Gli effetti del pontificato di Papa Francesco

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.11.2022 – Andrea Gagliarducci] – Il pontificato di Papa Francesco è iniziato con un intenso clamore mediatico e la speranza che ci fosse un cambiamento fondamentale, non tanto nella Chiesa, ma nella gestione della Chiesa. In questione, nei tempi del Conclave, non era la dottrina, ma piuttosto l’amministrazione, come la Chiesa aveva risposto agli scandali, e come la Chiesa aveva saputo rispondere a questi scandali.

Venivamo da una stagione difficile. Nel 2010, alla vigilia dell’Anno Sacerdotale, i media hanno diffuso per un anno la notizia di abusi reali e presunti di membri del clero [QUI], in un’operazione di comunicazione che ha portato la Santa Sede ad assumere un consigliere per la comunicazione nella persona di Greg Burke.

Nel 2012 è stato il primo Vatileaks a colpire la Santa Sede, con la pubblicazione di documenti riservati provenienti direttamente dalla scrivania del Papa. E poi, tra il 2011 e il 2012, le fughe di notizie sulla riforma finanziaria del Vaticano e le pressioni su come la Santa Sede ha gestito le finanze hanno creato un’opinione pubblica negativa, e molto difficile da superare.

Erano tutti temi che erano stati discussi nelle congregazioni generali [dei cardinali prima del Conclave] e che erano poi necessariamente entrati a far parte dell’agenda del neoeletto Papa.

Nove anni dopo, però, ci si deve chiedere se queste riforme siano state efficaci.

Gli attacchi alla finanza della Santa Sede nel 2012 sono stati dettati anche dal fatto che la Santa Sede stava mettendo in piedi un sistema che si staccava dalle consuete influenze [QUI], soprattutto italiane, aderendo ai migliori standard internazionali.

Dieci anni dopo, la gestione della Santa Sede è di nuovo saldamente nelle mani degli italiani in materia di antiriciclaggio. Inoltre, gli ultimi scandali finanziari sono entrati a far parte di un processo vaticano che ha portato anche alla perdita di potere della Segreteria di Stato, costantemente sotto attacco.

Anche gli attacchi alla Segreteria di Stato non sono nuovi: c’erano dieci anni fa e ci sono ancora. Con una differenza.

Benedetto XVI aveva sempre messo in chiaro che non avrebbe mai buttato giù dalla torre il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato. Papa Francesco non ha mai accennato a una cosa del genere. Infatti, come cambiano i collaboratori, le decisioni improvvise e taglienti come quella di spostare i fondi della Segreteria di Stato all’APSA, o quella di mandare a processo il Cardinale Angelo Becciu, rappresentano un segnale diverso: niente è sicuro, niente è lineare.

Dieci anni dopo, gli scandali sugli abusi fanno ancora notizia e sono ancora usati come orologi. Un presunto caso di cattiva condotta ha portato alle dimissioni dell’Arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, accolte dal Papa “sull’altare dell’ipocrisia” [QUI]. La bufera mediatica in arrivo ha portato il Cardinale Ricard a confessare gli abusi su un quattordicenne, togliendo così l’attenzione alla lettera dei vescovi francesi sulla legge sull’eutanasia che voleva creare un onesto dibattito [*].

A parte del clamore mediatico, poco è cambiato nell’atteggiamento nei confronti della Chiesa. A Papa Francesco è riconosciuta una straordinaria attenzione per i poveri, gli emarginati e i migranti. Tuttavia, i media lo zittiscono permanentemente quando parla di aborto o di famiglia. C’è un magistero nascosto del Papa, tutto da scoprire.

Se questo magistero non aiuta comunque la Chiesa a risolvere i problemi esterni, non ha risolto nemmeno i problemi interni.

Papa Francesco ha istituito diverse commissioni durante il suo pontificato fino a promulgare una riforma della Curia, che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto rendere tutto più funzionale. Ma non è ancora così, perché non ci sono regole transitorie. Dopotutto, alcuni cambiamenti sono semplici accorpamenti che non hanno molta utilità pratica perché, alla fine, non c’è una filosofia di fondo.

Si parla molto di Chiesa sinodale e di ascolto, meno si discute della proposta della Chiesa. Il risultato è che i dicasteri vaticani sono confusi e non capiscono se il loro compito è sviluppare o ricevere temi da sviluppare.
È una situazione che avrà diversi effetti a lungo termine.

Il primo è la perdita di coscienza dell’istituzionalità della Chiesa. Passando da organismo che insegna a organismo che ascolta, la Santa Sede diventa per molti solo un passaggio accessorio. Non è un punto di arrivo e non è un punto di partenza. Non ha una filosofia definita.

Se l’istituzione non conta, allora anche il lavoro svolto nell’istituzione può essere superficiale. Questo è un rischio reale, anche se sembra ancora molto lontano. Ma fa parte dell’atteggiamento del Papa.

Altro tema è che se una cosa è vecchia, è giusto cambiarla. Non funziona però esattamente così con la tradizione della Chiesa e, soprattutto, con la sua formula di governo. Alcune iniziative, come l’accentramento finanziario o l’affidamento a società di revisione esterne, mettono seriamente a repentaglio la stessa sovranità della Santa Sede.

Ma se la sovranità è considerata solo funzionale e non sostanziale, non è fondamentale che sia messa a rischio. Almeno, non per Papa Francesco. Che, alla fine, decide sempre da solo, e decidendo secondo le sue possibilità, non vedendo i problemi nella loro totalità.

Infine, c’è il rischio di una Chiesa che ascolta molto, ma insegna poco. È il rischio della Chiesa sinodale e dell’eccessiva democratizzazione della Chiesa.

Sono questioni che potrebbero essere risolte con un preciso orientamento teologico. Ma è proprio questo che manca. E gli effetti del pontificato si vedranno negli anni a venire.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

[*] Eutanasia in Francia, la lettera pastorale dei vescovi di cui in pochi parlano

Al termine dell’Assemblea Plenaria dei vescovi francesi a Lourdes, lo scorso 8 novembre, la Conferenza Episcopale ha diffuso un documento che mette in discussione la cultura eutanasica.

Oscurata dall’autodenuncia del Cardinale Ricard, arrivata tra l’altro poco dopo la visita in Vaticano del presidente francese Emmanuel Macron, la lettera pastorale dei vescovi di Francia sull’eutanasia è una risposta netta del mondo cattolico alla “cultura della morte” che si cela dietro il principio di legalizzazione dell’eutanasia.

Titolo della lettera è “O Morte, dov’è la tua vittoria?”, e si propone di essere il contributo cattolico al dibattito sul fine vita, con l’obiettivo di “guardare la more con gli occhi dei cristiani”. Una lettera necessaria, se si considera che, nel mezzo di una crisi energetica e con una guerra nel cuore dell’Europa in corso, il presidente francese Macron ha pensato che una delle priorità fosse una nuova discussione pubblica di sei mesi sulla legge del fine vita, che rimetta in discussione la legislazione vigente in Francia e magari arrivi completamente a liberalizzarne la pratica.

Una scelta, quella di Macron, che ha trovato poco spazio sui giornali, e che non è stata segnalata neanche nell’agenda dei discorsi che il presidente ha avuto in Vaticano quando è venuto in visita, ma che rappresenta, di fatto, un cambiamento di passo nella legislazione della vita che si ebbe già in occasione degli Stati generali della bioetica.

“La morte – scrivono i vescovi francesi – tocca e interroga ognuno di noi. È lì, inevitabili, con spesso la sua processione di sofferenze. Spontaneamente, possiamo dire che fa paura. Sì, non siamo fatti per la morte!”

Eppure, aggiungono i vescovi, si deve restare “lucidi nella nostra stessa paura,” accogliendo la domanda che nasce nella società: possiamo aiutare attivamente una persona a morire? Possiamo chiedere a qualcuno di aiutare attivamente a morire?

La risposta nasce, dicono i vescovi di Francia, guardando alla morte di Gesù. La nostra società, spiegano, “nasconde la morte e la guarda poco in faccia, essa è compagna della nostra vita e ce ne ricorda fraternamente l’esito”.

I vescovi definiscono lo sviluppo delle cure palliative come “una conquista importante del nostro tempo”, si tratta di una cura che “unisce la competenza medica, l’accompagnamento umano grazie a un rapporto di qualità tra equipe assistenziale, paziente e familiari, e il rispetto della persona nel suo insieme con la sua storia e i suoi desideri, anche spirituali”.

I vescovi incoraggiano “la ricerca e lo sviluppo delle cure palliative”, in modo che “ogni persona alla fine della vita possa trarne beneficio. Anche perché – scrivono – è vero che “l’assistenza attiva al morire” permetterebbe di “eliminare ogni sofferenza”, ma andrebbe anche contro il comandamento di non uccidere.

E – denunciano – “uccidere per eliminare la sofferenza non è né una cura né un accompagnamento”, ma è piuttosto “eliminare la persona sofferente e interrompere ogni relazione”.

La lettera prevede anche proposte pratiche. Accetta la sedazione, che deve essere “proporzionata” in uno scambio con i parenti “delicato” e svolto in particolare “per concedere il più possibile il tempo per veri addii”.
Per questo, i vescovi sottolineano l’importanza della presenza di un cappellano, che possa accompagnare anche negli ultimi sacramenti, qualcosa che “non ha prezzo per noi che crediamo nella comunione dei santi”.

I vescovi francesi si impegnano anche a riflettere sulle “direttive anticipate e personali,” in modo che “la nostra more non sia né rubata né imposta a Dio”, e cercano di capire quale è il posto essenziale dell’“intenzione” nelle decisioni mediche di fine vita.

Le domande sono diverse. “L’intenzione – si chiedono i vescovi – è di alleviare le sofferenze troppo gravi risparmiando i momenti ancora da vivere, anche se ciò può accorciare i giorni del paziente? O è l’intenzione di anticipare la morte per porre fine alla sofferenza?”

L’invito è ad aiutarsi a discernere “tra cosa sono le cure, l’idratazione e l’alimentazione spettanti al paziente, anche se la morte diventa certa, e cosa potrebbe essere un’inutile accanimento terapeutico e fonte di inutili sofferenze”.

Fare scelte di vita, dunque. Ma anche, non obbligare a fare scelte di morte. In effetti, notano i vescovi, la scelta individuale del suicidio assistito o dell’eutanasia “impegna la libertà degli altri chiamati a svolgere questa assistenza attiva a morire”, rompendo in maniera radicale “l’accompagnamento fraterno offerto”, trasforma la missione di quelli che danno cure e “rovina la fecondità del simbolo del buon samaritano che ispira amore, base di una società degna di questo nome”.

I vescovi mettono in luce come in questo caso “il desiderio di pochi dovrebbe portare la nostra società a proporre la morte a tutti gli incurabili”, mettendo a rischio l’intera dinamica della cura.

Sottolineano i vescovi: “Tutti dovrebbero essere preparati alla malattia e alla morte . Non lo facciamo preoccupandoci, immaginando il peggio, ma imparando a sfruttare ogni momento per avvicinarci a Dio e agli altri. Chiediamo la grazia di capire che essere dipendenti non è una caduta”.

Questo articolo di Andrea Gagliarducci è stato pubblicato il 17 novembre 2022 su ACI Stampa [QUI].

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