Tante cose non tornano nell’attentato a Istanbul

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 15.11.2022 – Renato Farina] – Il giorno dopo la strage di Istanbul (ore 16 e 20 di domenica 13 novembre 2022; 6 morti, 81 feriti), via Istiklal è coperta dal mantello del lutto, una tristezza che taglia le gambe e il fiato. Si è saputo che tutte le vittime sono di nazionalità turca, e tra esse c’è una ragazzina di 15 anni e una bambina di 9. Le vetrine sono rigonfie delle caramelle più buone del mondo, ma chi le vuole più? Si vorrebbe gettarne mandate su quei corpicini per regalare un po’ di dolcezza.

In che razza di mondo siamo? Siamo in un mondo in guerra. Come dopo un terremoto: si piange per i morti, ma si teme ne arrivi un altro, persino più catastrofico del primo. Si evitano assembramenti per non trasformarsi in bersagli. È un fatto di esperienza e di precauzione. Il terrorismo – di qualunque matrice esso sia – non tira mai un colpo solo. E riesce ad arrivare dappertutto. I consolati invitano via mail le loro comunità di cittadini a starsene chiusi, a non prendere mezzi pubblici, a evitare le zone sensibili.

Misure impensabili fino a ieri a Istanbul, specie in quella arteria pedonale dove il coefficiente di penetrazione spionistica è totalitario, non vi sfuggono neppure i dialoghi tra i bambini e le parole pronunciate piano dagli innamorati in tutte le lingue del mondo. Istiklal Caddesi è la strada più popolare e più gremita di folla del mondo, vi passeggiano in tre milioni nei fine settimana, ma è anche -insisto – la più sorvegliata da telecamere e strumenti di identificazione facciale dell’orbe. Eppure sono riusciti a colpire nel mucchio.

Domande

Come è stato possibile? Chi è stato? A chi giova? Mettiamo in fila le tre domande. Le risposte si specchiano una nell’altra.

1. Come? C’è un limite nella perfezione insita nella tecnologia. Vede tutto, riconosce chiunque. Ma sapere tutto impedisce di aprire in un secondo il libro alla pagina giusta. Accadde nel 2001, 11 settembre. Tutti i dati accumulati avrebbero consentito, se scriminati selettivamente e per tempo, di prevenire. I servizi segreti conoscono i limiti del controspionaggio basato solo sull’elettronica. Dà una falsa sicurezza. La cyber consente un minuto, un’ora dopo gli eventi di individuare e catturare i colpevoli. Ma dopo, quando a quelle bambine non interessa più. Infatti…

2. Chi? Sono bastate poche ore. Lo dice l’arresto di 46 curdi-siriani a Kucukcekmece, un sobborgo dell’immensa metropoli bizantina da 16 milioni di abitanti, indica con certezza. La donna con i calzoni di una mimetica, il velo nero, lo sguardo teso e vuoto per conservare la lucidità, era stata inquadrata, riconosciuta. C’è un filmino diffuso ieri mattina che mostra la squadra speciale dei servizi segreti che sale le scale e afferra la ragazza del velo nero e della bomba, stavolta vestita color malva.

Si accusano dunque i Curdi siriani come gli autori materiali dell’attentato.

Il mandante? I Turchi rispondono: gli Usa, la Cia. Non lo dicono in modo diretto, ma arrivano a un pelo dal pronunciare la parola fatale: è stata la Cia.

Presunta colpevole di tutti i guasti del mondo, l’agenzia americana è implicitamente, ma con evidenza, coinvolta non da un organo di polizia, ma dal Governo che chiama in causa di fatto la Casa Bianca. A questo punto il fatto da questione locale assume la forma di evento bellico criminale su uno dei fronti non dichiarati ma centrali della Terza Guerra Mondiale. Accade quando Recep Tayyip Erdoğan, da Bali, mentre è in corso il G20 – e Joe Biden sta incontrando Xi Jinping – incarica il suo Ministro dell’Interno di puntare il dito contro un mandante che sta molto ma molto in alto. Non ha le prove, non c’è la pistola fumante, ma Siileyman Soylu batte un colpo micidiale. Usa i criteri enunciati dal Padrino Vito Corleone: il primo che manda le condoglianze, è lui ad aver ammazzato tuo fratello. In questo caso a battere la concorrenza in efficienza è stato l’Ambasciatore americano. Da qui le conclusioni devastanti di Soylu: la Turchia «rifiuta» le condoglianze degli Stati Uniti, che «sostengono i terroristi curdi». Insiste: «Non accettiamo, anzi respingiamo, le condoglianze dell’Ambasciata statunitense. Mettiamo in discussione la nostra alleanza con uno Stato che mantiene Kobane (la città oggetto di attacchi ripetuti dall’Isis prima e dai turchi poi, ndr) e foraggia queste sacche di terrore». Funziona così secondo Erdoğan. L’America mantiene i curdi perché nemici dei turchi. Passa denaro, armi e soprattutto informazioni.

Pedine

Dice Soyla con bocca irosa: «Il responsabile è colui che fornisce informazioni interne al PKK», gli altri sono pedine. Il PKK smentisce qualsiasi connessione. E propone un’altra ipotesi. Sono stati i servizi turchi a combinare l’orrida faccenda. Esistono gruppi marginali, tra i curdi, disperati e capaci di tutto: molto manovrabili.

3. A chi giova? Ipotesi “False flag”, bandiera falsa. In cui i massimi esperti sono i servizi russi, oggi fiancheggiatori di Turchi e Iraniani. L’attacco di domenica a pochi mesi dalle nuove elezioni legislative e presidenziali e in un momento di crisi, è stato perpetrato per crearsi un nemico interno. Ma a prevalere, secondo la logica, è la ripresa da parte dell’America di un ruolo di interlocuzione diretta con Cina e Russia. E la missione atroce di Istanbul servirebbe a far cadere dal busto di Recep Tayyip Erdoğan la corazza dell’invincibilità.

Incognita: cosa combinerà adesso la Turchia?

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

Foto di copertina: dopo l’attentato dinamitardo di domenica, ieri via Istiklal a Istanbul era addobbata con le bandiere turche (Getty Images).

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