Associazionismo in prima linea per fermare la violenza contro le donne

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In occasione della giornata contro la violenza sulle donne il Gruppo Banca Etica ha proposto un webinar intitolato ‘Donne, finanza, inclusione’ per raccontare le iniziative della finanza etica per l’empowerment femminile, a cui sono intervenuti Anna Fasano, presidente di Banca Etica; Marina Galati, consigliera di amministrazione di Banca Etica; Barbara Setti, Fondazione Finanza Etica.

E’ stato anche presentato il progetto di educazione finanziaria vincitore del bando ‘Mio il denaro, mia la scelta’, realizzato dalla Fondazione Finanza Etica con il sostegno di Etica Sgr, la società di gestione del risparmio del Gruppo. Il progetto, ideato da Glocal Impact Network (GIN) di Prato, è rivolto a donne vulnerabili, vittime di violenza economica, ospiti dei centri antiviolenza.

La presidente di Banca Etica ha affermato che dall’indagine è emerso che “in Italia 3 donne su 10 che lavorano non hanno un conto in banca e al Sud la situazione peggiora drasticamente, con una donna su due che non è autonoma economicamente e dipende totalmente dal proprio partner. Un monitoraggio dell’Inps pubblicato alla fine del 2021 dice che le lavoratrici italiane guadagnano in media il 31,2% in meno dei loro colleghi maschi.

In un periodo di crisi sanitaria, sociale ed economica, le donne pagano un prezzo molto alto che le espone a forme di violenza fisica, psicologica ed economica. Questo non è più accettabile. Il Gruppo Banca Etica da anni si impegna per favorire l’accesso al credito delle donne in Italia, Spagna e nel Sud del mondo e per sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese femminili”.

Quindi Banca Etica, attraverso la società di gestione del risparmio, Etica Sgr, si è dotata di policy e metriche per misurare la capacità di favorire la parità di genere da parte delle imprese quotate: “Solo le aziende con buoni risultati su questo fronte possono rientrare tra quelle in cui investono i nostri fondi etici.

Etica Sgr, inoltre, destina una parte dei suoi utili a erogazioni liberali da assegnare a realtà sociali impegnate per il superamento della violenza economica sulle donne. Anche al nostro interno abbiamo avviato percorsi per favorire l’empowerment delle donne e il superamento delle disparità e degli stereotipi di genere tra i lavoratori e le lavoratrici del Gruppo. Un impegno che ci ha permesso di ottenere, tra i primi al mondo, la certificazione ISO per Diversity&Inclusion”.

Ed in Banca Etica le donne rappresentano poco più del 43% delle persone che hanno ottenuto un prestito nel 2021 a fronte di una media nazionale stimata del 35%. Nel 2021 Banca Etica ha finanziato 490 imprese femminili che rappresentano il 24,9% delle organizzazioni e imprese finanziate nell’anno dalla banca. Considerando che a livello nazionale tali imprese alla fine del 2021 erano pari al 22,1% del totale imprese (fonte: Unioncamere), ne emerge una particolare propensione di Banca Etica verso tali realtà.

Attraverso i progetti di microfinanza che sostiene nel Sud del Mondo Banca Etica raggiunge oltre 3.200.000 beneficiari di cui il 53% in ambito rurale e il 63% donne. Per quanto riguarda le attività di microfinanza che Banca Etica svolga in Italia e in Spagna, nella grande maggioranza dei casi i clienti affidati sono persone fisiche o imprese individuali. Questi due gruppi sono rappresentati per il 41,5% da donne.

Secondo l’ultimo ‘Report di Impatto’ di Etica Sgr le società con una presenza femminile in ruoli dirigenziali pari almeno ad un quinto sono superiori del 10%  rispetto al mercato di riferimento.

Infatti, oltre al bando ‘Mio il denaro, mia la scelta’, nel 2020 Etica Sgr aveva promosso ‘Semi di Futuro’, un bando realizzato dalla Fondazione Finanza Etica per sostenere progetti di imprenditorialità femminile contro la violenza di genere e, nel 2021, ‘Che impresa per le donne’, che ha erogato 240.000 ad 11 micro e piccole imprese femminili.

Nel frattempo è stato attivato ‘Orphan of Femicide invisible Victims’, uno dei quattro progetti selezionati da ‘Con i Bambini’, per favorire una presa in carico degli orfani e delle loro famiglie in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige.

Il progetto intende realizzare interventi coordinati e integrati tra i territori di riferimento per superare gli ostacoli (psicologici, giuridici, sociali, economici) che impediscono agli orfani e alle famiglie affidatarie il recupero della serenità dopo il trauma del femminicidio, coinvolgendo un’ampia rete di figure specialistiche, imprese, enti del terzo settore, istituzioni. Si segnala, in particolare, il forte coinvolgimento dei centri antiviolenza della rete nazionale D.i.Re.

I percorsi di presa in carico degli orfani saranno multidimensionali e costruiti sulla base dei bisogni e dello stato di salute rilevati in uno screening preliminare. Tra le misure previste, vi è l’erogazione di doti educative, intese come un mini-fondo attivabile per ciascun orfano per consentirgli di prendere parte ad attività definite in un progetto personalizzato.

Per i ragazzi e le ragazze più grandi sono previsti uno sportello lavoro per l’orientamento, percorsi di inserimento e/o formazione professionale, anche tramite tirocini, e altre forme di sostegno allo studio universitario.

Per il sostegno alle famiglie affidatarie, sono previsti percorsi psico-sociali di gruppo, percorsi di assistenza legale, in particolare per l’accesso alle misure previste dalla L. 4/2018, gruppi di mutuo aiuto, percorsi di psico-terapia per singoli nuclei familiari, spazi di confronto on line. Qualora necessario, si lavorerà per la costruzione o il rafforzamento della rete informale di sostegno alla famiglia e si potranno attivare forme di sostegno economico per piccole spese materiali e necessità contingenti, attingendo a un fondo dedicato.

Rispetto all’azione di capacity building, oltre all’elaborazione e adozione di protocolli di child safeguarding policy specifici, si intende realizzare workshop formativi per target specifici di professionisti, corsi di formazione multi-agenzia, un percorso formativo dedicato alla presa in carico in emergenza e uno rivolto alle operatrici dei centri antiviolenza e delle case rifugio, in collaborazione con la rete D.iRe. Verrà curata anche la formazione di giornalisti e addetti alla comunicazione sulla narrazione dei crimini domestici e delle vicende degli orfani.

Dal punto di vista della prevenzione è prevista la realizzazione di iniziative nelle scuole secondarie di I e II grado per aumentare la consapevolezza sui ruoli e sulla violenza di genere e, in ottica di peer education, l’attivazione di gruppi di ragazze e ragazzi (14-21 anni) sul tema degli stereotipi e della violenza di genere.

Mentre la comunità ‘Papa Giovanni XXIII’ organizza a Rimini l’evento ‘Fiori sull’Asfalto: prostituzione, violenza di genere’, avendo proiettato ieri il cortometraggio ‘Ballerina’ di Kristian Gianfreda, mentre Silvia Argenti, referente delle ‘Unità di Strada contro la tratta’ dell’associazione riminese, ha sottolineato:

“In una data significativa come il 25 novembre è fondamentale ricordare che tutte le ragazze che incontriamo sulle strade sono vittime di violenza di genere. Come diceva don Oreste Benzi, tutte le donne in strada sono vittime di qualcuno o di qualcosa: non è il mestiere più antico del mondo, ma la schiavitù più antica del mondo.

Tutte le bambine, ragazze e donne che incontriamo hanno diritto di riprendere in mano la loro dignità; è nostro dovere avere uno sguardo di vita su loro”.

La Comunità Papa Giovanni XXIII promuove, insieme ad un cartello di associazioni, il ‘Progetto Miriam’ per la sensibilizzazione contro la violenza di genere sulle donne migranti, che si concluderà il 30 novembre a Bologna, e la campagna ‘Questo è il mio Corpo’, per la liberazione delle vittime della tratta e della prostituzione, chiedendo al Parlamento di adottare una legge, ispirata al modello nordico, che riconosca la responsabilità dei clienti.

Anche suor Maria Rosa Bernardinis, madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, insiste sull’educazione ad amare: “Per contrastare la violenza contro le donne, cambiando la cultura maschilista dominante, sul lungo periodo è necessario promuovere l’educazione affettiva e sentimentale delle giovane generazioni, attraverso una vera alfabetizzazione emotiva.

Questo è l’unico modo per conoscersi e comunicare se stessi, comprendendo che amare significa donarsi, crescendo insieme, e non possedere l’altro, secondo quella che è la visione cristiana”.

Per la priora l’educazione deve essere sistematica: “Guardando i numeri mi colpiscono i dati allarmanti sulla violenza di genere, nonostante il diminuire dei femminicidi, e sulle giovane generazioni che assistono ad abusi oppure ne sono vittime, inascoltati dagli adulti. E’ necessario un cambiamento sistemico che non può che partire dalla più tenera età.

Ciò significa ricominciare dall’ABC delle relazioni, insegnando fin da piccoli strumenti utili per riconoscere ed esprimere le emozioni, comunicare in maniera assertiva per meglio gestire i conflitti, costruire rapporti sani e liberi, basati sulla pienezza e non sulla mancanza”.

Solo attraverso l’educazione si possono gestire le relazioni, come ha fatto santa Rita: “Solo in questo modo si può imparare a gestire le relazioni come scambio dei talenti di cui ciascuno si fa portatore e come arricchimento, secondo il messaggio di Cristo e della nostra amata santa Rita, che ci insegna a cercare Dio come principio e fine di ogni nostra azione. 

E’ quello che facciamo anche noi religiose, ogni giorno nel monastero, collaborando tra noi secondo le logiche dell’amore evangelico piuttosto che quelle dell’invidia e della sopraffazione”.

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