39ª Udienza del processo 60SA in Vaticano. Va in scena il dejà vu nell’epicedio accompagnato da danze come era il costume greco

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.12.2022 – Ivo Pincara] – Ieri, 30 novembre 2022, nella 39ª Udienza del processo 60SA al Tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano sulla gestione dei fondi riservati della Segreteria di Stato, nell’Aula allestita nella sala polifunzionale dei Musei Vaticani è proseguito l’escussione dei testimoni dell’accusa, mentre il Promotore di Giustizia annuncia a sorpresa che aprirà un nuovo fascicolo sul memoriale dell’accusatore di Becciu.

Lo stiamo dicendo da due anni, che “il meglio deve ancora venire”. In questa farsa di un “processo del secolo a ritmo glaciale”, le sorprese non sono mai mancate e non mancheranno in futuro. L’aveva anticipato – consigliando “di rimanere sintonizzati, poiché potrebbero esserci ancora più conigli che emergeranno dai vari cappelli ecclesiastici” – John L. Allen Jr. su Crux in un articolo del 25 novembre 2022 [QUI], e patatrac, ieri è arrivato un altro botto. Dal suo cappello, il Promotore di Giustizia, Prof. Alessandro Diddi, puntualmente ha fatto uscire fuori due conigliette – in linea con la politica del Supremo, che vuole sempre più donne in primo piano negli affari ecclesiastiche – che avrebbero avuto un ruolo decisivo nell’ispirare Mons. Alberto Perlasca – il teste chiave dell’impianto investigativo e più unico che principale accusatore del Cardinale Angelo Becciu – nel ideare e nel scrivere il memoriale di venti pagine a forma di domande e risposte. Questo famigerato documento non contiene solo le accuse sul porporato, ma anche altre cose relative alle dinamiche gestionali della Curia romana, come pure su alcune su temi che non c’entrano nulla con le imputazioni (ma certamente mirando ad alcuni personaggi non imputati nel processo 60SA), come ad esempio una fondazione del Qatar, l’Ospedale Bambino Gesù o il concerto in Vaticano di Claudio Baglioni organizzata dalla Gendarmeria per l’ospedale a Bangui.

Quanto successo ieri nel Tribunale vaticano nel processo penale per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato, non è stata l’unica sorpresa della giornata.

La prima sorpresa di ieri era il terremoto nella Torre di San Giovanni nei Giardini Vaticani, ovvero, la sede del Dicastero per l’Economia della Santa Sede, dove dopo appena tre anni ha lasciato il Prefetto. Papa Francesco ha accettato le dimissioni presentate da Padre Juan Antonio Guerrero Alves, S.I., “per motivi personali”, come si legge nel Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, effettive dal oggi. Al suo posto il Papa ha nominato l’attuale numero due del dicastero, il Dott. Maximino Caballero Ledo, esperto di finanza internazionale.

Poi, nel pomeriggio di ieri tutti i siti internet del Vaticano, da quello di Vatican News al portale istituzionale Vatican.va, dai Musei Vaticani ai singoli dicasteri della Santa Sede e direzioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, sono andati offline. Alla domanda se ci sia stata in corso un attacco hacker, ieri la Sala Stampa della Santa Sede ha replicato, secondo quanto riferisce l’agenzia ANSA, che, a seguito dei rallentamenti che erano stati notati, “è in corso un’attività di manutenzione della rete. Resta temporaneamente inaccessibile il sito internet Vatican.va. Sono in corso accertamenti tecnici per via di tentativi anomali di accesso al sito”. Oggi, “l’attività anomala continua”, fanno sapere dalla Sala Stampa della Santa Sede, in merito ai tentativi di accesso al sito ufficiale della Santa Sede, Vatican.va, che tuttora risulta di fatto inaccessibile, quanto alla possibilità di navigazione interna. Tale anomalia, si precisa, si protrae ormai “da oltre 24 ore”. Lo staff informatico del Vaticano è al lavoro ininterrottamente per risolvere tale situazione. Gli altri siti collegati al Vaticano risultano, invece, attualmente di nuovo raggiungibili.

Ieri, 30 novembre 2022, nella 39ª Udienza del processo 60SA al Tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano sulla gestione dei fondi riservati della Segreteria di Stato, nell’Aula allestita nella sala polifunzionale dei Musei Vaticani, subito prima della terza parte dell’interrogatorio di Mons. Perlasca, è intervenuto il Promotore di Giustizia, annunciando il deposito di nuovi documenti, che ha riferito di aver ricevuto domenica sulla sua utenza privata dall’utenza di un numero che inizia con 331.

Si tratta di due messaggi inviati dalla Dott.ssa Genoveffa Ciferri al Promotore di Giustizia il 26 novembre 2022 [rispettivamente alle ore 26/11/2022 03:21:49 (UTC+1) e alle ore 26/11/2022 14:35:41 (UTC+1)], accompagnati dalla copia di una lunghissima chat con Francesca Immacolata Chaouqui via WhatsApp, da cui ha estrapolati 126 messaggi. In questi messaggi le due donne discutono come Mons. Perlasca avrebbe dovuto portare la conversazione con il Cardinal Becciu, durante la famosa cena al ristorante Lo Scarpone, su specifici argomenti ai danni del porporato e di come “Perlasca doveva fare ‘il depresso’ da consolare”. Dal materiale inviatogli dalla Ciferri, sono depositati da Diddi anche alcuni file audio di Perlasca, presumibilmente le registrazioni dell’incontro tra lui e il Cardinal Becciu durante la cena, riferisce Emiliano Fittipaldi su Domani oggi.

A margine va rilevato che nel primo messaggio sono state oscurate tre righe, mentre in compenso non sono stati colpite con omissis i riferimenti a Papa Francesco o il numero privato della Chaouqui. Cosa c’era di così “in alto” da nascondere?

Diddi ha riferito inoltre di essere stato più volte “contattato personalmente dalla Ciferri” negli ultimi due anni – come si evince anche dal primo messaggio della Ciferri – “che raccontava alcuni eventi riportati in una relazione di servizio”, specifica Diddi.

Per quasi un’ora la Corte presieduta da Giuseppe Pignatone si è riunita in camera di consiglio per visionare e valutare la “novità” che il Promotore di Giustizia fatto uscire dal cilindro magico, prima che iniziasse la programmata terza parte dell’interrogatorio del “testimone chiave”. I nuovi atti sono stati distribuiti alle parti. Poi il Presidente Giuseppe Pignatone ha riferito in Aula che dai nuovi documenti depositati dal Promotore di Giustizia emergono “messaggi della Signora Ciferri che sostiene di aver suggerito lei a Perlasca i temi del memoriale, e allo stesso tempo sostiene che a lei furono suggeriti dalla Chaouqui”. Questo è il centro di una storia caotica e confusa, tutta da chiarire.

In concreto, i messaggi della Ciferri a Diddi, e la chat tra lei e la Chaouqui, si riferiscano alla questione rimasta in sospeso nell’ultima udienza, caratterizzata da numerosi “non ricordo” da parte di Mons. Perlasca: la questione di chi lo abbia aiutato a redigere il memoriale del 31 agosto 2020. Nel primo messaggio a Diddi, la Ciferri sostiene di aver suggerito lei il memoriale prodotto da Perlasca e che, a sua volta, i temi le sarebbero stati suggeriti dalla Chaouqui. Inizialmente, Mons. Perlasca aveva affermato di aver redatto il memoriale autonomamente. Invece, nella 38ª Udienza [QUI] ha detto di non ricordare chi lo avesse aiutato a scrivere queste pagine impostate in forma di domanda-risposta, in cui vengono affrontato anche temi slegati al processo. Oggi ha dichiarato in aula: “Le risposte sono tutte mie, i temi formulati da Ciferri”. “A me – ha aggiunto, in riferimento a quella che in altre occasioni ha indicato come “amica di famiglia” – aveva detto che il suo interlocutore era un consulente giuridico, un anziano magistrato che si era reso disponibile. Venerdì sera, via di qui, la prima cosa che ho fatto è stata telefonare alla signora dicendo: ‘Mi deve chiarire bene le cose!’. E lei ha detto che era la Chaouqui”. Riferendosi a quest’ultima, Perlasca ha dichiarato: “So chi è, ma non l’ho mai incontrata o avuto colloqui diretti”.

Il Presidente del Tribunale è poi tornato sulla famosa cena di Mons. Perlasca con il Cardinal Becciu del 5 settembre 2020 al ristorante Lo Scarpone – di cui la Ciferri parla dettagliatamente nel secondo messaggi a Diddi, allegando lo chat con la Chaouqui sulla questione, riferendo che sarebbe stata la Chaouqui ad organizzare la registrazione di quanto fu detto, fornendo i dettagli -, chiedendo se fosse convinto o meno di essere intercettato. Mons. Perlasca ha risposto di aver già messo al corrente la Gendarmeria sull’incontro: “Come facevo a sapere se c’era una registrazione? Sarei stato stupito che la Gendarmeria facesse una registrazione sul territorio italiano”.

Da questi aspetti, quindi, secondo quanto ha annunciato Diddi, nasce ora un nuovo fascicolo processuale, parallelo al procedimento principale. Non è stata formulata – per ora – alcuna ipotesi di reato, ha detto Diddi, anche se non ha scartato possibili “iniziative contro Perlasca”. Già nella 38ª udienza [QUI], il Presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone, di fronte alle reticenze e ai ripetuti “non ricordo” del testimone chiave dell’accusa, lo aveva del resto avvertito del rischio di un’incriminazione per falsa testimonianza.

Quindi, il nuovo materiale dà il via ad una nuova indagine e in seguito a questi ultimi sviluppi, a fine udienza il Presidente Pignatone ha annunciato che Genoveffa Ciferri sarà sentita come testimone venerdì prossimo, mentre domani Perlasca, a conclusione così di quattro diverse sedute di interrogatorio, risponderà solo sui contenuti delle chat e sui nuovi documenti depositati dall’accusa.

Da questi documenti risulta che la Ciferri ha scritto al Promotore di Giustizia: “La Chaouqui ci ha manipolato, ci suggerì come scrivere il memoriale”. E ricordiamo che da questo memoriale di Mons. Perlasca iniziò l’indagine, avviata con la denuncia dello IOR e del Revisore Generale.
Dalle carte depositate da Diddi risulta anche che nel marzo 2022 Mons. Perlasca decise di denunciare la Chaouqui con una lettera ai magistrati vaticani, in cui si segnala come “la Signora all’inizio delle attività di indagine sul mio conto mi inviava via telefono messaggi minatori, sottolineando che ero nelle sue mani, e solo lei poteva salvarmi da carcere certo, facendo chiaramente intendere di poter esercitare influenza sugli inquirenti”.

“Così i messaggi della Chaouqui travolgono il processo Becciu”, titola Emiliano Fittipaldi oggi, 1° dicembre 2022 su Domani [QUI] e conclude, che è certo che le dichiarazioni della Ciferri “sono rilevantissime” e che i Promotori di Giustizia “hanno già aperte un fascicolo contro ignoti immaginando manipolazioni e complotti, ma saranno in molti a dovere chiarire se la Chaouqui si è mossa in autonomia nell’operazione Perlasca organizzata per colpire le presunte colpe di Becciu, oppure se è stata consigliata da altri. Se davvero avesse rapporti nelle altissime gerarchie o fossero solo, come crede Ciferri, millanterie. Perché delle due l’una: o Chaouqui per motivi ignoti ha macchinato contro Becciu all’insaputa di tutti gli inquirenti, oppure è ingranaggio di una partita più grande. Tutta ancora da raccontare”.

Genoveffa Ciferri, che nel primo messaggio al Promotore di Giustizia si presentato come “conoscente e sodale della famiglia Perlasca e di Mons. Perlasca”, nel processo è già citata come “amica” di Mons. Alberto Perlasca che si era presentata al Cardinal Becciu come ex membro dei Servizi segreti e che lo avrebbe anche minacciato. Nel suo primo messaggio, inviato a Diddi nella notte tra sabato e domenica, implorando: “Mi inginocchio davanti a Lei e La imploro di aiutare Mons. Perlasca, che oggi sotto l’incalzare delle difese, ha fatto, suo malgrado, la figura del testimone non credibile”. Riferisce che la Chaouqui si vantava di “una stretta collaborazione” con Diddi, “riguardo alle indagini, col promotore Milano, la Gendarmeria, e il Santo Padre stesso, i riscontri che forniva e le informazioni su di Lei e gli altri, erano così puntuali e dettagliate che non facevo fatica a crederle”. La Ciferri aggiunge: “Lei mi teneva anche vincolata ad un debito d gratitudine, perché mi diceva di possedere un’ascendente su di Lei, tanto da averLe dettata la linea delle indagini, che avevano portato alla salvezza di Perlasca da certa condanna”.

Francesca Immacolata Chaouqui ha fatto parte della Pontificia Commissione Referente di Studio e Indirizzo sull’Organizzazione della Struttura Economica-Amministrativa (COSEA) che venne istituita da Papa Francesco il 18 luglio 2013 con lo scopo di raccogliere informazioni in vista della riforma finanziaria. Nominata da Papa Francesco, la Chaouqui finì al centro dello scandalo Vatileaks 2 e fu condannata dal Tribunale dello Stato della Città del Vaticano il 7 luglio 2016 a 10 mesi di carcere (pena sospesa per 5 anni) per concorso con Monsignor Lucio Angel Vallejo Balda nella diffusione di documenti riservati della Santa Sede.

Per propria ammissione ha copiato e portato via l’archivio della COSEA. Poi, secondo quanto riferito da TgCom24 il 6 dicembre 2020 [QUI], durante una perquisizione negli uffici e nell’abitazione di Francesca Immacolata Chaouqui, nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma su alcune maxicommesse da 72 milioni di euro per l’acquisto di 801 milioni di mascherine dalla Cina durante la prima ondata dalla pandemia di Sars-CoV-2, gli uomini del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza di Roma avrebbero trovato documenti del Vaticano su Papa Francesco, sull’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), faldoni sul caso 60SA, e poi timbri con gli stemmi della Santa Sede, sigilli pontifici e pergamene pregiate con in filigrana la parola “Secretum”, utilizzate generalmente dalla Segreteria di Stato o dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. “Sono estranea a tutto”, si era difesa la pierre, che si era detta “sorpresa” per l’inchiesta a suo carico e “pronta a chiarire tutto con i magistrati”. Secondo il quotidiano La Verità, le Fiamme Gialle hanno compiuto delle perquisizioni oltre che nell’abitazione di Mario Benotti, indagato nell’inchiesta e legato alla pierre, anche in casa e nella sede della sua agenzia di comunicazione, la View Point Strategy srl (azienda fondata nel 2016 insieme al marito Corrado Lanino). I finanziari non avrebbero trovato documenti riguardanti società cinesi, ma, in compenso, numerose carte vaticane, sigilli e timbri della Santa Sede, distinte, bilanci, lettere, un quaderno di appunti con versi di poesie ripetuti centinaia di volte e che contenevano, attraverso la sequenza di Fibonacci, un codice per aprire uno scrigno, antiche copie della Divina Commedia e documenti finanziari risalenti anche all’epoca in cui la pierre era membro della COSEA.

La Ciferri, nel suo primo messaggio a Diddi, dice di essersi “resa conto del perché la Sig.ra Chaouqui esercitasse questo tipo di manipolazione” e crede volesse riportare agli inquirenti delle informazioni per carpire la loro considerazione: “A quel tempo era infatti convinta che il Pontefice gli sarebbe stato riconoscente della collaborazione alle indagini, che aveva offerta a titolo gratuito, ma coltivava l’ambizione che la sua Agenzia di Comunicazione, divenisse la portavoce ufficiale del Processo, ricordo che si mostrava molto arrabbiata, e scoppiava in epiteti volgari”, quando gli inquirenti sembravano “non recepire questa proposta, pretendeva anche ne parlaste al Papa”. La Ciferri dice che le scriveva che gli inquirenti “non eravate in grado di capirne l’efficacia, in quanto totalmente inesperti di comunicazione, al contrario di lei”. Afferma di avere “numerosi suoi messaggi in tal senso, e circa l’inesperienza del Papa che, a suo dire, non l’accontentava”.

La terza parte dell’interrogatorio a Mons. Perlasca

Per altre tre ore circa l’ex Responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato è stato interrogato dalle difese, in particolare sulla serie di eventi che ha portato alla compravendita del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, sugli accordi stipulati, sulla sua insistenza a denunciare Torzi, sulle medaglie d’oro e di bronzo, sulle interlocuzioni con diversi personaggi che, marginalmente o direttamente, sono ruotati intorno alla vicenda.

L’interrogatorio a Antonio Di Iorio e Fabio Perugia

Prima di Mons. Perlasca, si è svolto l’interrogatorio a altre due testimoni dell’accusa: Antonio Di Iorio, notaio della Camera Apostolica e Fabio Perugia, ex Portavoce della Comunità ebraica di Roma e Consulente finanziario del fondo Valeur Group. Perugia si è rifiutato di rendere giuramento sul Vangelo, come fanno normalmente i testimoni. “Sono ebreo, non giuro sul Vangelo”, ha detto. Il Presidente Pignatone ha assecondato il diniego e ha replicato: “Dica la verità”.

A Antonio Di Iorio, in particolare, è stato chiesto conto di un documento di autentica totalmente bianco con la firma del Sostituto della Segreteria di Stato, l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, che Fabrizio Tirabassi e Mons. Mauro Carlino avrebbero detto a lui di siglare “d’urgenza” in estate, in qualità di notaio. Di Iorio ha firmato senza controllare, certo che servisse al Sostituto. Un altro documento siglato da Di Iorio, sempre dopo richiesta urgente da parte questa volta di Mons. Perlasca, era una lettera che sembra essere relativa alle mille azioni con diritto di voto nel fondo proprietario del Palazzo del broker Gianluigi Torzi.

Dei rapporti con Torzi ha parlato pure Perugia, per un breve periodo suo socio in una società di cash-back dalla quale si sfilò, proprio per il comportamento del broker: “Non era affidabile, è un affabulator, gestiva le cose in modo confusionario. Ho deciso di andarmene, ma per uscire ci ho messo più di un anno”.

Perugia ha reso noto che le proposte fatte alla Segreteria di Stato di possibili investimenti e anche la proposta di risolvere la situazione del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra che metteva la Santa Sede “in pericolo”, non furono mai accolte né prese in considerazione. “Venivano regolarmente accantonate”.

Ha ribadito le informazioni riferite all’epoca da alcune sue conoscenze professionali su una presunta “asse” tra Tirabassi e Crasso, consulente finanziario della Segreteria di Stato, attraverso la quale Tirabassi avrebbe indirizzava gli investimenti della segreteria di Stato alla Credit Suisse di cui Crasso era dirigente. In cambio Tirabassi otteneva delle fee. Perugia ha ricordato che gli dissero che alcuni di questi compensi “venivano gestiti su Santo Domingo”. Invece ha detto di non ricordare a chi si riferisse quando interrogato nel 2020 dal Promotore di Giustizia parlò di una “Banda Bassotti” tra le mura vaticane.

Ricordiamo che nel novembre 2018, il Sostituto della Segreteria di Stato, Arcivescovo Edgar Peña Parra decide di uscire dal fondo Gof di Raffaele Mincione, viste le perdite in conto capitale e incarica il finanziere italiano basato a Londra, Gianluigi Torzi, di concludere l’acquisto dell’intero immobile, che passa alla società Gutt e Torzi ne diventa amministratore con un contratto di management di cinque anni. A leggere le carte dell’inchiesta dei Promotori di Giustizia, gli inquirenti sembrerebbero non avere dubbi: «Milanese è la figura che unisce tutti gli attori coinvolti in questa vicenda», scrivono in una rogatoria i promotori di Giustizia. «Godendo della fiducia del Santo Padre, ha introdotto in Vaticano persone a lui vicine, anche con precedenti penali». Per i Promotori di Giustizia sarebbe stato Giuseppe Maria Milanese a far entrare il finanziere Gianluigi Torzi nelle Grazie della segreteria di Stato, e successivamente nel disastroso business del palazzo londinese. Dai verbali degli interrogatori in fase istruttorio è emerso che Mons. Carlino ha affermato che il Sostituto Peña Parra dette indicazioni su come agire per l’accordo con Torzi, che poi ha ottenuto 15 milioni per cedere le azioni con diritto di voto (vicenda che per gli inquirenti vaticani configura il reato di estorsione).

Lo sconquassi continuo

Postilla dello Staff del Blog dell’Editore

Da quanto è emerso fino a questo momento, nel sconquassato caso 60SA, è possibile fare alcune osservazioni e tirare alcune conclusioni.

Riguardante Becciu – Da una lettura della nuova documentazione depositata ieri dal Promotore di Giustizia, non viene aggiunta nulla per quanto riguarda i capi d’imputazione riferiti al Cardinale Angelo Becciu, giudicato, condannato, giustiziato, cremato con dispersione delle cenere per mezzo stampa. Non vi è nulla che ha rilevanza penale per quanto lo riguarda. Anche la telefonata “registrata” col Papa, non aggiunge nulla a livello di capi d’imputazione. Quella telefonata ribadisce a tutti che il Papa sapeva-disponeva (come è suo modus operandi) e che Becciu eseguiva in modo fedele e leale. La telefonata, fatta entrare nel processo in modo inopportuno e forzato da Diddi, non aggiunge nulla a livello penale per Becciu. Diddi l’ha voluto umiliare perché non può colpirlo in altro modo e le cose si stanno mettendo male per l’accusa. Come abbiamo riferito [QUI], il Papa concesso a Becciu subito l’Udienza richiesta e – anche se non sappiamo cosa si sono detti – probabilmente si sono chiariti, secondo quanto riferito da Becciu autorizzato dal Papa. Stiamo capendo che il Papa sta “umanamente” salvando Becciu da queste colate di fango mediatico gratuite. Gli Americani lo chiamano operazioni di “character killing”, che non hanno nulla a che fare con il processo penale, ma che partono sempre da Diddi.
Si evince che Becciu – stando agli elementi emerse in 39 Udienze fino ad oggi – non ha colpe penalmente rilevanti. Il problema che hanno ora le menti raffinatissime è come colpire Becciu, in qualsiasi modo affinché non entrasse in un futuro Conclave, tutelando i loro nomi. Considerato che già qualcuno è stato scoperto e la sua copertura è saltata, a breve capiremo chi sono le menti raffinatissime. A breve si capirà chi ha mosso e sta muovendo i burattini, sempre che qualcuno non l’ha già capito. Il Cardinal Becciu a nostro avviso in questo processo rischia “solo” di essere colpevole di aver mandato i fondi in Sardegna a Ozieri. Su questo punto ci siamo già detti, che la questione è di capire se Becciu sapeva oppure no sul reale utilizzo dei fondi stanziati e di come “operavano” i suoi familiari. Su questo punto, oggetto di uno dei capi di imputazione, stanno indagando i magistrati della Procura di Sassari, su rogatorio dei magistrati vaticani.

Riguardante Perlasca – La posizione di Mons. Alberto Perlasca inizia a vacillare anche agli occhi del Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, che non può più difenderlo ad oltranza davanti all’evidenza di un soggetto che dovrebbe essere imputato e messo al banco degli imputati insieme agli altri (come primo e non “inter pares”), come affermiamo dall’inizio. Il Presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, dal canto suo ha più volte richiamato Perlasca durante la sua deposizione, per quanto riguarda l’eventuale reato di “falsa testimonianza”. È chiaro che Perlasca ha preparato il memoriale con qualcuno. Perlasca comanda in Vaticano dal 2009 ma dice che gli altri – sopra di lui e sotto di lui – gli hanno fatto fare tutti gli errori che ha commesso. Perlasca non ha mai colpe di nulla. È sempre colpa degli altri. Ma dai!

Riguardante Chaouqui – Non è da escludere che Francesca Immacolata Chaouqui e Genoveffa Ciferri fanno parte di un’opera di depistaggio pensata male e attuata peggio, come sembra ventilare anche Fittipaldi oggi su Domani [QUI]https://ilsismografo.blogspot.com/2022/12/vaticano-cosi-i-messaggi-della-chaouqui.html. La Chaouqui non è più in Vaticano dai tempi di processo Vatileaks 2. Non ci risulta che la Chaouqui è nella fiducia del Papa. Non ci risulta che la Chaouqui abbia libero accesso in Vaticano e che potrebbe muoversi liberamente all’interno dello Stato. Non ci risulta che la Chaouqui abbia libero accesso alla Domus Sanctae Marthae. Quindi, non può essere stata lei a portare sulla scrivania del Papa la famosa copia inedita dell’Espresso. Lo escludiamo categoricamente. Il fine unico di quell’attività è stato il risultato che le menti raffinatissime volevano ottenere e che hanno ottenuto, il Papa che taglia la testa di Becciu. Per ottenere questo risultato serviva una persona che è nella fiducia del Papa e quindi non può essere stata la Chaouqui.

Riguardante Ciferri – Questo è un personaggio creato da qualcuno in tempi non sospetti. Questa Ciferri ha un ruolo ambiguo in questa storia e ora riemerge in modo ancora più opaco, ma con un tempismo che solo un cieco non può non vedere. Questa donna ha il numero di cellulare privato di Diddi con il quale scambia messaggi. Diddi da tempo riceve i messaggi di Ciferri – come lei afferma e lui conferma in Aula – che prende per oro colato, al punto da “paventare” di far partire un nuovo filone di indagine. Indagine su cosa, non si sa ancora bene e non l’ha specificato. Contro “ignoti” poi.

Fatto è che queste due donne, la Ciferri e la Chaouqui, non portano alcun elemento di rilievo nel processo 60SA in corso, portano solo più caos nello sconquasso del sconquassatore che continua a sconquassare. E sappiamo che il caos è opera del Male. La Marogna in confronto a la Ciferri e la Chaouqui è una santa donna.

Il meglio deve ancora venire.

Lo Staff del Blog dell’Editore

La congiura di Palazzo, il pressappochismo dell’accusa, il desiderio di vendetta
di Sante Cavalleri
Faro di Roma, 1° dicembre 2022


È sensato che la Santa Sede debba esercitare in proprio la giustizia istruendo processi e pronunciando condanne, invece di avvalersi della magistratura italiana, come previsto dai Patti Lateranensi? Tanto più che per istruire le sue cause deve chiedere la collaborazione degli inquirenti italiani per le indagini, e assumere magistrati italiani in pensione per giudicare i suoi imputati. La questione appare di grande attualità in queste ore nelle quali sui giornali si leggono le cronache davvero sconcertanti del processo per l’investimento fallito nel Palazzo di Londra.

La questione dell’opportunità per la Santa Sede di celebrare processi per reati comuni si era già posta con i due cosiddetti processi Vatileaks, ed ora scopriamo che proprio nel secondo di questi affondano le radici dell’attuale dolorosa vicenda giudiziaria che ha portato ulteriore discredito sulla Sede Apostolica, esattamente come i due processi Vatileaks, con l’aggravante questa volta di aver trascinato nella polvere (del tutto innocenti) un cardinale e i suoi familiari e questo – si può dedurre – per una vendetta da parte di una precedente imputata (e condannata) che aveva attribuito all’allora potente Sostituto della Segreteria di Stato, Giovanni Angelo Becciu, la responsabilità delle sue disgrazie.

Questa “verità” è emersa ieri quando si è scoperto che il principale accusatore di Becciu, Mons. Alberto Perlasca, ha formulato le sue accuse dietro istruzioni della Signora Francesca Immacolata Chaouqui, come hanno ammesso lo stesso Perlasca e la Signora Genoveffa Ciferri, che ha fatto da tramite tra la pierre, ed ex membro della Cosea, e il prelato.

Dunque, come scrive il Domani, “i tanti non so e non ricordo che Perlasca qualche giorno fa ha ripetuto in una difficile udienza agli avvocati del cardinale, che domandavano alcune stranezze del memoriale, sono dovuti a un fatto specifico: la decisione di Perlasca di cominciare a collaborare con la giustizia vaticana inchiodando Becciu sarebbe stata indotta da terzi. Cioè dalla Chaouqui (…)” (…).

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