37ª Udienza del processo 60SA in Vaticano. Prosegue l’escussione dei testimoni dell’accusa. Il primo giorno di Perlasca. “Nuove” accuse contro Becciu e la registrazione di una conversazione con il Papa

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.11.2022 – Vik van Brantegem] – Giovedì 24 novembre 2022 si è svolta nell’Aula del Tribunale vaticano, allestita presso la Sala polifunzionale dei Musei Vaticani, la 37ª Udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, sulla vicenda che ha portato alla compravendita del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra e una vasta gamma di altre questioni, che potrebbe coprire diversi processi, come abbiamo affermato fino a ieri. E con ogni Udienza che passa, mi passa la voglia di occuparmene. Ma poi ricordo il motto di questo quotidiano non profit online: «Testimonium perhibere veritati – Rendere testimonianza alla verità». Vado avanti, andando oltre a quello che appare che non è. E fino ad oggi non ho mancato neanche un’Udienza del processo 60SA vaticano.

«L’anima di questa gente
è in avanzato stato di decomposizione» (Cit.).

Come se non bastassero i ferri che messo nei carboni ardenti, il Promotore di Giustizia vaticano ha notificato alla Corte di aver aperto ancora un altro “filone parallelo all’attuale processo” (quindi, si tratterebbe solo di una variazione sul tema della tragicommedia già in scena per troppo tempo), questa volta – adesso manca veramente solo “l’offesa al Re” a completare l’opera – per “un’ipotesi di associazione a delinquere”. Quanto basta e avanza per fomentare l’ennesima condanna ed esecuzione sommaria del Cardinal Becciu per mezzo stampa. Senza alcuna “ipotesi di innocenza”, viene strombazzato nei telegiornali e titoli di giornale, che è “indagato per associazione a delinquere”. Prima, i media parlavano dei “corvi” di Papa Benedetto XVI. Adesso, Papa Francesco ha i suoi “falchi”.

A questa ennesima colata di fango – che lascia il tempo che trova, ormai ci siamo abituato che il Promotore di Giustizia ciclicamente ci riprova – è arrivata in serata la puntuale reazione del collegio difensivo del Cardinal Becciu.

Comunicato stampa nell’interesse di Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, 24 novembre 2022
Non risultano alla difesa ulteriori accuse, nei confronti del Cardinale Becciu, diverse da quelle attualmente in dibattimento davanti al Tribunale vaticano, rispetto alle quali, con forza e fermezza, egli rivendica la propria innocenza, confidando profondamente nel Giudice terzo.
Il Cardinale sarà in ogni caso pronto a chiarire, con la forza della verità e con il consueto rispetto delle Istituzioni, ogni eventuale ulteriore contestazione.
Avvocati Fabio Viglione, Maria Concetta Marzo

In fondo, in tutte queste colate di fango a cicli programmati, affiora sempre la stessa domanda: «Ma il Papa dov’è?».

Ed ecco, contestualmente arriva il colpo di scena: viene fatta ascoltare in aula la registrazione di una conversazione telefonica del Cardinal Becciu con il Papa (rinvenuta in uno dei telefonini sequestrati dalla Guardia di Finanza della Sardegna durante degli accertamenti nella Diocesi di Ozieri, oggetto di rogatoria), che porta per la prima volta una prova inconfutabile per quello che è stato dimostrato da tempo: che il Papa era informato e approvava in un caso specifico a processo.

La prima parte della 37ª Udienza: il nuovo filone della “ipotesi di associazione a delinquere“ e la registrazione della conversazione telefonica del Cardinal Becciu con Papa Francesco

Nel corso della 37ª Udienza di ieri, il Promotore di Giustizia vaticano, Alessandro Diddi, ha reso noto alla Corte che «c’è un’ipotesi di associazione a delinquere che parte dal Vaticano. Si tratta di un filone parallelo all’attuale processo». Riguardo a chi sia coinvolto in questo nuovo filone di inchiesta, Diddi ha detto: «Sicuramente il Cardinal Becciu», senza precisare gli altri imputati. Il tutto è da ricollegarsi ad una serie di conversazioni via chat sequestrate dalla Guardia di Finanza, e definite «particolarmente rilevanti» da Diddi, di cui sono protagonisti il Cardinal Becciu, Maria Luisa Zambrano e il fratello del cardinale, Antonino Becciu, a capo della Cooperativa Spes. «Ci sono tracce di pesanti ingerenze della Curia Romana sulla diocesi di Ozieri», ha aggiunto Diddi.

Però andiamo in ordine, con pazienza e – come esorta sempre Papa Francesco – con discernimento, non prendendo per oro tutto quello che è giallo e luccica (pensando a racconto “Questa non è una mela”).

Questa non è una mela (Magritte).
«Prendo, disse, un pezzo di terriccio; lo taglio a forma di mela; con l’essenza di mele le do l’odore di una mela; e con della vernice posso darle la buccia e il colore di una mela. Ecco dunque un corpo, che, a giudicare dalla vista, dal tatto o dall’olfatto, è una mela. A questo risponderei che nessuno dei nostri sensi ci inganna in questo caso. La mia vista e il mio tatto testimoniano che ha la forma e il colore di una mela; questo è vero. L’olfatto testimonia che ha l’odore di una mela; è vero anche questo, e non è un inganno. Dove sta allora l’inganno? È evidente che sta nel fatto che, poiché questo corpo ha alcune delle qualità che appartengono a una mela, concludo che è una mela. Questa è una fallacia, non dei sensi, ma di un ragionamento inconcludente» (Thomas Reid, Essays on the Intellectual Powers of Man, Saggio II, Cap. 22, 1785).

Nel giorno dell’interrogatorio di Monsignore Alberto Perlasca, durato 6 ore, il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, presenta alla Corte una “mela”: annuncia la nuova inchiesta: reso noto il contenuto di una telefonata fatta dal Cardinal Becciu a Papa Franceso e registrato da una sua parente, che è tra gli atti di un’indagine della Procura di Sassari. È stato trasmesso in Aula l’audio integrale della conversazione, in cui il Cardinal Becciu chiedeva al Papa di confermare che fosse stato lui ad autorizzare i versamenti alla manager Cecilia Marogna per la liberazione della suora colombiana rapita in Mali. La telefonata di oltre cinque minuti era avvenuta dieci giorni dopo le dimissioni di Papa Francesco dal Gemelli e tre giorni prima dell’inizio del processo, alle ore 14.55 del 24 luglio 2021, nell’appartamento del Cardinal Becciu nel palazzo del Sant’Uffizio, in viva voce e registrata da una parente di Becciu, Maria Luisa Zambrano, alla presenza di una terza persona non identificata. Il “reperto”, così come presentato dal Promotore di Giustizia, è stato rinvenuto nel telefono di Zambrano dalla Guardia di Finanza di Oristano, nell’ambito di una indagine della Procura di Sassari sulla gestione della cooperativa Spes, che fa capo a Tonino Becciu, il fratello del porporato e sulla sulla sua famiglia. La documentazione – di cui fa parte la registrazione telefonica – è stata trasmessa con rogatoria all’Ufficio del Promotore di Giustizia ed illustrata in Aula da Alessandro Diddi, il quale ha spiegato che questo ed altro materiale hanno attivato ora una nuova indagine per “un’ipotesi di associazione a delinquere”, coinvolgendo tra altri anche il Cardinal Becciu.

L’aspetto che maggiormente ha catturato l’attenzione è proprio questa conversazione telefonica tra il Cardinal Becciu e Papa Francesco. Prima che l’audio della telefonata registrata fosse reso noto, è stato fatto uscire dall’Aula il pubblico ma poi il Promotore di Giustizia ha dato una sua interpretazione personale di quella telefonata avvenuta. Secondo quanto riferito da Alessandro Diddi, il Cardinal Becciu avrebbe detto al Pontefice: “Lei mi ha già condannato, è inutile che si faccia il processo”. Sempre a detta di Diddi, Becciu avrebbe chiesto al Papa di confermargli di averlo autorizzato al pagamento per il riscatto della suora colombiana rapita in Mali. “Anche nelle sue dichiarazioni spontanee al processo – ha ricordato Diddi – il Cardinal Becciu ha sempre detto che il Papa era al corrente, invece dalla telefonata il Papa sembrerebbe perplesso. Del resto era passato poco tempo dalle dimissioni dal Gemelli dopo il delicato intervento ed era affaticato”.
Da una chat del 23 giugno 2021, ha riferito sempre Diddi, emergerebbe l’attesa del Cardinal Becciu per una telefonata, o un gesto distensivo del Papa, che però non arriva. In una chat del 13 luglio, ha riferito sempre Diddi, accade qualcosa di diverso: Giovanni Palma, amico della nipote del Cardinal Becciu dice: “Bisognerebbe dare un colpo in testa al Santo Padre”.

Commenta Sante Cavalleri (il Direttore del Faro di Roma): «Una frase orrenda, ma che non si comprende che rilevanza possa avere nel processo se non per tentare ulteriormente di mettere in cattiva luce Becciu».

Scrive Franca Giansoldati sul Messaggero: «(…) dalla conversazione si capisce che conosceva bene il caso e che aveva sostanzialmente acconsentito a ogni passaggio. Il Presidente del tribunale Giuseppe Pignatone ha ordinato ai giornalisti di lasciare l’aula durante la riproduzione della registrazione, in quanto non era ancora stata formalmente ammessa come prova. (…) la registrazione (…) ha avvalorato le affermazioni del Cardinale e di altri imputati secondo cui Francesco era effettivamente a conoscenza, e in alcuni casi ha approvato, molte delle spese oggetto del processo. La legge vaticana non prevede che il Papa possa essere interrogato durante un processo penale, ma gli avvocati della difesa hanno dichiarato di volergli chiedere di tante decisioni finanziarie. Si capirà più avanti se il Presidente del Tribunale ammetterà tra i testimoni proprio Papa Francesco».

Il Promotore di Giustizia, elencando gli atti emersi dalla rogatoria di Sassari, ha riportato anche le dichiarazioni del Vescovo emerito di Ozieri, Mons. Sergio Pintor, scomparso nel 2020, circa i rapporti con la famiglia Becciu che, a suo dire, gestivano la Caritas “a livello familiare”, con tracce di “pesanti ingerenze sulle attività pastorali”. In particolare, Diddi ha riferito che l’allora vescovo della diocesi, Mons. Pintor, era all’oscuro dell’esistenza di un conto sul quale transitavano le somme che giungevano anche da Roma per la cooperativa Spes, gestita dal fratello del Cardinal Becciu, aggiungendo che lo stesso Mons. Pintor avrebbe ammesso che non controllava né la Caritas né la diocesi che, ha riferito, “di fatto erano delle mani della famiglia Becciu”.

Per quanto riguarda la testimonianza di Mons. Pintor, Sante Cavalleri su Faro di Roma ha commentato che «ora l’accusa utilizza un vescovo deceduto per nuove accuse a Becciu» e di «una gestione scandalosa dell’inchiesta»: «Il Promotore di Giustizia vaticano, Alessandro Diddi, non si dà per vinto. Mentre nel filone sul Palazzo di Londra di fatto non emergono reati, ora viene scomodato anche un vescovo deceduto, Mons. Sergio Pintor, ordinario di Ozieri dal 2007 al 2015, per sostenere nuove accuse al Cardinale Giovanni Angelo Becciu ed aprire una nuova indagine».

Il Promotore di Giustizia ha menzionato anche «927 documenti per il trasporto di 18 mila kg di pane prodotto dalla Spes da consegnare parrocchia per parrocchia, per giustificare le somme erogate dalla diocesi alla cooperativa», che sarebbero «risultate falsificate» e molte parrocchie «non hanno riconosciuto come vera la firma apposta alla documentazione».

Commenta Sante Cavalleri su Faro di Roma: «Un fatto spiegabile forse con la scarsa attenzione alla burocrazia da parte dei volontari, ma certo non molto rilevante e tanto meno riferibile a un cardinale di Santa Romana Chiesa».

«C’è poco da scegliere
frammezzo alle mele marce»

(Hortensio, La bisbetica domata,
William Shakespeare).

La seconda parte della 37ª Udienza: la prima parte dell’interrogatorio a Mons. Alberto Perlasca

La presentazione da parte del Promotore di Giustizia dei nuovi atti ha fatto ritardare di circa un’ora e mezza il molto attesto interrogatorio di Mons. Alberto Perlasca, ex Responsabile dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato. Iniziato alle ore 11.15, l’interrogatorio si è concluso alle ore17.45. Sono state 6 ore, durante le quali Mons. Perlasca ha toccato tutti i punti fondanti dell’accusa: dalla compravendita del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, ai versamenti a Cecilia Marogna e alla Caritas della Diocesi di Ozieri, dai rapporti con Torzi e Mincione alla natura degli investimenti fatti dalla Segreteria di Stato. L’interrogatorio a Perlasca prosegue oggi.

Mons. Perlasca ha assicurato di non aver mai potuto autorizzare degli investimenti: “Nell’ufficio coordinavo come primus inter pares. Non avevo nessun potere decisionale, la mia firma non la riconosceva neppure lo IOR. Esprimevo un parere nell’ordine dell’aiuto e non della sostituzione della responsabilità che spetta al ruolo e allo stipendio del superiore”. Le attività di carattere finanziario erano “totalmente in mano” a Fabrizio Tirabassi [imputato]: “Ho cercato in tutti i modi di farlo sostituire. Non mi piaceva molto. Uno poi deve far correre i cavalli che ha”.

Mons. Perlasca ha raccontato che “dopo le batoste del 2008 e del 2011” si era deciso di fare “investimenti più stabili” e di aprirsi “al settore immobiliare”. L’affare del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra rientrava tra questi ed era stato proposto dal finanziere Raffaele Mincione. La Segreteria di Stato investì nel suo fondo Gof, ma raccomandò di evitare “speculazioni”. Mincione, però, “faceva quello che voleva, spesso gli abbiamo tirato le orecchie. Finanziava le sue attività con la nostra parte di liquidità. Noi eravamo catorci che perdevano soldi”, ha detto Mons. Perlasca, girandosi più volte verso Mincione, seduto in ultima fila. Nell’estate 2018, ha detto Mons. Perlasca, la Santa Sede dice basta e decide di uscire dal Gof: “La fede è infinita, la pazienza delimitata”.

Il Promotore di Giustizia chiede se su questa scelta influirono anche i rilievi dell’Ufficio del Revisore Generale. “Assolutamente no”, ha replicato Mons. Perlasca. L’Ufficio, che allora muoveva i primi passi, “era sgraziato nel modo di intervenire… Questi signori si sono buttati di pancia in una realtà che non conoscevano. Avevano voluto mettere benzina in un motore diesel”.

Grande spazio si è dato poi alla riunione di Londra del 20-23 novembre 2018, al termine della quale sono stati firmati i due accordi che hanno stabilito il passaggio al fondo Gut di Gianluigi Torzi. In realtà non doveva andare così, ha detto Mons. Perlasca. “Era un incontro tecnico, non decisionale. Dovevano portare la piena e immediata proprietà dell’immobile. Nessuno psicologicamente era pronto a uscire, era un incontro semplicemente di studio”, ha sottolineato Mons. Perlasca, spiegando di non essere andato “perché più della tappezzeria non avrei potuto fare”. “Inviai come esperti di fiducia della casa Tirabassi e Crasso col mandato di portare una proposta valutabile dai superiori”. Cioè dal Sostituto, all’epoca era già l’Arcivescovo Edgar Peña Parra. “Non è che fosse una riunione di carbonari, era gente tecnica andata a Londra alla luce del sole per fare un incontro le cui risultanze sarebbero state portate, analizzate, decifrate a casa”. A casa invece, dopo giorni “frenetici”, si ritornò con un framework agreement.

Mons. Perlasca ha affermato di aver insistito più volte a prendere tempo e coinvolgere altri esperti. Ma Tirabassi “al telefono diceva bisogna concludere, perdiamo soldi, ci danno un’occasione su un piatto d’argento, guardi che là, guardi che su, guardi che giù. Mi son detto: se i tecnici dicono che tutto va bene, tutto va bene”.

L’accordo stipulato a Londra prevedeva le mille azioni con diritto di voto, che davano a Torzi il totale ed esclusivo controllo dell’investimento. A far capire a Mons. Perlasca il “vizio” dell’accordo, fu Gianluca Dal Fabbro, persona che frequentava la Segreteria di Stato. “Mi disse: uscire da quella cosa lì vi costerà parecchi soldi. In quel momento è tragicamente calato lo scenario sul disastro che era successo. Dal Fabbro mi ha spiegato per la prima volta la differenza tra le nostre 30 mila azioni che contavano quanto il 2 di bastoni e le mille azioni. Ero annichilito, mi giro e dico a Tirabassi: si rende conto di cosa avete combinato? Ha avuto il buon gusto di star zitto”.

Mons. Perlasca ha detto che decise di denunciare Torzi: “‘Questa è una truffa!’, dissi a tutti, ma la maggior parte era per pagare o contrattare. Mi dissero: da questo momento non si interessi più dell’operazione. È andato avanti Tirabassi. Le dico una cosa: sono contentissimo”. Ha rivelato di aver provato “tristezza e rabbia interiore” quando, “per vie traverse”, seppe che la Santa Sede aveva pagato Torzi.

Oltre un’ora dell’interrogatorio a Mons. Perlasca è stato dedicato ai rapporti con il Cardinal Becciu. Al testimone è stato chiesto conto dei pagamenti inviati a Cecilia Marogna, la manager cagliaritana che si era proposta come intermediaria con la sua società in Slovenia per la liberazione della suora colombiana. “Mi fu chiesto di fare dei pagamenti a ‘un gancio’. Non sapevo se fosse uomo o donna. Riscatti e ricatti non si pagano mai, ma nonostante questo dissi: va bene faccio l’operazione. Se il superiore dice, ascolti. Se non dice, non chiedi, lo devi sapere. È la nostra scuola”.

Nell’interrogatorio del 29 aprile 2020 Mons. Perlasca ha dichiarato di aver appreso “per la prima volta che questa donna aveva speso per generi di lusso… Andai nell’appartamento del cardinale a dire ‘ma ha imbrogliato?’. Becciu rispose: se è vero, le telefono per dire che deve restituire’”. Sempre su Marogna, Perlasca ha spiegato che in Segreteria di Stato era arrivata una lettera firmata da una certa Cecilia Zulema che “si presentava come agente del DIS e chiedeva un contributo per una missione in Libia”. L’appunto fu girato all’allora Pontificio Consiglio Cor Unum: “Quando nell’interrogatorio ho sentito Cecilia Marogna sono caduto dalle nuvole, l’ultima cosa che pensavo è che fossero la stessa persona”.

In risposta alla domanda se ci fosse stata una richiesta all’attuale Cardinale Oscar Cantoni, Vescovo di Como, “di dire cose diverse all’autorità giudiziaria”, che per gli inquirenti si configura come reato di subornazione, Mons. Perlasca ha detto: “Mi è stato riferito dal mio vescovo che Becciu aveva telefonato per dire che avrei dovuto ritirare ciò che avevo detto, altrimenti avrei preso 6 mesi di galera. Ho dato un nome all’operazione e l’ho fatta presente”.

Mons. Perlasca ha ricordato anche la cena con il Cardinal Becciu in un ristorante romano, nel mese di settembre del 2020: “Lo invitai per sapere cosa stava facendo per me”. Cioè se, come da lui richiesto, il Cardinal Becciu stesse intercedendo presso il Papa per riabilitarlo. “Mi ha raccontato di una fantomatica commissione cardinalizia che doveva gestire il caso fuori dal Tribunale. Chiesi pure: ma ‘sta suora è stata liberata? ‘È una cosa lunghissima, ci vorranno 3-4 anni’. Ho capito che mi prendeva in giro. Quello che lui non ha capito è che io non pendevo più dalle sue labbra, avevo già preso le distanze da un rapporto di dedizione e devozione per ben 11 anni. E lui per esprimermi il suo bene mi ha denunciato a Como”.

Sante Cavalleri, nel suo commento all’interrogatorio di Mons. Perlasca, su Faro di Roma parla di «gelosie nell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato» e rileva che «continua il gioco al massacro voluto da Diddi (e da chi lo indirizza)»: «Non sono emersi nuovi elementi nella testimonianza di Mons. Alberto Perlasca, che ha di fatto confermato i suoi verbali e spiegato che “nell’ufficio amministrativo tutto era in mano a Tirabassi”. A proposito di quest’ultimo, Perlasca ha chiarito di aver provato a farlo allontanare: “non mi piaceva ed era legato al mio predecessore [Mons. Gianfranco Piovano] e io non avevo alcun potere decisionale”. Per quanto riguarda il fondo Gof usato per l’operazione Sloane Avenue, Mons. Perlasca ha spiegato che non fu finanziato con l’Obolo di San Pietro: “Perché non durava nemmeno un anno”. Quindi ha voluto sottolineare che il Palazzo londinese “poteva essere un buon investimento. Era la prima volta che ci aprivamo al settore immobiliare, e il palazzo aveva un potenziale”. L’attacco principale lo ha riservato a Torzi definito “truffatore”: “Con 1000 azioni controllava il palazzo. Io appena l’ho saputo, ho detto che si trattava di una truffa e chi fa una truffa è un truffatore e va denunciato, mentre i più volevano contrattare. Anzi quando ho detto bisognava denunciare Torzi, sono stato messo da parte. E quando ho saputo che Torzi era stato pagato per le 1000 azioni pensai che c’era la prova della truffa. Spero li spendi tutti in farmacia”, ha tuonato Perlasca. Diddi ha chiesto inoltre a Mons. Perlasca se avesse mai pensato al suicidio, chiaro riferimento alle dichiarazioni del Cardinal Becciu. “Ma no era uno sfogo – ha chiarito Perlasca -, la mia camera era perpendicolare su una chiesa, sull’altare e dicevo che se mi fossi buttato sarei stato già pronto per il funerale”. Perlasca ha pure riferito che Becciu gli consigliò di andare in terapia da suo fratello che è psicologo. Continua insomma il tentativo della pubblica accusa di distruggere il Card. Becciu utilizzando contro di lui ogni possibile pretesto».

Questo non è “un” giallo: è giallo scritto in nero su un fondo che sembra giallo.

Postscriptum
Modi

Parlando prima di una mela che non è quella che sembra di essere, per chiarire un concetto semplice (e non confondere mele con fichi), parliamo di modi.

Modo di dirimere questioni personali fra fratelli nella comunità: «Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano» (Matteo 18,15-17).

Modo di ammonire gli empi che commettono pubblicamente peccati contro Dio e l’umanità: «Mi fu rivolta questa parola del Signore: (…) O figlio dell’uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia. Se io dico all’empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l’empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità. Tu invece sarai salvo» (Ezechiele 33,1;7-9).

Come mai la fraternità, che il Papa predica, è così carente nell’Istituzione, di cui lui è il Capo supremo e assoluto?

Troppi scandali. Il cattolico è disorientato
di Lucetta Scaraffia
Quotidiano.net, 10 ottobre 2020


Gli scandali – sessuali e finanziari – che ormai da anni stanno scuotendo le gerarchie ecclesiastiche di tutto il mondo cattolico non riguardano solo i giornalisti che se li contendono a colpi di scoop e di reportage sensazionalisti, né gli anticlericali di sempre che ridono sotto i baffi, né i molti credenti che da tempo hanno preso le distanze dalla chiesa. No, riguardano soprattutto i cattolici che vanno a messa, che collaborano con le parrocchie o con le molte associazioni assistenziali di matrice cattolica, cioè i cattolici che cercano di vivere come cristiani. Quei cattolici a cui l’ultima enciclica di papa Francesco ha richiesto l’esercizio della fraternità, ovviamente doverosa nei confronti dei migranti e dei più deboli socialmente, che stanno pagando il prezzo più alto della pandemia. Ma questi stessi cattolici si domandano come mai questa fraternità sia così carente all’interno dell’istituzione di cui fanno parte.
Carente al punto da pensare che non siano solo poche mele marce od occasionali peccatori a infrangerla, ma che vi sia un sistema disciplinare e giuridico poco chiaro. Un sistema che permette di coprire facilmente le malefatte, ma anche di dichiarare colpevoli persone non ancora sottoposte al vaglio di un regolare processo, dove la difesa possa avere voce. Il tutto in nome della trasparenza, così alla moda. Ma non sarebbe meglio perseguire la verità e la giustizia?

Vaticano: minacce, veleni, ricatti a sfondo sessuale. È iniziato con la riforma dello IOR
Da quando Benedetto XVI ha cercato di far pulizia nella banca vaticana sono iniziati gli scandali. E i cattolici restano disorientati
di Lucetta Scaraffia
Quotidiano.net, 26 settembre 2020


Sono una cattolica che vive con dolore e angoscia questi giorni che alcuni media vogliono far passare per “grande pulizia in Vaticano”. Come qualcuno ha notato, in realtà quel che succede è più simile alle grandi purghe politiche dei regimi totalitari che a un serio e ponderato ricorso alla giustizia. Sono ormai molti anni, da quando cioè Benedetto XVI ha messo mano a una riforma dello IOR, la banca vaticana, che si susseguono scandali, fughe di notizie, arresti improvvisi, processi farsa. Dietro questo fuoco di sbarramento costituito da “operazioni di pulizia” è difficile capire cosa succede veramente. A ciò si aggiungono le voci insistenti di possibili ricatti sulla base di scandali sessuali, più spesso omosessuali e pedofili, che avvelenano la vita e l’operato delle gerarchie vaticane.

Foto di copertine: Papa Francesco saluta un futuro cardinale con alle spalle un altro futuro cardinale. Il primo mandato nel fango, il secondo mandato alle stelle. Già allora appariva quello che non era.

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