“Una Missione Trasformante da Compiere” il libro di Rocco Gumina che indaga sul nesso tra cattolici e politica. Ne parliamo con l’autore

UNA MISSIONE TRASFORMANTE DA COMPIERE
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Uno strumento per riflettere e stimolare l’impegno dei cristiani. È questo il motore di fondo che anima “Una Missione trasformante da compiere. Prospettive sul contributo dei cattolici nella società”, il nuovo libro di Rocco Gumina, edito da Paruzzo Editore. Docente di Religione nelle scuole statali della diocesi di Palermo, un Master in bioetica e tra i fondatori del movimento Open politiche aperte, per lo sviluppo di buone pratiche culturali, economiche e politiche, il prof. Gumina vanta diverse pubblicazioni su riviste specialistiche e volumi per studiare il nesso tra teologia, politica e spiritualità.

Prof. Gumina, in una politica sempre più liquida, in cui gli ideali hanno ceduto il passo alla ricerca ad ogni costo del consenso di massa, che novità possono ancora apportare i cristiani impegnati?

Innanzitutto penso che la liquidità della società influenzi la politica sino al punto di registrare l’assenza della medesima. Infatti, il vero problema che attanaglia la politica odierna è la sua mancanza ovvero l’impossibilità di generare sia sintesi fra le varie componenti sociali sia visioni in grado di andare al di là della gestione delle emergenze al fine di confluire in progettualità. Difatti, ai nostri giorni, non esistono più quei percorsi che hanno contraddistinto la politica e i partiti del Novecento europeo. In simile scenario, non credo che la novità possa svilupparsi da specifici gruppi – incluso i cristiani – bensì questa potrebbe originarsi dalla risposta agli eventi che letteralmente accadono per volontà di pochi uomini, come la guerra in Ucraina, o di fattori incontrollabili, come la pandemia da Covid-19. Dinanzi alle novità storiche, non volute o non attese come un conflitto o un virus, gli uomini reagiscono in vari modi. Quello dei seguaci del Cristo, come ci ricorda papa Francesco nell’enciclica sociale Fratelli tutti, si colloca nella riscoperta della centralità della persona umana tesa a partorire relazioni fraterne volte alla promozione del bene comune. Da questo punto di vista, sono convinto che lo stile cristiano possa apportare novità alla politica odierna a cominciare dal modo di affrontare i fatti che accadono. Si tratta di affrontarli attraverso l’attenzione all’uomo e la diffusione della fraternità di cui la politica, se vuole tornare ad incidere nella storia, ha disperato bisogno. Alla luce di questo ragionamento, la proposta cristiana può offrire una novità nel panorama odierno: quella di una politica più umana. Lungi dal rappresentare un’idea astratta, una politica più umana è un genere di proposta contraddistinta dalla costante consultazione della morale e, dunque, diretta a garantire la dignità ad ogni persona. Soltanto così, l’etica derivante dall’opzione cristiana potrà costituire una sorta di alternativa al turbocapitalismo di massa tipico delle società dei paesi più avanzati. Se, insomma, interpretiamo il mondo in chiave evangelica, la pace – ricercata e gridata in molte piazze anche dai cristiani – e la salute per tutti, da garantire nell’epoca pandemica, sono rilevanti novità rivolte a innovare profondamente la politica e le istituzioni.

Nel suo libro parla di visione cristiana dell’economia o di valenza sociale del messaggio cristiano, citando autorevoli fonti del passato come Giorgio La Pira. Secondo lei, possiamo ripartire da tali testimonianze per un approccio più solidale sia della politica che della società contemporanea?

Il valore delle testimonianze credo sia indiscutibile purché queste non vengano interpretate come una sorta di immagine statica da riproporre integralmente e senza distacco critico. Nel Novecento italiano, attraverso l’impegno in politica e nella società parecchi cristiani sono stati innovatori. Basti pensare alle società di mutuo soccorso degli inizi del ‘900, al percorso partitico aconfessionale di don Luigi Sturzo, all’impegno nella resistenza al nazifascismo, alla stesura di articoli fondamentali del nostro dettato costituzionale ad opera di Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, all’impegno da parte di molti uomini e donne della Democrazia Cristiana per una società italiana sempre più libera e giusta. Questi percorsi sono stati possibili poiché a partire da una certa interpretazione del mondo, quella cristiana, vi è stata un’interazione con la realtà storica del momento che ha reso protagonisti questi personaggi che adesso reputiamo testimoni. Pertanto, ricordare queste figure non basta. Oggi le comunità credenti, e tutti coloro che s’imbattono nell’opera politica, sono invitati da un lato a conoscere e custodire la lezione del passato dall’altro a metterla in circolo nell’attualità caratterizzata da dinamiche totalmente differenti dai periodi storici superati. Si tratta, allora, di un impegno teso a spendere quanto di buono si eredita per farlo fruttificare in modi e tempi del tutto originali. Specie i cattolici sono chiamati a questa fatica contraddistinta dallo studio delle testimonianze e dal coraggio tanto di investire quanto di rischiare per un impegno volto al bene di tutti. Su questo versante educativo-formativo le comunità parrocchiali e i gruppi cattolici sono invitati seriamente ad interrogarsi sul loro impegno destinato alla conoscenza “dinamica” – e perciò critica e attualizzante – di questi testimoni che da una visione cristiana della realtà sono divenuti “sale della terra” e “luce del mondo”. Solo in tal modo le acquisizioni sociali e politiche che ereditiamo – su valori come libertà, giustizia, solidarietà, sussidiarietà – saranno in grado di germinare un approccio fecondo per il presente e il futuro.

Rocco Gumina

Papa Francesco durante il suo pontificato ha ribadito il concetto di una Chiesa che cammina nella Storia degli uomini. Una Chiesa con le porte aperte e solidale. Qualcuno ne critica il pensiero poiché troppo poco legato al fine escatologico del cristianesimo. Lei che idea si è fatto?

Ritengo che la questione non riguardi soltanto l’insegnamento dell’attuale pontefice bensì, più globalmente, l’accoglienza e la comprensione integrale del messaggio evangelico annessa al tentativo di viverlo nella quotidianità. In merito a questo tema, padre Bartolomeo Sorge si esprimeva in questi termini «Il Vangelo non è un libro da leggere. È un libro da vivere». Per il cristiano, infatti, la storia umana è il tempo nel quale annunciare la misericordia del Signore ovunque incluso gli orizzonti sociali, politici, economici e culturali. Ne deduciamo che il credente abita il mondo e non ha alcun diritto a separarsi dai problemi che affliggono l’umanità. Anzi, proprio la missione connessa all’annuncio del regno di Dio, spinge concretamente il discepolo a promuovere la dignità di tutti, specie dei poveri. In tal modo il credente non è uno spettatore dell’evoluzione degli eventi ma è invitato a divenire un attore per incidere praticamente nella realtà con opere finalizzate al pieno sviluppo dell’uomo. Così, la rilevanza sociale dell’annuncio evangelico rappresenta una dimensione essenziale dello stesso poiché la verità cristiana non è “dell’altro mondo” bensì di “questo mondo”. Difatti, come scrive il teologo Metz, non dobbiamo dimenticare che la spiritualità e la mistica cristiana – lungi dal coincidere con introversi intimismi e fideismi – sono profondamente politiche. La politicità del cristianesimo non risiede nella ricerca del potere ma nell’ottica dell’assumere tutta la realtà come mezzo di salvezza propria e altrui. Di conseguenza il regno di Dio annunciato da Gesù rinvia a una liberazione non puramente interiore ma anche storico-mondana e materiale. Ciò per il credente si declina in questo modo: i rapporti dell’uomo con il mondo sono decisivi per i rapporti dell’uomo con Dio e viceversa. Sono convinto che il magistero di papa Francesco esprima al meglio simili declinazioni sociali dell’annuncio cristiano fondato su quanto il pontefice stesso scrive al numero 177 dell’Evangelii gaudium «il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la via comunitaria e l’impegno per gli altri».

Capita che quando il Magistero interviene su questioni legate alla sfera “terrena”, specie se controverse, subisce attacchi riguardo a ingerenze rispetto al suo ambito di competenza. Ma è davvero così? Quando la Chiesa si esprime su avvenimenti o evoluzioni sociali che toccano da vicino anche il campo politico, può far finta di nulla, restando confinata nel suo ruolo di guida spirituale?

In primo luogo sono persuaso del fatto che il magistero intervenga sempre su questioni che riguardano l’uomo nella sua integrità. Non possiamo, infatti, scindere la parte spirituale da quella carnale. L’uomo è un essere unitario e i molteplici aspetti della sua essenza si influenzano reciprocamente. Senza questo presupposto teologico, si rischia di dare implicitamente manforte a visioni laiciste tese a silenziare la rilevanza pubblica e sociale delle religioni in nome di una presunta neutralità dagli esiti nichilistici. Chiarito ciò, penso che una certa cultura occidentale difetti nella lettura del valore della laicità. Quest’ultima non risiede in un’astratta neutralità, nel nascondimento delle proprie identità, nel silenziare la riflessione sulla società maturata dalle religioni. Al contrario, la laicità è inclusione dei diversi e delle pluralità in grado attraverso l’agire comunicativo di convergere su questioni che riguardano tutti. In simile versione della laicità, il contributo delle religioni – e quindi anche della riflessione cristiana – non è soltanto accolto bensì auspicato al fine di favorire la dignità degli uomini. Si pensi, ad esempio, alla dichiarazione sulla fratellanza umana scritta da papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb nel febbraio del 2019. Diverso è, invece, il ragionamento connesso all’impegno dei cattolici in politica. Se la missione della Chiesa in quanto comunità è legata ad una finalità tanto spirituale quanto educativa, i laici credenti – come insegna il Concilio Vaticano II – sono invitati sotto propria responsabilità a trafficare i propri talenti nella società e in politica. Alla luce di ciò, dobbiamo chiaramente sostenere che la Chiesa non può far “politica partitica” ma i suoi figli – cresciuti tramite il suo insegnamento – sono chiamati a prendere parte nell’agone politico per la ricerca del bene comune il quale può raggiungersi nell’appartenenza a soggetti partitici che nella loro visione mettano al centro l’uomo e i suoi bisogni.

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