Il Cardinal Zen condannato a Hong Kong

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.11.2022 – Vik van Brantegem] – Il Cardinale novantenne Joseph Zen Ze-kiun, SDB, Vescovo emerito di Hong Kong, e altri cinque esponenti della società civile e del movimento democratico sono stati condannati oggi dal Tribunale di West Kowloon a Hong Kong a una pena pecuniaria, per aver violato l’ordinanza sulle società non avendo registrato il Fondo di soccorso umanitario 612, di cui erano gli amministratori fiduciari.

Il fondo, che ha cessato le operazioni nell’ottobre 2021, ha contribuito a pagare le spese mediche e legali per i manifestanti arrestati a partire dal 2019. Le proteste democratiche del 2019 erano state scatenate da un disegno di legge, poi ritirato, che avrebbe consentito l’estradizione nella Cina continentale dei sospetti di reati. I critici temevano che i sospetti sarebbero scomparsi nel sistema legale cinese opaco e spesso abusivo. L’opposizione si trasformò in mesi di violenti disordini in città.

Il Cardinal Zen era finito sotto indagine nel settembre 2021. Mesi prima, testate giornalistiche di Hong Kong lo accusavano di aver incitato gli studenti a ribellarsi nel 2019 contro una serie di misure governative. Il porporato era stato poi arrestato insieme al legislatore pro-democrazia Margaret Ng Ngoi-yee e alla cantante Denise Ho Wan-sze il 10 maggio scorso dagli agenti della polizia costituita per vegliare sulla sicurezza nazionale cinese, mentre l’ex professore associato aggiunto Hui Po Keung, era già stato arrestato dalla polizia di sicurezza nazionale nei giorni precedenti, mentre stava per prendere un volo per la Germania [QUI]. L’accusa era di “collusione con le forze straniere” a fini eversivi, ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale, imposta da Pechino nel giugno 2020 per spegnere le proteste, formulata dal tribunale di West Kowloon. Erano stati rilasciati poche ore dopo su cauzione dalla stazione di polizia di Chai Wan, dopo esser stati interrogati.

La legge sulla sicurezza nazionale ha paralizzato il movimento pro-democrazia di Hong Kong sin dalla sua promulgazione nel 2020, con molti attivisti arrestati o incarcerati. La città cinese semi-autonoma di Hong Kong, ex colonia britannica, è tornata sotto il dominio cinese nel 1997. L’impatto della legge sulla sicurezza nazionale ha anche danneggiato la fiducia nel futuro dell’hub finanziario internazionale, con un numero crescente di giovani professionisti che hanno risposto alla riduzione delle libertà emigrando all’estero.

L’arresto del Cardinal Zen aveva provocato un’onda d’urto nella comunità cattolica. L’11 maggio, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, aveva dichiarato: “La Santa Sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell’arresto del cardinale Zen e segue con estrema attenzione l’evolversi della situazione”.

La prima udienza del processo si è svolta il 19 settembre scorso e il procedimento si era concluso il 23 successivo. In tutto questo tempo, il Cardinal Zen è rimasto in silenzio e tramite i suoi account social ha chiesto ai followers di pregare per lui. In passato, si era esposto anche in prima persona, criticando il Partito Comunista Cinese per le pressioni e persecuzioni sulle comunità religiose.

In riferimento a certe speculazioni, dopo la sentenza, il Cardinal Zen ha sottolineato che il suo caso non dovrebbe essere collegato alle libertà religiose a Hong Kong: “Non ho visto alcuna erosione delle libertà religiose a Hong Kong”, ha detto.

I sei co-imputati sono stati giudicati e condannati per la violazione dell’ordinanza sulle società che richiede alle organizzazioni locali di registrarsi o richiedere un’esenzione entro un mese dalla loro costituzione. Un reato minore, che prevede una multa fino a 10.000 dollari di Hong Kong (1.200 euro), senza carcere, alla prima condanna. Il Cardinal Zen e quattro co-imputati (la cantante Denise Ho Wan-sze, l’ex professore associato aggiunto Hui Po Keung, gli ex legislatori pro-democrazia Margaret Ng Ngoi-yee e Cyd Ho) sono stati multati ciascuno di 4.000 dollari di Hong Kong (500 euro). Il sesto imputato, Sze Ching-wee, che era il segretario del Fondo 612 è stato multato di 2.500 dollari di Hong Kong (300 euro).

Mentre organizzazioni costituiti “esclusivamente per scopi religiosi, caritatevoli, sociali o ricreativi” possono essere esentati da questo requisito, secondo la corte il Fondo 612 sarebbe stato utilizzato anche per sostenere non solo gli arrestati, ma anche le stesse manifestazioni contrario alle azioni del governo locale e al suo controllo da parte di Pechino. Quindi, emettendo la sentenza, il giudice Ada Yim ha stabilito che il Fondo 612 era da considerare un’organizzazione di natura politica, obbligata a registrarsi in quanto il suo scopo non era puramente di beneficenza. I sei co-imputati si sono dichiarati non colpevoli, ma non hanno deposto né chiamato testimoni.

Dopo la pronuncia della sentenza di condanna, il gruppo parla con la stampa davanti al Tribunale di West Kowloon a Hong Kong, venerdì 25 novembre 2022 (Foto di Anthony Kwan/AP).

Sebbene il Cardinal Zen e gli altri attivisti, anche se accusati, non siano ancora stati imputati per reati secondo la legge sulla sicurezza nazionale, accuse per le quali secondo la stampa locale proseguono le indagini, ed è previsto anche l’ergastolo, l’odierna condanna ha però un chiaro intento dissuasivo verso chi continua a manifestare il proprio dissenso con la svolta autoritaria in corso. L’Avvocato Margaret Ng ha detto ai giornalisti dopo l’udienza che la condanna ha un significato simbolico in quanto è la prima volta che dei cittadini di Hong Kong hanno dovuto affrontare un’accusa ai sensi dell’ordinanza per la mancata registrazione. “L’effetto sulle altre persone, sui tanti, tanti cittadini che si associano insieme per fare una cosa o l’altra, e quello che accadrà loro, è estremamente importante per la libertà di associazione a Hong Kong ai sensi dell’ordinanza sulle società”, ha aggiunto.

Cardinale Zen condannato, una vergogna per la Santa Sede
Editoriale di Riccardo Cascioli
La Nuova Bussola Quotidiana, 26 novembre 2022


La prima condanna inflitta al cardinale Zen dal tribunale di Hong Kong è lieve ma con un grande significato politico e religioso. E a breve ci sarà un secondo processo per “cospirazione” che metterà ancora più in imbarazzo una Santa Sede che continua a mantenere un ingiustificabile silenzio per salvare l’Accordo con Pechino.

Come previsto il cardinale Joseph Zen, insieme ad altri cinque imputati, è stato condannato dal tribunale di Hong Kong al pagamento di una sanzione per non aver registrato in modo corretto un fondo umanitario che ha assistito i protagonisti delle manifestazioni pro-democrazia del 2019. La pena è, tutto sommato lieve, 4mila dollari di Hong Kong (poco meno di 500 euro), quando il massimo della pena sarebbe stato quattro volte più salato, ma ha ovviamente un forte significato simbolico.

Ed è solo l’antipasto, perché il cardinale Zen dovrà a breve affrontare un processo ben più pesante, quello di “collusione” con forze straniere, sempre relativo al sostegno delle manifestazioni pro-democrazia, che la contestata Legge sulla sicurezza del 2020 considera reato molto grave. Anche qui, sebbene sarebbe assai improbabile la carcerazione del cardinale Zen data la sua età avanzata (quasi 91 anni), una eventuale condanna avrebbe comunque un significato politico e religioso enorme. (…)

Il processo e la condanna del cardinale Zen sarebbe già un gesto grave in tempi normali, ma il fatto che a fare da contorno ci sia l’accordo segreto tra Cina e Santa Sede per la nomina dei vescovi, rinnovato appena un mese fa, rende tutta la vicenda uno scandalo enorme. Anzitutto per la Chiesa, che appare sottomessa al regime cinese, Chiesa che è disposta a barattare la propria libertà con il classico piatto di lenticchie di promesse nomine di vescovi, peraltro con il contagocce e fedeli al Partito comunista cinese. E infatti anche davanti a un clamoroso quanto iniquo processo a un cardinale, la Segreteria di Stato vaticana continua a mantenere un ingiustificabile silenzio. Oltretutto dando ragione a chi ritiene che a Roma non siano così tanto dispiaciuti visto che il cardinale Zen – molto critico sull’Accordo Cina-Santa Sede – è personaggio indigesto tanto a Pechino quanto in Vaticano.

Del resto, l’aumento della persecuzione contro i cattolici in Cina non frena in alcun modo il processo di apertura della Santa Sede a Pechino (apertura che appare evidente sia in una sola direzione) ed è difficile dare credito alla Segreteria di Stato vaticana quando continua a sostenere che si tratti soltanto di un accordo religioso: «Siamo stati rassicurati, e rassicurati, e rassicurati che il dialogo tra Vaticano e Cina riguarda solo questioni di tipo religioso, non politico», ha detto nei giorni scorsi alla Bussola il ministro degli Esteri taiwanese Jaushie Joseph Wu.

Ma malgrado la buona volontà di Taipei – con cui la Santa Sede mantiene le relazioni diplomatiche – che vuole collaborare con il Vaticano per favorire la libertà religiosa in Cina, appare abbastanza chiaro che il tema della libertà religiosa è passato in secondo piano a Roma, ed è inevitabile che l’accordo con Pechino abbia immediate ripercussioni politiche. Anche se in luglio la Santa Sede ha nominato un nuovo incaricato d’affari ad interim a Taipei (dal 1972 non risiede più un nunzio nell’isola) nella persona di monsignor Stefano Mazzotti, la mossa è stata controbilanciata dal rafforzamento della “missione di studio” a Hong Kong, che è diventata il vero punto di osservazione e consulenza sulla Cina. (…)

Il cardinale Zen è una figura limpida, un pastore che non ha un approccio politico, ma si è sempre battuto per la libertà della Chiesa e in soccorso ai cattolici perseguitati; un pastore che sta dando la vita per la Chiesa cinese come tanti suoi santi predecessori in Cina. Farlo passare per un vecchio rompiscatole, che non capisce le esigenze dei cattolici cinesi, è solo l’ultima ignominia di una Cupola vaticana di cui, forse non a caso, sta emergendo tutto il marcio in un processo intentato all’interno dello stesso Vaticano.

Il caso Zen – Indice: QUI.

Foto di copertina: il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, SDB, lascia il Tribunale di West Kowloon a Hong Kong dopo la pronuncia della sentenza di condanna, venerdì 25 novembre 2022 (Foto di Anthony Kwan/AP).

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