale si basa sulla valutazione dell’ imprudenza, negligenza ed  imperizia).

Resta confermato ed è  inoppugnabile che la maggior parte dei peccati (mortali e veniali) si identificano con i reati (delitti e contravvenzioni) previsti dal Codice penale, come l’ omicidio (delitto istantaneo), il furto, la truffa, l’associazione a delinquere (reato permanente) ed a volte  con gli illeciti civili (art. 2043 Cod. civ.)  ecc..

 Il Catechismo della Chiesa cattolica chiarisce (CCC 1849) che il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana. E’ stato definito “una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna” [Sant’Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22: PL 42, 418; San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, 71, 6].

Il peccato è un’offesa a Dio (CCC 1850): “Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” ( Sal 51,6 ). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare “come Dio” ( Gen 3,5 ), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è “amore di sé fino al disprezzo di Dio” [Sant’Agostino, De civitate Dei, 14, 28]. Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza [Cf Fil 2,6-9 ].

Com’è noto I peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, come si fa per ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per eccesso o per difetto, oppure secondo i comandamenti cui si oppongono. Si possono anche suddividere a seconda che riguardino Dio, il prossimo o se stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o ancora in peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione. La radice del peccato è nel cuore dell’uomo, nella sua libera volontà ( CCC nn.1855-1861 1874 )

 Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della Legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore. Ilpeccato veniale lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la ferisca. (CCC, 1855).

Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una conversione del cuore, che normalmente si realizza nel sacramento della Riconciliazione: «Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale […] tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc. […] Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. —, tali peccati sono veniali». (CCC, 1856).

Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni:

  • a)una materia grave
  • b)la piena consapevolezza
  • c)il deliberato consenso».(CCC, 1857).
  •  

La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco.

«Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma ( soltanto, esclusivamente) la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà  perdonata » (Mt 12,31). Gli altri 2 elementi si fondano su fattori di natura psico-sociale presi in considerazione dal CCC che cito per confermare il mio assunto riguardante la domanda “de qua”.

Infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica  (CCC nn. 1735, 2352 ) si esprime in maniera decisiva: «L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali».

 In un altro paragrafo fa riferimento nuovamente a circostanze che attenuano la responsabilità morale, e menziona, con grande ampiezza, l’immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali.  Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva  non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza (che non sussistono in presenza dei citati elementi soggettivi/psicologici ) della persona coinvolta  ( “Amoris Laetitia”  nn. 301,302,303).

 A questo punto è doveroso riflettere sulla traduzione di “porneia” (Mt 19, 9):

 “Eccoci di fronte a un passo che ha suscitato una valanga di interpretazioni e commenti e che ha creato una divaricazione persino all’interno delle stesse Chiese cristiane”. Il noto Teologo biblista S. Em. R.ma Cardinale Gianfranco Ravasi ( che ha elaborato i commenti testuali della “Bibbia di Gerusalemme”) ha chiarito magistralmente alcuni rilevanti aspetti ermeneutici. Il prelato si è espresso in materia in modo esaustivo ed evolutivo, formulando preliminarmente  due premesse:

 “a)La prima è estrinseca. Il testo ricorre anche in una delle sei “antitesi” che Matteo colloca nel Discorso della Montagna. In esse si illustra non tanto il superamento, ma la pienezza che Cristo vuole far emergere dal dettato biblico. Sul ripudio matrimoniale egli affermava, citando il versetto del Deuteronomio (24,1) sul divorzio: «Fu detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie – eccetto il caso di pornéia – la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio» (5,32).
b)La seconda premessa riguarda il contesto del nostro passo (19,1-9). In esso Gesù, provocato dai suoi interlocutori che lo volevano mettere in contraddizione con la norma sulla liceità del divorzio «per una qualsiasi mancanza», come si affermava nel Deuteronomio, risale alla Genesi che dichiara l’uomo e la donna destinati a diventare «una sola carne» (2,24). Questo è il progetto divino sulla coppia al quale Cristo si allinea, per cui «l’uomo non deve dividere ciò che Dio ha congiunto» (Matteo 19,6). Quella del Deuteronomio è, dunque, un’eccezione concessa «per la durezza del vostro cuore» (19,8). Gesù, quindi, propone nella sua visione del matrimonio il modello dell’indissolubilità. Ma a questo punto come spiegare l’inciso – da noi lasciato con il termine greco “pornéia “– che presenta un’eccezione? È probabile che qui si sia di fronte a
un elemento redazionale introdotto da Matteo per giustificare una prassi in vigore nella comunità giudeo-cristiana delle origini.

Sarebbe, quindi, una sorta di norma ecclesiale locale che veniva incontro alla domanda rabbinica sull’interpretazione della clausola del Deuteronomio concernente il caso del divorzio «per una qualsiasi mancanza». Nell’ebraismo si confrontavano due scuole teologiche, l’una più “liberale”, incline a concedere un largo raggio di casi di divorzio (rabbí Hillel), un’altra più restrittiva e orientata ad ammettere solo “ l’adulterio come giustificazione per il divorzio”. Quale sarebbe, allora, l’eccezione riconosciuta dalla Chiesa giudeo-cristiana ed espressa con il vocabolo greco “ pornéia “ ? Non può essere, come si traduceva in passato, il “concubinato” non essendo esso un matrimonio in senso autentico, né una generica “fornicazione”, cioè l’adulterio, perché in questo caso si sarebbe usato il termine proprio “moichéia”. Nel giudaismo del tempo esisteva un termine, “zenût”, equivalente alla “pornéia matteana” (“prostituzione”) che indicava tecnicamente le “unioni illegittime”   come quella tra un uomo e la sua matrigna (, condannata già dal libro biblico del Levitico (18,8;20,11) e dallo stesso san Paolo (1Corinzi 5,1). In pratica, anche se non era in uso allora questa fattispecie giuridica, si tratterebbe di una dichiarazione di nullità del matrimonio contratto, linea seguita dalla Chiesa cattolica sui casi di nullità del vincolo matrimoniale precedente (previsto dall’attuale Codice di Diritto canonico). Sappiamo, però, che le Chiese ortodosse e protestanti hanno interpretato l’eccezione della pornéia come adulterio e, perciò, hanno ammesso il divorzio, sia pure limitandolo a questo caso.

In realtà, la visione di Cristo sul matrimonio era netta e radicale, nello spirito di una cosciente, piena e indissolubile donazione reciproca”.

Apprezzando quanto ha  spiegato autorevolmente il  Cardinale Ravasi in riferimento alla traduzione di “porneia” ( unione illegittima ) in presenza della quale si ritiene ammissibile ( senza colpa morale dice l’attuale CCC) il divorzio,  ci rapportiamo a quello che ha puntualizzato Papa Francesco in merito nel citato documento magisteriale ‘Amoris Laetitia’.

 Il n. 241 di A.L. a tal proposito puntualizza “In alcuni casi, la considerazione della propria dignità e del bene dei figli impone di porre un limite fermo alle pretese eccessive dell’altro, a una grande ingiustizia, alla violenza o a una mancanza di rispetto diventata cronica. Bisogna riconoscere che «ci sono casi in cui la separazione è inevitabile.

 A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza».[ nota n.257] Comunque «deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano” (cfr. anche cap. 8) .

 Chiedo umilmente  a chi legge queste mie riflessioni se  una situazione familiare  del genere  (vissuta spesso dalle 25 coppie da noi seguite dal 2013) diventata tale purtroppo col tempo, possa qualificarsi in alcuni casi  una “unione illegittima” (porneia)……giustificativa a pieno titolo del divorzio…..(Mt 19, 9).

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