Rumori dalla fossa in cui il giornalismo italiano si è sprofondato

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.11.2022 – Vik van Brantegem] – Ieri mattina, nella Conferenza Stampa di presentazione della legge di Bilancio, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, ha illustrato assieme al Vicepremier e Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, al Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, al Viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, e al Ministro del Lavoro, Marina Calderone, le misure della sua prima manovra economica, approvata nella notte. In questa occasione abbiamo assistito in diretto alla dimostrazione a quale profondità il giornalismo italiano si è sprofondato nella fossa che si è scavata, con il modo di fare domande, con la malnascosta rabbia e senza pace per aver perso le elezioni. Rosiconi, a cui Meloni la tosta non le ha mandato a dire.

«Insomma se i premier sono dell’alveo della sinistra, o alti tecnocrati trattati con i guanti bianchi dal Pd, seppur ci siano poi altri azionisti decisivi come Lega e Forza Italia, non li si insolentisce con fastidiose domande, se invece arriva il premier donna di centrodestra si diventa “cazzuti”, martellanti quasi offensivi, tipo confronto all’americana.
Forti con i deboli e deboli con i forti? Forse questo però è solo nell’idea di certo “mainstream” di sinistra che non si rassegna al fatto che il centrodestra abbia vinto» (Paula Sacchi, Startmag.it).

La prima risposta fulminante di Meloni arriva a una “domanda” in riferimento alle tensioni internazionali sul tema della gestione dei migranti. Un coraggioso giornalista le chiede «se la crisi diplomatica [con la Francia] le ha insegnato ad avere un approccio meno propagandistico». Meloni replica: «È una vita che voi volete insegnarmi qualcosa. C’è modo e modo di fare domanda. No, non mi ha insegnato niente. Perché credo di avere fatto il mio lavoro come sempre difendendo gli interessi della nazione». Prosegue: «Non mi pare, differentemente da quanto mi è stato raccontato per molto tempo da chi mi insegnava come doveva funzionare il mondo, che stia crollando qualcosa qui intorno. Non mi pare sia accaduto ciò che leggevo sull’arrivo di un governo di sovranisti che sarà isolato. Non so cosa doveva insegnarmi. Se a non difendere l’interesse nazionale italiano allora non imparerò mai».

Meloni difende la propria condotta, per merito, tono e modo: «Abbiamo un approccio serio e rispettoso dell’interesse nazionale. Abbiamo rivendicato che l’Italia non può essere l’unico porto di sbarco in Europa o voi ritenete debba esserlo? Non c’è stato niente di sbagliato sul piano diplomatico, i toni del governo italiano sono stati rispettosi di tutti. Un tono rispetto ad altri è stato perfettamente istituzionale. Ma questo governo ha un mandato e intende portarlo avanti. Non arriveranno per questo in Italia le piaghe d’Egitto».

Pare che è proprio al giornalista lo scontro con la Francia non abbia insegnato niente, in particolare sul fatto che la Francia si tiene nel diritto di partire lezioni all’Italia. Potrebbe leggere con profitto quanto abbiamo riportato il 13 novembre scorso: Come sono umani questi Francesi: sparatorie, pestaggi e violenze alle frontiere. Accusano l’Italia, ma i barbari sono loro.

Siparietto concluso, pensate? Neanche per sogno. Inizia il secondo round, quando Meloni comunica che deve lasciare la Conferenza Stampa per un altro appuntamento istituzionale. A questo punto, un altro coraggioso giornalista le si rivolge in modo perentorio: «Dovete fare introduzioni più brevi, per permettere a noi di fare delle domande». Il Presidente del Consiglio dei Ministri replica: «Non mi pare si possa dire che non siamo disponibili. Mi ricordo che in altre situazioni siete stati molto meno assertivi, disponibili. Mi dite di tagliare l’introduzione? Ma questa è una legge di Bilancio, penso che nessuno si aspetti che presentiamo una legge di Bilancio in 4 minuti. Se ci riuscite voi… Io sono una persona seria, le cose le voglio spiegare».

Di fronte alle rinnovate rimostranze (a prescindere del fatto che gli altri ministri qualificati in materia rimasero disponibili), Meloni alla fine dà il servito ai giornalisti: «E che devo fare? Ho il Presidente di Confartigianato che sta aspettando me. Gli spiegherò che se non restavo qui, scrivevate che non rispondevo alle domande. Ora mi costringete a restare qui, eppure in altre occasioni non mi ricordo che siete stati così coraggiosi… A cosa mi riferisco? Lo so io, lo so…».

Meloni li ha messi proprio “a posto”, gli spocchiosi. Il Condirettore di Libero, Pietro Senaldi, l’ha definito «una leonessa che sbrana i giornalisti. Come li ha zittiti. Poi ha mangiato la testa a un giornalista che le ha chiesto che cosa ha imparato dallo scontro con la Francia. Meloni non è lì per imparare, lo scontro con Parigi è benedetto: ci ha dimostrato che i Francesi trattano gli immigrati molto peggio di noi. Quindi è stato utilissimo».

Il professore associato di politica economica all’Università “Gabriele d’Annunzio”, Vicepresidente della Commissione Finanze alla Camera, Alberto Bagnai, ha twittato: «Non è stato un “vaffa” ma una risposta appropriata e attesa da tanti a uno gne gne gne così ridicolo e fuori luogo che perfino i giornali di sinistra trovano controproducente lamentarsi di chi l’ha rintuzzato. Libero spiega bene perché [Antonio Rapisarda oggi a pagina 3: «Lite con la stampa. Il “vaffa” della Meloni ai giornalisti rosiconi»]».

Domanda puramente retorica: questi che pretendono che li chiamano ancora giornalisti, non rendendosi conto di essersi auto-affossati da tempo, avrebbero avuto il coraggio di rivolgere le loro osservazioni (e in quel modo) anche – non dico al Giuseppe dei Conti di Giuseppi dei balconazo notturni, ma – a Mario Draghi? Per lui erano previsti solo degli applausi, delle standing ovation. Indimenticabili certe domande a Draghi, tipo: «Come si sente oggi, Presidente?». «Il trattamento impartito ieri dai giornalisti a Giorgia Meloni è solo un piccolo antipasto di quell’approccio implacabile, severo, rigoroso, aggressivo che hanno mostrato nei confronti di Mario Draghi. Qui un esempio (allontanate i bambini, perché è cruento)» (Riccardo Puglisi). Prima scodinzolavano… ora son tornati ad essere i cani da guardia. Un esempio da brividi: «Italia, 16 aprile 2021. La stampa libera e con la schiena dritta: QUI» (Salvatore Ioppolo). Tutto qua.

Ovviamente, sui social si monta la polemica ad arte. Non perde l’occasione la Rula Jebreal ad attaccare la “neofascista Meloni” (come costei la definisce). Jebrael sbraita in un tweet: «Acting as an autocrat, Italy’s PM cherishes every opportunity to intimidate & denigrate journalists. Reporters who echo her propaganda are made minister of culture & Gov’t spokespersons…while journalists who call her out are threatened, bullied & censured» [Agendo come un autocrate, il Primo Ministro italiano coglie ogni opportunità per intimidire e denigrare i giornalisti. I giornalisti che fanno eco alla sua propaganda vengono nominati ministri della cultura e portavoce del governo… Mentre i giornalisti che la denunciano vengono minacciati, vittime di bullismo e censurati».

Si auto-commenta e possiamo limitarci a ripetere le stese due parole, ma con doppia porzione di patate, del titolo all’articolo di Renato Farina del 2 ottobre scorso: «Troppa meschinità» [QUI].

Lo ripetiamo: Rula Jebrael è una che imbarazza perfino la sinistra. Due mesi fa, per delegittimare chi aveva vinto le elezioni politiche, aveva scritto un tweet per rinfacciare a Giorgia Meloni la storia del padre, definito «un famigerato trafficante di droga/criminale», per una vicenda avvenuta quando la Presidente di Fratelli d’Italia aveva un anno. La giornalista ha usato la “discriminazione genetica”, utilizzando un “non padre” per sporcare la coscienza di Meloni. A parte il leader di Azione, Carlo Calenda («una bassezza»), e quello di M5S, Giuseppe Conte («è fango»), che hanno condannato con nettezza il tweet, i progressisti sono rimasti in ossequioso silenzio. Meloni ha annunciato di sporgere querela: «Spero che potrà spiegare al giudice quando e dove avrei fatto la dichiarazione che lei mi attribuisce».

La sinistra riparta dal dare della pescivendola per lottare contro le disuguaglianze: «Il ritorno della pescivendola. Che imbarazzo» (Jeanne Perego [Giornalista, corrispondente da Germania, Austria, Svizzera. Italian journalist reporting DACH. Based in Germany]). «Si possono e si devono criticare le Istituzioni perché la libertà di critica di chiunque è il sale della democrazia. Ma perché insultarle in modo greve e volgare? Perché alcuni, in Italia, devono sempre superare il confine delle normali regole di rispetto tra persone civili?» (Guido Crosetto). Poi, sempre parlando dei giornalisti che scrivono sulla legge di bilancio: «Nessuno ha letto la manovra, i dati di bilancio o la normativa collegata, ma tutti la commentano in dettaglio. Io leggo i commenti, spesso autorevoli, vado a controllare per vedere se le cose lette sono vere e non le trovo da nessuna parte. Perché conta il racconto non la realtà» (Guido Crosetto). E questo è tutto.

Massimo Giannini, il Direttore de La Stampa (pensa di poter dare ancora lezioni di giornalismo), in un Tweet ha scritto: «Cara presidente Meloni, i giornalisti stanno al mondo per fare domande, i politici hanno il dovere di dare risposte. “È la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente…”». Un concetto che Giannini ha ripetuto anche da Lilli Gruber nella puntata di Otto e mezzo su La7, ieri 22 novembre: «Quello che è successo in conferenza stampa stamattina è sgradevole. E c’è anche il precedente di Bali [*]. Oggi si parlava della legge di bilancio, ci si aspettava largo spazio alle domande dei giornalisti. invece lei doveva andare da Confartigianato e ha tirato fuori questo atteggiamento infastidito e dell’under dog, quello della svantaggiata. Ma non si deve spazientire». Peccato che Giannini predichi bene e razzoli male, malissimo. Questo suo attacco al Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato l’ira e l’ironia di Antonello Piroso, ex Direttore del TgLa7, che non è riuscito a trattenersi da una battuta al vetriolo: «Questo tweet si candida a vincitore del premio satira (involontaria) di Forte dei Marmi. (Ps quando leggerò su La Stampa un coraggioso articolo, pieno di domande scomode, sulla vicenda Margherita Agnelli – famiglia Elkann, magari ne riparliamo…)».

[*] Di Bali abbiamo parlato il 22 novembre qui: Il giornalismo italiano affossato.

Poi, si sono fatti vivi anche dei giornalisti che ragionano ancora e, soprattutto, non si sono ancora dimenticato cosa significa essere giornalisti. Ne riportiamo due esempi.

La prima è Analisa Chirico – dirige laChirico.it, firma su Il Foglio, presiede @aprovacontraria, fondatore e amministratore delegato di ac4business.com – ospite di Agorà su Rai Tre: «Meloni contro i giornalisti? Ma per favore. Ce li ricordiamo gli applausi dei giornalisti in sala stampa al premier Draghi, i volti adoranti per Conte… ora sono diventati severissimi? Ma per favore» [QUI].

La seconda è Paola Sacchi, che ha affidato le sue riflessioni alla Nota Meloni, i giornalisti e le polemiche a senso unico, questa mattina su Startmag.it [QUI]:

«A quale altro premier i giornalisti si sono rivolti con la stessa durezza riservata a Meloni?
Goffredo Buccini, firma di punta del Corriere della sera, dopo aver premesso che “Tutto mi divide da Gorgia Meloni”, molto onestamente però in un tweet riconosce che “è da pazzi rimproverarle di essersi risentita e avere reagito per l’ingiuriosa forma di una delle domande (“le ha insegnato…?”) in conferenza stampa”.
Conclusione della firma del Corsera: “Ma a quale premier ci rivolgeremmo così?”.
La “vecchia” cronista-inviata politico-parlamentare fruga nella sua memoria, va a ritroso nel tempo e non riesce a trovare certi toni nei confronti di un premier come quelli usati ieri. Chi le chiede se lo scontro con la Francia “le abbia insegnato qualcosa”, citando anche un tweet del vicepremier, seduto accanto, Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture, che avrebbe contribuito addirittura a scatenare quelle accuse pesanti, al limite dell’insulto, dei francesi. Un altro addirittura le consiglia di accorciare l’illustrazione della manovra di Bilancio per poter rispondere a più domande. Ma a quale premier ci si rivolge così?
Francamente non riusciamo a trovare precedenti. Eppure quella platea di giornalisti docile si sorbì di tutto, dagli orari pazzeschi di Giuseppe Conte che slittavano a notte, manco fossero gli storici negoziati sindacali anni ’80, dal classico titolo giornalistico: trattativa nella notte, agli annunci continui e contraddittori del medesimo Conte, fino a certe frasi brevi e sprezzanti di Mario Draghi che si mise a parlare a un certo punto di “quello che sta sempre al telefono con i Russi”, senza che nessuno dei presenti abbia avuto il coraggio, la deontologia professionale di chiedergli: scusi, presidente, ma quello chi è? E a seguire, perché, guardi premier, che se lei allude a Salvini, è azionista del suo stesso governo. Niente, silenzio.
Alberto Ciapparoni, giornalista politico-parlamentare di Rtl, la più grande radio privata, osò fare a Conte la celebre domanda sul fatto se non ritenesse opportune le dimissioni di Domenico Arcuri. Conte gli rispose una cosa tipo: se lei è meglio di Arcuri, la terrò presente… E alcuni dei colleghi lo guardarono con perplessità, se non disapprovazione come chissà cosa si fosse permesso di chiedere al signor presidente. Altra domanda di Ciapparoni a Draghi sull’incoerenza su certe frasi relative all’effetto dei vaccini. E due. Non risultò più molto simpatico il collega dalle parti di Palazzo Chigi, pur essendo cambiati governi e portavoce.
Insomma se i premier sono dell’alveo della sinistra, o alti tecnocrati trattati con i guanti bianchi dal Pd, seppur ci siano poi altri azionisti decisivi come Lega e Forza Italia, non li si insolentisce con fastidiose domande, se invece arriva il premier donna di centrodestra si diventa “cazzuti”, martellanti quasi offensivi, tipo confronto all’americana.
Forti con i deboli e deboli con i forti? Forse questo però è solo nell’idea di certo “mainstream” di sinistra che non si rassegna al fatto che il centrodestra abbia vinto. E che, come ieri ha detto Meloni, nonostante che la maggior parte delle risorse siano andate tutte contro il caro-bollette, pur nella “prudenza” di “avere per ogni voce una copertura”, come ha spiegato anche il ministro dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, commosso per la scomparsa di Roberto Maroni, “questa manovra imposta già una visione politica di questo governo che è appunto politico”.
E quindi, estensione della Flat tax di cui beneficia anche il ceto medio, avvio alla decontribuzione per le imprese che assumono giovani e donne, oltre che molta attenzione alle famiglie più povere, ma anche avvio della revisione del reddito di cittadinanza che dovrà essere sostituito da nuove misure per chi non può lavorare e soprattutto dalla creazione dei posti di lavoro. Dalla logica assistenziale a quella di crescita e sviluppo. Avvio allo stop della legge Fornero, pur con un bonus, che istituì proprio Maroni da ministro del Welfare, come illustra Salvini, anche lui provato dal grave lutto di tutta la Lega, di un 10 per cento in più sullo stipendio di chi anche dopo 42 anni vuol continuare a lavorare.
Salvini osserva anche lui che questo è “un ottimo inizio”, che risponde al programma unitario del centrodestra. E promette, nonostante la narrazione del “casca, casca tra un po’ “delle opposizioni travolte e spaccate tra loro, che “ci sono 5 anni davanti per compiere il percorso”. Seguono certe domande stizzite e dai toni inusuali, l’invocazione della libertà di stampa di direttori. Libertà solo per attaccare senza rispetto istituzionale il premier donna, la prima, di centrodestra? Che risoluta ha buon gioco nel fare presente: “Vi ho visto meno assertivi e coraggiosi in altre occasioni”.
Alla “vecchia” cronista torna in mente Bettino Craxi, che a uno che gli fece una domanda a cavolo rispose secco: “Non lo so e se lo sapessi non lo verrei a dire a uno come te”. Si vede che non hanno mai avuto a che fare con lo statista socialista. Personaggi, epoche diverse. Ma, intanto, si sarà capito meglio anche di che pasta è fatta Meloni, dopo aver docilmente detto “sì, signore” anche a certe un po’ sprezzanti frasi di Draghi sul consumo ridotto dei condizionatori in un caldo da schiattare».

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