Alcune note dopo l’Udienza privata concessa dal Papa al Cardinal Becciu

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 29.11.2022 – Vik van Brantegem] – Ricevo da Renato Farina una lettera che volentieri pubblico.
Come si vedrà, leggendo, il collega e amico di lunga data è esaustivo nel rilevare «una testimonianza di confusione» che denota «una distanza enorme, incommensurabile, tra il cristianesimo del Papa e la spietatezza torquemadica di un processo senza rispetto dell’imputato».
Una lettera che per gli attenti lettori non richiede ulteriore commento da parte mia, ma solo l’invito alla riflessione.
V.v.B.

Caro Editore e Amico Vik,

mi permetto – vista l’attenzione appassionata con cui Korazym segue il processo detto 69SA – di inviarTi alcune note sul caso, dopo che il Papa ha ricevuto in Udienza privata il Cardinale Angelo Becciu, chiesta e subito accordata.

La cronaca di questi giorni consente di mettere in luce un contrasto radicale tra i modi e gli atti della giustizia di Sua Santità – caratterizzati da una violenza inusitata da parte dell’accusa- e la dolcezza evangelica della medesima “Sua Santità” verso l’imputato cardinale.

Scuserai a questo punto un resoconto degli eventi consumatisi nel piccolo-grande Stato. Parto da ieri e vado a ritroso.

Lunedì 28, di mattina, secondo una prassi inconsueta ma molto bergogliana, il Papa ha voluto che il Cardinale Angelo Becciu, via ANSA, desse notizia dell’udienza privata concessagli sabato intorno alle 6 della sera nella Casa Santa Marta, e il tenore fraterno dell’incontro. Confermando dall’alto, che più in alto su questa terra non si può, la ricostruzione che avevo fornito su Libero degli avvenimenti notevoli che si sono succeduti in Vaticano da giovedì 24 novembre in poi. La mattina di quel giorno, con il consenso del Pontefice, fu diffuso ad alto volume il vocale e con esso la trascrizione della telefonata registrata il 24 luglio del 2022 dal Cardinal Becciu, senza autorizzazione dell’interlocutore: Francesco! Un fatto grave, persino inaudito, se premeditato da un cardinale nei confronti del Vescovo di Roma, autorità di diritto divino. Nessuno tranne Vittorio Feltri ha notato che questa era la mossa di un uomo abbandonato da tutti, e non era un reato, non c’entrava nulla con un processo dove si lavora sulle prove e non sulle emozioni. Aveva chiesto alla nipote di cancellare il file dall’iPad. Comunque anche se siamo in Vaticano, gli eventuali peccati non c’entrano con un dibattimento dove si dovrebbe lavorare sulle prove e non sulle suggestioni. Becciu quel giovedì aveva fatto la fine del gatto in autostrada, si dirà che ad attraversare la strada era stato lui, se l’era cercata. Vero. Ma il Tir guidato dal procuratore del Papa gli è passato sopra con otto ruote.

Il cardinale ha subito chiesto udienza a Francesco. Doveva spiegarsi, chiudere scusa, non sappiamo: questa è roba di coscienza, una coscienza piombata nel buio e senza aria. Una sola era la speranza dell’ex Sostituto della Segreteria di Stato; ritrovare lo sguardo carico di tenerezza del «dolce Cristo in Terra».

Ecco l’agenzia ANSA delle ore 10 e 37 di ieri. «CITTÀ DEL VATICANO, 28 NOV – Il cardinale Angelo Becciu è stato “ricevuto in udienza dal Santo Padre nel pomeriggio di sabato scorso”. Lo riferisce lo stesso cardinale, sottolineando che “è stato, come sempre, un incontro cordiale. Oltre a fornirgli i chiarimenti che ho ritenuto necessari, gli ho manifestato e rinnovato la mia devozione assoluta. Egli mi ha incoraggiato rinnovandomi l’invito a continuare a partecipare alle celebrazioni cardinalizie”. Becciu aggiunge: “il Santo Padre mi ha autorizzato a rendere noto” questo».

Il linguaggio del piccolo prelato è minimalista, molto sardo. Le frasi concordate con Bergoglio paiono limitarsi a ricordare la fin troppo ovvia distinzione tra rapporti umani del Papa e giustizia temporale esercitata in nome del Papa medesimo. Detta così funziona. In concreto genera scandalo. In quanto capo visibile del cattolicesimo e vicario di Cristo il successore di Pietro ha dolcezza e misericordia francescane, pratica il diritto al perdono, come chiave suprema della sua lettura del Vangelo. Come monarca assoluto dello Stato “Città del Vaticano” lascia che, nel suo nome, si pratichi una spietatezza accurata e una costante umiliazione del diritto di difesa, sulla base di “rescripta” (decreti insindacabili della suprema potestà petrina) che premiano costantemente l’accusa, negando i principi del “giusto processo” e in chiara antitesi allo “Stato di diritto”.

Non siamo insomma davanti a una semplice distinzione, che obbedisca al precetto dell’unità dei distinti, ma a una testimonianza di confusione. C’è una distanza enorme, incommensurabile, tra il cristianesimo del Papa e la spietatezza torquemadica di un processo senza rispetto dell’imputato. Il salmo dice: «Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Ps. 85,11); in Vaticano oggi devono ancora darsi un appuntamento.

Il corso di questo processo mette in luce insomma un’insanabile contraddizione tra il messaggio evangelico e la sua concreta applicazione a cinquecento metri di distanza da dove, in Santa Marta, risiede il Papa, e si è probabilmente fermato lo Spirito Santo. Urge rimedio. Tenerezza e ferocia non possono stare insieme. Il Vangelo a targhe alterne somiglia al teatro dell’assurdo.

P.S. Colpisce il racconto che Il Corriere della Sera offre ai suoi lettori e alla platea internazionale degli osservatori, essendo il quotidiano più diffuso e per tradizione autorevole fonte dei sentimenti degli appartamenti “supremi”. Gian Guido Vecchi liquida in modo spiccio la telefonata registrata all’insaputa del Papa «nella quale il cardinale cercava invano di far dire a Francesco che era stato lui ad autorizzarlo a fare le spese per le quali è imputato». Il fatto è – se vogliamo dirla crudamente- che questa è la pura e papale papale tesi dell’accusa. Che dire? Non ci meraviglia neanche un po’.

Tuo

Renato Farina

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