35ª Udienza del processo 60SA in Vaticano. Prosegue l’escussione dei testimoni dell’accusa. Un’evocazione dello sketch del Cavaliere Bianco e il Cavaliere Nero di Gigi Proietti. Morale: di reati neanche l’ombra

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.11.2022 – Vik van Brantegem] – Giovedì 10 novembre 2022 si è svolta nell’Aula del Tribunale vaticano, allestita presso la Sala polifunzionale dei Musei Vaticani, la 35ª Udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, sulla vicenda che ha portato alla compravendita del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra e una vasta gamma di altre questioni, che potrebbe coprire diversi processi.

Sono stati ascoltati altri tre testimoni chiamati dall’accusa, che hanno prodotti momenti di comicità surreale, andando molto oltre le evocazioni da considerare serie a confronto, riportati nell’incipit dell’articolo sulle due udienze precedenti, che ricordiamo di seguito.

«Con ogni nuova Udienza del processo 60SA al Tribunale vaticano, diventa sempre più difficile comprendere con quale ratio si continua con questa farsa della giustizia, una rappresentanza nel reale dei romanzi Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, uno dei migliori esempi del genere letterario nonsenso, e Il Processo di Franz Kafka, da Le Monde messo al terzo posto della classifica dei cento migliori libri scritti nel ventesimo secolo, incompiuto, come il processo vaticano ancora in corso, impossibile capire per quanto tempo ancora».

Queste son cose serie, dicevamo, a confronto degli episodi ascoltati nella 35ª Udienza, che fanno piuttosto pensare agli avanspettacoli o, per essere molto generosi, al teatro leggero di Gigi Proietti, che fece ridere sempre la platea. In compenso, al Tribunale vaticano di reati si continua a vedere nemmeno l’ombra. E lo spettacolo messo in scena non fa neanche ridere. Dal 7 ottobre 2021 lo ripetiamo: «La farsa vaticana è diventata una tragicommedia, con un nuovo giro di valzer, come era da costume greco. E colui che sta in Altissimis – che ne ha il potere legittimo e interviene pure a favore dell’accusa – non si decide di tirare il sipario e farla finita. Il vero scandalo in Vaticano è tutto lì».

Il primo testimone, Giuseppe Milanese, amico di Papa Francesco, ha rivelato di aver inviato una volta un sms al Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, Arcivescovo Edgar Peña Parra, dicendo che non si capiva più “chi erano gli amici e chi i nemici”. “Il Sostituto cercava di comprendere, era abbastanza preoccupato di una situazione di cui non si veniva a capo”, ha riferito Milanese.

Facendo pensare alla barzelletta colta di Gigi Proietti, Milanese ha inoltre citato un’espressione usata da Renato Giovannini, Vicerettore dell’Università Telematica Marconi, che ebbe un ruolo di “ponte” nella vicenda del palazzo londinese: “Abbiamo da una parte i cavalieri bianchi [cioè, Giovannini e l’Avvocato Emanuele Intendente più il broker Gianluigi Torzi, imputato], che avevano una soluzione, e dall’altra i cavalieri neri [quelli che avrebbero messo in piedi un “sistema di malaffare” da smantellare, ovvero gli imputati Tirabassi e il finanziere Enrico Crasso, storico consulente della Segreteria di Stato], per i quali se fosse saltata l’operazione, la Santa Sede avrebbe avuto danni importanti”.

Lo sketch “Il Cavaliere Bianco e il Cavaliere Nero” fa parte delle “riflessioni colte”, che Gigi Proietti ha proposto più volte nel corso suoi esilaranti spettacoli a teatro. Poi, la frase conclusivo “ar cavaliere nero non je devi cacà er cazzo” è diventata parte del lessico romanesco comune. È raccontata da uno studente di liceo, un “coatto”, che risponde all’invito del professore a raccontare una storia che abbia una morale.

In una classe di cuola, “s’arza un coatto pe raccontà una storia”:
“Er cavaliere bianco e er cavaliere nero fanno a duello, er cavaliere nero ammazza er cavaliere bianco.
Mo er cavaliere bianco c’aveva tre fiji, tutti e tre sfidano er cavaliere nero, ma er cavaliere nero l’ammazza tutti e tre.
Mo sti tre fii c’avevano tre fii per uno; tutti e nove sfidano er cavaliere nero, ma er cavaliere nero l’ammazza tutti e nove.
Mo sti nove fii c’avevano tre fii per uno; tutti e ventisette sfidano er cavaliere nero, ma er cavaliere nero l’ammazza tutti e ventisette! Mo sti ventisette fii c’avevano tre fii per uno…”.
“Va bene basta – dice il professore – Abbiamo capito, dicce la morale della storia…”.
“Ok ok… La morale è che… al cavaliere nero non gli devi cagà er cazzo!”

Gigi Proietti – Er cavaliere bianco Er cavaliere nero (Serata d’onore 2004).

Giuseppe Milanese, medico infettivologo, Presidente Cooperativa sociale Operatori Sanitari Associati (OSA) dedita all’assistenza di persone non autosufficienti nel campo sociosanitario e Vicepresidente Confcooperative Lazio, ha affermato: “Mi sembra di capire di essere stato strumentalizzato probabilmente per la mia amicizia con il Santo Padre”. Mi duole di averlo dovuto mettere in piazza, ma mi sembra di essere stato chiamato non come esperto, ma per la mia amicizia con il Papa”. Era stato citato come persona vicina al Papa da Fabrizio Tirabassi, ex impiegato dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, ora imputato.

Milanese è tra i personaggi totalmente estranei ai reati contestati che sono stati ascoltati durante le indagini. Tra questi, anche l’Avvocato Emanuele Intendente e Renato Giovannini, Vicerettore dell’Università Telematica Marconi. Milanese fu informato verso la fine del 2018 da Giovannini della compravendita del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue, di cui non era neppure a conoscenza. In sostanza, l’idea di Intendente e Giovannini era che Torzi avrebbe potuto portare una soluzione al “problema” 60SA, che aveva fatto perdere “somme importanti” alla Santa Sede, la quale era però “ostacolata” nel concludere l’affare. La fase di cui si parla è quella del passaggio dal fondo Gof di Raffaele Mincione, imputato, al fondo Gut di Torzi, il quale – com’è noto – mantenne mille azioni con diritto di voto che gli davano il controllo assoluto dell’immobile e che chiese alla Santa Sede circa 12 milioni di euro (dagli iniziali 3 stabiliti) per uscire dall’affare. Da Milanese si cercava “un sostegno” per una soluzione. “Il primo aiuto che potevo dare era dipanare la matassa”, ha detto. Nulla più.

Quando gli fu chiesto di partecipare alle riunioni di Londra per la firma del contratto di passaggio dal Gof, rifiutò dicendo che “non aveva senso che partecipasse un medico in questioni dove serviva un avvocato”. Dal 5 gennaio 2019, dopo diverse riunioni, discussioni e appunti presi “su fogli di cartone”, il medico si è tirato fuori da tutta la vicenda.

Processo Palazzo di Londra, davvero un investimento sbagliato?
La testimonianza di Mauro Milanese del 10 novembre mette piuttosto in luce quanti interessi corressero intorno al Palazzo di Londra. Sarà da vedere come si svilupperanno gli eventi
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 12 novembre 2022

La famosa foto di Papa Francesco con Gianluigi Torzi in Casa Santa Marta risale al periodo dei negoziati per l’uscita dello stesso broker dalla gestione del palazzo di Londra e per l’acquisto del palazzo intero, e non solo delle quote, della Segreteria di Stato. E al tavolo delle trattative c’era Giuseppe Milanese (…). Fu lui a dire, in una intervista, che il Papa aveva detto di concludere tutto “con il giusto salario”. E fu lui stesso ad ammettere che era lui che aveva pensato che una cifra congrua per Torzi sarebbe stata di cinque milioni di euro. Come si sa, la Segreteria di Stato poi pagò 15 milioni, con uno “sconto” di cinque milioni ottenuto grazie a monsignor Mauro Carlino, segretario del sostituto della Segreteria di Stato. (…)

Robert Lee Madsen, ottantenne cittadino statunitense, dal 2015 Senior advisor della Segreteria per l’Economia, all’epoca dei fatti in esame Responsabile degli investimenti finanziari all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), alla domanda se avesse mai avuto contatti con il Cardinale Angelo Becciu, ha risposto: “Non ci ho mai parlato, non l’ho mai conosciuto”.

Madsen ha riferito degli incontri in Segreteria di Stato con Mons. Alberto Perlasca (non imputato) e Fabrizio Tirabassi (imputato), allora rispettivamente responsabile e impiegato dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, e con i gestori che venivano a rappresentare possibilità di investimento: “Lavoravano bene, con prodotti standard, una tipologia non aggressiva”. Tirabassi, con cui c’era “una buona collaborazione”, gli chiese una consulenza per l’ipotetico affare sul petrolio in Angola con il fondo Centurion di Raffaele Mincione. “Mi diede l’impressione che qualcuno sopra di lui chiedeva di informarsi”, ha spiegato, “dissi proprio no”.

Madsen ha dichiarato di aver consigliato a Perlasca e Tirabassi, facendo comunque presente di non avere “alcuna esperienza nel campo immobiliare”, “un piano di rientro” dall’investimento nel palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, a fronte di un “indebitamento” della Segreteria di Stato pari quasi a 212 milioni. A domanda del Presidente Giuseppe Pignatone, Madsen ha dichiarato di aver fatto presente che, “per fare un’analisi seria serviva tutto il quadro degli investimenti, un piano di consolidamento che non arrivò mai, tanto che fui anche cattivo con gli addetti dando loro degli incompetenti”.

Interpellato dagli avvocati di parte civile su uno stralcio del suo interrogatorio riferito in un verbale, sul fatto che Mons. Edgar Peña Parra fosse stato “ingannato” e che l’investimento di Londra era stato “un macello”, Madsen ha dichiarato: “Parlai con il Sostituto due volte e dissi che era stato fatto uno sbaglio e che dove far valutare l’investimento da persone esterne e indipendenti non da chi aveva creato problemi”, in riferimento a Perlasca e Tirabassi, “non esperti” nel settore immobiliare, di cui “bisogna conoscere le regole del gioco, soprattutto in Inghilterra”.

Madsen ha fatto anche cenno all’acquisto di un immobile sempre a Londra, ma in High Street Kensington, effettuato tra il 2016 e il 2017 dall’APSA al 51% e dal Fondo Pensioni al 49% (circa 90 milioni a testa, è stato detto), due enti della Santa Sede entrambi presieduti allora dal Cardinale Domenico Calcagno. Il Cardinale George Pell, allora Prefetto della Segreteria per l’Economia, si era fermamente opposto: “Perché il Fondo Pensioni deve pagare il 49% quando deve pensare a pagare le pensioni?”, avrebbe detto Pell, secondo quanto riportato da Madsen. Che sull’esito dell’investimento ha affermato di non avere “dati specifici”, ma di ricordare che il risultato non fu positivo.

Antonio Perno, ex-Direttore amministrativo del Bambino Gesù, è stato ascoltato per pochi minuti. Ha assicurato di non aver mai ricevuto proposte di acquisto di un immobile a pochi passi da San Pietro per allargare gli spazi “saturi” dell’ospedale.

Se il Vaticano si concentrasse sugli asset strategici, cioè l’annuncio, la giustizia e la pace, evitando materie scivolose e scarsamente evangeliche
di Salvatore Izzo
Faro di Roma, 10 novembre 2022


(…) per dire con le parole di Pietro Nenni, il più grande leader di socialisti italiani del ‘900, che: “A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro… che ti epura”. (…)
A noi resta da fare un’amara constatazione: tutto questo con il Vangelo non c’entra nulla! Possibile che non ci si renda conto che si sta distruggendo la credibilità della Santa Sede con azioni davvero incomprensibili? Il problema secondo noi non è il licenziamento più o meno giustificato di Milone e Panicco, ma la loro assunzione, così come l’aver trasformato la Gendarmeria in un Corpo di investigatori (non particolarmente sagaci in effetti) e investito il Tribunale di questioni che non è affatto in grado di dirimere, come si vede in modo palese con il processo per il Palazzo di Londra. Non è nemmeno questione della scelta di persone discutibili, per esempio nominare promotore di giustizia un avvocato penalista che difende personaggi come Salvatore Buzzi… È questione che la Città del Vaticano ha bisogno di bravi giardinieri, ma alcuni servizi era previsto dai Trattati Lateranensi che li fornisse l’Italia, a cominciare proprio dal tema della giustizia. Non si comprende perché San Giovanni Paolo II si sia fidato dei giudici italiani per tentare di venire a capo dell’attentato subito il 13 maggio dell’81 e i suoi successori rivendichino un’autonomia dalla Giustizia italiana che comunque non sono in grado di gestire, come è sotto gli occhi di tutti.
La Riforma di Francesco rischia di incagliarsi su queste materie mondane che andrebbero lasciate ad autorità estranee alla Chiesa, sottoponendosi essa alla loro competenza, come è saggio fare per esempio in tema di abusi sessuali (e purtroppo ci sono ancora resistenze). E non c’è da aver paura di eventuali attacchi mossi alla Chiesa attraverso gli organi dello Stato italiano. La Chiesa non è chiamata a difendere i suoi privilegi ma a condividere il cammino, certe volte sofferto, dei più piccoli.

Postscriptum

Mentre il Cardinale Giovanni Angelo Becciu in Tribunale vaticano sta dimostrando la sua totale innocenza rispetto alle accuse e ottiene ragione – indirettamente – anche in tribunali inglesi (contrariamente a quelli italiani), si ritrova tirato in ballo dal suo ex sottoposto, diventato suo accusatore nel processo 60SA vaticano, Mons. Alberto Perlasca, convertito da indagato in “pentito” e “collaboratore di giustizia”, promosso a testimone chiave e costituitosi parte civile. Ora il Cardinal Becciu ha perso anche la causa civile intentato al Tribunale civile di Como contro Perlasca e la sua amica Genoveffa Cifferi, che dovrà pure risarcire. Dopo i danni, anche la beffa.

“Voglio i danni”. Il giudice gela Becciu e lo condanna a risarcire il suo accusatore
di Nico Spuntoni
Il Giornale, 10 novembre 2022

Quella di ieri è stata una giornata da dimenticare per il Cardinale Giovanni Angelo Becciu. Dopo la notizia della maxi-richiesta di risarcimento danni alla Santa Sede presentata dal suo ex “nemico” Libero Milone [Processo 60SA in Vaticano. La difesa del Cardinal Becciu: “Da Milone ricostruzioni completamente infondate” – 10 novembre 2022], allontanato dal ruolo di revisore nel 2017 con l’accusa di aver svolto attività spionistica anche ai suoi danni [smentito dal Cardinal Becciu. V.v.B.], l’ex Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato ha dovuto incassare anche una condanna a rifondere le spese processuali comminata dal giudice della II Sezione civile del Tribunale di Como.

La sentenza arriva dopo che Becciu aveva perso la causa civile intentata contro monsignor Alberto Perlasca, suo ex collaboratore ed ora principale accusatore nel processo penale in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, e contro Genoveffa Ciferri. Quest’ultima è l’ultrasettantenne reatina amica di Perlasca che affrontò duramente il cardinale nel suo appartamento per chiedergli di difendere il monsignore comasco nelle prime fasi dello scandalo sull’immobile di Londra, quando era finito indagato per peculato dalla giustizia vaticana.

La situazione si è poi ribaltata ed oggi, nel processo celebrato nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani, è il porporato sardo ad essere imputato per peculato mentre Perlasca, all’epoca potente funzionario dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, è diventato il teste-chiave contro Becciu.

I legali del cardinale avevano chiesto il sequestro conservativo di 500mila euro nei confronti di Perlasca e Ciferri, che al primo avrebbe ceduto gratuitamente, in cambio dell’impegno ad assisterla spiritualmente e moralmente, i suoi beni immobiliari a Greccio. L’archiviazione della posizione di Perlasca da parte dei promotori di giustizia vaticani era stato uno degli elementi addotti per respingere la richiesta di sequestro. Il giudice della II Sezione civile del Tribunale di Como aveva dato ragione a Perlasca e Ciferri. Ora per Becciu è arrivata anche la beffa: dovrà versare a ciascuno dei due più di 20mila euro per rifonderli delle spese processuali. Il giudice ha motivato questa sentenza facendo riferimento all’assoluta evanescenza – e non mera infondatezza – che ammanta la pretesa rivolta nei confronti del convenuto Perlasca” condannando il porporato “per abuso dello strumento processuale”.

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