Accogliere: voce del verbo ‘sinodando’

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Tempo fa, a un ritiro con tutto il presbyterium di una cinquantina di sacerdoti, il vescovo di Ginevra ci fece la sorpresa di far intervenire anche due attori. Dovevano mostrare come il parroco accoglie la gente. Scene particolari. Gustosissime. La risata da parte di tutti era scontata e anche sonora… Ma, subito dopo, nel retrobocca, rimaneva un’amarezza indicibile. ‘Quello ero io!’, veniva da pensare per molti!

Ed a questo punto, su questo stile di accogliere, mi viene da ripetere con Alda Merini: ‘Mi piace la gente che sceglie con cura le parole da non dire’. Ci si è capiti lo stesso… In clima sinodale, tuttavia, cioé del camminare insieme, é bene soffermarsi su quest’arte del saper accogliere. Dell’incontro imprevisto. Del primo contatto. ‘Le persone capitano per caso nella nostra vita, ma non a caso… A volte ci fanno volare alto, altre ci schiantano a terra, insegnandoci il dolore…’,aggiungerebbe sempre Merini.

Un incontro. E’ spesso frutto della sorpresa, dell’imprevisto, del casuale. Per chi ama programmare ogni cosa, è un incidente che cambia i propri piani, un test della disponibilità allo Spirito.

Sì, ciò che fa affermare a papa Francesco una bella equazione: ‘Dio è sorpresa’. Eppure, in queste occasioni, la nostra fede viene meno… E si fanno avanti, invece, frettolosità, atteggiamenti di fuga (‘scusi, sto uscendo’) o di difesa.

Ricordo il giovane fra Pietro, della comunità francescana di Meknès (Marocco), che ogni volta prima di aprire la porta, che dava su una strada sempre affollata di un va-e-vieni continuo, diceva forte: ‘Lo so Signore che sei tu…’, quasi come una preghiera e poi apriva! Era un volto nuovo, un ragazzino musulmano, un anziano, un malato… era sempre una sorpresa.

Carla, una catechista del mio paese, invece, mi confessa: ‘Ogni volta che mi presentavo dal parroco precedente, mi sentivo ripetere il solito mantra:Sei qui a farmi perdere tempo!? Perfino quella volta che avevo un grave problema da risolvere e lo si leggeva benissimo in faccia!’Il tempo non è nostro, appartiene all’incontro.

Accogliere significa, pure, dare il proprio telefono, rendersi reperibile, disponibile. Non solo diffondere quello della parrocchia, che può suonare a lungo e invano… Lasciarsi toccare come il Cristo nel Vangelo.

Nel sito web, nelle schermate del comune troverete facilmente il nome del sindaco e il modo di contattarlo, ma in quello di una parrocchia raramente il volto e il contatto del parroco, preferendo restare nell’ombra…

Disponibilità si chiama anche visibilità. Osare, allora, uno spirito nuovo come l’empatia, non quello del mondo sempre portato all’autodifesa. A prendere le distanze… Un vecchio maestro di spirito ce lo ripeteva: ‘Il prete è colui che si lascia mangiare dalla gente come il pane’.

Ricordo un vicario generale della diocesi di Versailles, dove mi trovavo, che ci raccomandava di inserire sempre nella giornata degli incontri ‘gratuiti’, non programmati. Casuali. Per abituarsi alla flessibilità, all’ascolto dello Spirito. La gratuità. In verità, é proprio questa la qualità più bella di Dio.

Mentre i nostri sforzi sono tutti rivolti per poterlo incontrare, attraverso di essa è lui stesso che ci viene incontro spontaneamente. Gratuitamente. Penso alla curiosa iniziativa dell’abbé Jean Pierre, incontrato in Svizzera, un paese super-programmato, che (cosa risaputa) il 15 di ogni mese si barricava in casa per ricevere qualsiasi persona, liberamente, fino alla mezzanotte, senza appuntamento. Perfino i giovani ne approfittavano.

Quasi un originale ‘clin d’oeil’ (strizzata d’occhio) alla gratuità. In fondo, negli incontri e nello scambio, mi ha sempre ispirato la riflessione di un noto giornalista scientifico:

“Una delle migliori definizioni di intelligenza è flessibilità: la capacità di trovare soluzioni giuste non marciando diritti per la propria strada, ma cercando altri percorsi più fruttuosi”. Si, in fondo, in ogni incontro tutto è grazia, se la vita è dono.

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