L’orgoglio, la provocazione e la complessità distopica

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.11.2022 – Vik van Brantegem] – Viviamo ormai nell’era delle distopie, in un mondo non più reale ma virtuale. Un mondo che fa tornare alla mente i tanti libri di fantascienza letti. Prima di tutto 1984, il romanzo di George Orwell pubblicato nel 1949, fortemente condizionato dalla sfida ideologica fra democrazia e dittatura. Può sembrare un libro su un futuro come lo si immaginava sulla fine degli anni in cui sono nato, che però non si è realizzata. Invece, va letto come un esorcismo per i lavori in corso nei cantieri di ogni politica totalitaria. Serve come antidoto di ogni progetto collettivista che annulli la persona umana, fatta a somiglianza e immagine del suo Creatore.
Poi, pensiamo a 2001: Odissea nello spazio, il film prodotto e diretto da Stanley Kubrick del 1968, oppure Blade Runner diretto da Ridley Scott del 1982: «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire» (monologo di Rutger Hauer nei panni del replicante Roy Batty, il quale sotto la pioggia prima di morire lo afferma amaramente).
«Non far caso a me.
Io vengo da un altro pianeta.
Io ancora vedo orizzonti
dove tu disegni confini»
(Frida Kahlo).
Questi tempi vengono accompagnati da tanta bla bla bla sui social e di più ancora nei talk show (che da tempo mi rifiuto di vedere… ottenendone conferma ogni volta che sono obbligato di rivedere uno spezzone). Ma accanto a tanti “repetita iuvant”, più o meno utili (molte volte meno che utili), riscontriamo anche delle considerazioni incredibilmente lucidi e delle ipotesi plausibili. Pur scartando quanto non è degno di neanche un secondo del nostro tempo, che è prezioso, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta tra tante analisi puntuali, approfondite, sistemate, stimolanti, talvolta anche inquietanti, che obbligano a riflettere. Con la domanda ultima: cosa resta all’essere umano?
E resta sempre da capire dai dati oggettivi presentati – scartando le fake news e le narrazioni agitprop, diffuse dalle diversi parti in causa – dove la la creatura umana sta andando. Se verso un collasso, oppure verso una nuova epoca evolutiva umana, come quella iniziata dalle caverne, passata alla tribù del villaggio, attraverso la Città Stato, allo Stato Nazione e alla globalizzazione. Diamo per certo il collasso, ma le certezze non esistono. Pierluigi Fagan sostiene che siamo (già) entrati in una nuova epoca e la chiama epoca della complessità.
«Si chiacchiera di era della complessità da quando ero bambino, alla faccia della novità. Chi ha studiato cosa significa effettivamente “complessità” ha scoperto che, nelle sue applicazioni sociologiche, è spesso semplicemente il modo che hanno i poveri di idee di travestire la propria incapacità di pervenire ad una visione d’insieme. Esiste naturalmente una retroguardia, che si muove tutta ancora dentro categorie veteromarxiste, e che continua ad aspettare la caduta del capitalismo. Finché non si capisce che tecnocrazia e capitalismo sono nel profondo la stessa identica cosa non se ne esce» (Andrea Zhok).
Intanto, la complessità espositiva conduce sempre a rivoli di considerazioni secondari, che lasciano nella maggioranza dei casi irrisolta la questione di fondo, non perché viene trascurato o che non se ne abbia contezza, ma semplicemente in quanto appare non esserci risposta. La questione è: che fare? Perché, secondo il brano Carro di Elio e le Storie Tese, «tra il dire e il fare c’è di mezzo “e il”».
Come possiamo sfuggire al “e il”, cioè, all’automatismo legislativo, mediatico, finanziario e liberarci della capacità delle élite di avere una visione più permanente, incisivo e performante rispetto ai propri detrattori? La risposta è doppia: la necessità di nuove consapevolezze e la decisione condensata nella frase scritta su un muro: “Se vuoi fottere il sistema, studia”. La strada della metacognizione… Significa contrastare il sistema con le sue stesse armi, avere una visione un passo avanti e agire di conseguenza. Ipotesi di contrasto, sempre tenendo a mente che il sistema lo ha già previsto e potenzialmente reso impotente, ben prima che lo si prendesse in esame: il processo democratico (però i sistemi di governo sono “cosa loro”); l’informazione mediatica (però i mass media sono sempre “cosa loro” e non basta poter dire la verità sui social, perché la verità ha efficacia solo se arriva contemporaneamente ad una massa critica che la sostiene); moti di piazza, scioperi, agitazioni varie (appannaggio dei “fottitori di sistema” che potranno esercitarsi a gonfiare il petto orgogliosi e tronfi di aver “lottato” per la causa).
Insomma, ipotesi che non funzionano. Non si può immaginare una reazione che il sistema non abbia già previsto. La domanda di fondo rimane quindi, quali azioni il sistema non è in grado di prevedere e di gestire. La risposta è: riflettere, analizzare, ragionare, pensare.
«Quando pensare diventa una cosa sconcia.
Il pericolo per il mondo non sono i cattivi. Questi alla fine sono razionali, conoscono il senso del limite, sono guidati dal loro tornaconto. E dunque sono prevedibili, sono agenti razionali. Si può negoziare con loro. A un certo punto si fermano, sai che si fermeranno, perché non è più vantaggioso per loro.
Ad essere pericolosi sono gli stupidi, quelli dei buoni sentimenti.
Da una parte generalmente rappresentano gli utili idioti che servono ai cattivi per perseguire i loro scopi. Mascherano interessi inconfessabili, permettono di chiamare lo schiavismo “emancipazione”, la guerra pace.
Dall’altro sono così stupidi che, per amore dei valori di umanità e per restare umani, sarebbero disposti a distruggere il pianeta.
Alla fine non sono solo stupidi: sono dei perversi.
Amano più le idee che gli uomini, credono che l’importante sia salvare le idee e i valori, anche a costo di sterminare la razza umana.
Diffido di loro più che dei cattivi.
Non ho paura dei cattivi, ma di questa ondata di buoni sentimenti, di esaltati, di fanatici, sì. Possono portare il mondo davanti alla catastrofe. Non risolveranno un solo problema, ma li aggroviglieranno, li faranno infettare.
Ogni problema viene esasperato attraverso costoro, perché hanno sostituito l’indignazione permanente all’analisi e al pensiero.
Per questa gente pensare è una cosa sconcia» (Vincenzo Costa).
Riporto una breve riflessione che mi è stato inviato da una amico via un messaggio privato, scritto da una terza persona, sul momento contingente:
«Guardate attentamente cosa è successo negli ultimi 3 giorni:
Domenica attentato a Istanbul che media all’interno della NATO per grano e per la pace in Ucraina con la Russia.
Attacco dei missili in Ucraina su tutto il territorio che parte dopo che Zelensky al G20 bolla le trattative di pace che andavano avanti da almeno un mese tra Russia e USA.
Caduta del missile/frammenti dopo che tengono la riunione del G20 a Bali le principali potenze, dove non è andato Putin ma Lavrov, così da poter dire che Putin è il mandante e aveva premeditato tutto.
Poi arriva la notizia di un ennesimo attentato in serata a Istanbul, con esplosioni nel quartiere Fatih dove ci sono 3 auto in fiamme. Questo è il chiaro segnale: nessuna trattativa di pace. La Turchia si sta riducendo a interpretare il ruolo dell’Italia della tarda metà Novecento (da Piazza Fontana a Tangentopoli)» (Federico Mussuto).
Non so… e so di non sapere, nella consapevolezza che ci sono molte letture possibile del tempo che viviamo. Come è possibile anche la diversa lettura dell’amico e collega Renato Farina, pubblicata questa mattina su Libero Quotidiano: «La pioggia di piombo contro Zelensky è un atto deliberato, la reazione del Cremlino all’accordo fra Xi e Biden a Bali. Per dire al Mondo: “Anche noi siamo una grande potenza”».
Offriamo all’attenzione dei nostri attenti lettori anche questa lettura di Farina, come sempre pensata e ragionata… consapevole – lui stesso per primo – che potrebbe anche essere sbagliato. Comunque, l’importanza non è nell’esprimersi, ma consiste nella capacità di pensare e di ragionare. Come scrisse qualche giorno fa Valentina Villano in un commento: «Dire sempre quello che si pensa non è intelligente, né onesto, né sincero. Partendo dal presupposto che le nostre opinioni non sempre sono giuste e seppur conosciamo tanto, sicuramente non conosciamo tutto. Mai dimenticare che l’obiettivo di una conversazione scritta o parlata è quella del confronto, per migliorare, non quella dello sfogo».
Buona lettura.

Questione di orgoglio
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 16 novembre 2022
Un missile russo ha colpito la Polonia, e ci sono due vittime polacche. Questo per il destino del mondo, e dunque per il nostro, è un fatto più grave persino dell’aggressione di Putin all’Ucraina. Non vale dire che il fatto in sé è poca cosa rispetto, quanto a costi umani, rispetto all’ecatombe della guerra in corso con ferocia inaudita dal 24 febbraio. Ci sono eventi che hanno una potenza di devastazione enorme, come la scissione del primo atomo di una bomba atomica.
Le ipotesi si rincorrono sulla risposta che darà anzitutto la Polonia. Se invocherà cioè l’articolo 5 del trattato che lega gli Stati (e i popoli) nel Patto Atlantico e nella conseguente alleanza militare. Lo trascrivo perché sono radunati i consigli di sicurezza di Polonia, Usa, Ungheria, Lettonia. Sono escluse azioni isolate della Polonia, essendo essa in stretto contatto con la cabina di comando della Nato e soprattutto con Washington.
«Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o nell’America settentrionale, costituirà un attacco verso tutte, e di conseguenza convengono che se tale attacco dovesse verificarsi, ognuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’impiego della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale».
Chiaro? Traduzione: quel missile ha colpito anche l’Italia. Potremo essere chiamati a partecipare con il nostro esercito a un’azione bellica insieme giustificata e dalle conseguenze imprevedibili.
Le ipotesi a questo punto si fanno terrificanti. Non solo a partire da quale risposta decideranno gli Stati dell’alleanza occidentale, ma anche dalle reali intenzioni del Cremlino. Pochi considerano quest’altra faccia della questione: che cosa vorrà intraprendere il Cremlino anticipando le decisioni degli Alleati.
Rischi calcolati
I giornali polacchi per diminuire la gravità dell’accaduta riferiscono che a cadere su un piccolo villaggio, Przewodów, prossimo alla frontiera siano stati i frammenti di un ordigno volante abbattuto dalla contraerea ucraina. In realtà cambia poco. Non sono cose che capitano per caso. Sono rischi presi in considerazione nel momento in cui decidi di tirare un razzo ipersonico mirando un obiettivo a un passo da un Paese della Nato: sai perfettamente che un incidente simile – un missile intero o i suoi rottami – possono colpirlo. Quello russo non è un errore in buona fede, ma la conseguenza di azioni che contemplavano questa eventualità. Non esistono atti di guerra colposi. I missili vaganti non sono contemplati come attenuanti. Che l’Ucraina sia li a poca distanza da Przewodów non può essere considerata una provocazione polacca. Questo sembra invece essere la grottesca posizione del ministero della Difesa russo quando sostiene non che il missile ma quanto riferito da ufficiali e da media di Varsavia siano «provocazioni deliberate».
E qui siamo alla parola chiave. Provocazione. Chi provoca chi? La Russia sembra desiderare una reazione militare diretta della Nato. E la risposta di Putin a quanto accaduto a Bali. Non il discorso di Zelensky, prevedibile, e perciò non in grado di determinare escalation.
Potenza imperiale
Ma l’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping, dove è apparsa evidente la presa di distanza della Cina dall’alleato russo. La Russia, potenza imperiale, non accetta di essere trattata come un vassallo di Pechino. E agendo spericolatamente vuol far venire allo scoperto XI Jinping. Il caso è tremendamente serio. Nel marzo scorso Biden disse al Presidente polacco Duda: «L’articolo 5 è sacro».
Solo le scuse russe limiteranno i danni. Ma non ci crede nessuno.
«In questo momento complesso, come ricorda San Giovanni XXIII, i governanti e quanti hanno responsabilità sui popoli e le nazioni, ascoltino il grido degli uomini di buona volontà che si innalza da ogni angolo della terra verso il cielo: “Pace”» (Don Salvatore Lazzara).
«I membri della NATO hanno convenuto che dobbiamo rimanere vigili, calmi e in stretto coordinamento. La Russia deve porre fine a questa guerra insensata. L’esplosione in Polonia è stata molto probabilmente causata dal missile di difesa aerea ucraino, non è colpa dell’Ucraina» (Jens Stoltenberg, Segretario Generale della NATO).
Va sottolineato come la verità dei fatti non abbia alcuna rilevanza, dice il Professore Andrea Zhok. Gli Usa hanno fatto sapere che il missile sia ucraino perché NATO ed Usa in questo momento non hanno sufficiente interesse a creare un casus belli. Se invece gli Usa lo avessero ritenuto utile, avrebbero fatto affermazioni in senso opposto. Avrebbero detto che il razzo era partito dalla Russia, tutti i media avrebbero ripreso e la cosa avrebbe creato il casus belli.
Foto di copertina: un dipinto murale nello stile di Banksy sui muri distrutti dall’esercito russo nella città ucraina di Borodyanka.