Mons. Delpini: san Carlo Borromeo invita a riconoscere la pienezza di Cristo

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E’, dopo sant’Ambrogio, il più celebre e popolare arcivescovo di Milano. Fiorito in un’epoca della massima importanza storica, san Carlo Borromeo è l’uomo di governo che, per la sua attività e le sue eccezionali virtù e qualità, ha lasciato un’orma incancellabile non solamente nell’ambito della chiesa milanese, ma in tutta la cristianità.

E l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, lo ha ricordato nella ricorrenza della festa come uomo dedito a trasmettere con le opere il Vangelo: “San Carlo si è dedicato a edificare il corpo di Cristo secondo l’ispirazione e il dono che ha ricevuto senza risparmiarsi fatiche e penitenze, senza evitare pericoli e senza scoraggiarsi di fronte alle resistenze. E’ riconosciuto dappertutto come un protagonista della sua epoca”.

La santità è il compimento dell’umanità: “Nella vita stentata delle comunità dei santi, nelle loro fatiche e contraddizioni, in un contesto poco favorevole, c’è dunque una promessa di pienezza, una vocazione al compimento.

Sembra, in realtà, di abitare un tempo che consiglia di stare fermi, piuttosto che di andare avanti, di accontentarsi piuttosto che di coltivare grandi, nobili, affascinanti desideri, di difendere le posizioni occupate piuttosto che spingersi verso una terra promessa, un paradiso”.

Quindi non si può temere il futuro: “Tra gente di questo nostro tempo si è diffusa la persuasione che il futuro sia più da temere che da desiderare. Perciò abitano nell’animo delle persone desideri che sembrano destinati a rimanere sogni, cammini che sembrano segnati da una interruzione irrimediabile.

Abitiamo una umanità incompiuta senza speranza di compimento. Vorrei essere felice, ma bisogna accontentarsi di essere tranquillo e godersi qualche momento di allegria. Vorrei essere amato e amare di un amore fedele, eterno, ma bisogna accontentarsi del provvisorio.

Vorrei sapere la verità, avere le risposte alle domande che mi inquietano, ma bisogna accontentarsi di condividere le opinioni più diffuse e le incertezze meno precarie. Vorrei vivere bene, per sempre, ma bisogna accontentarsi di una vita che va, inevitabilmente verso la morte”.

L’omelia dell’arcivescovo si è articolata in molti rendimenti di grazia per i doni ricevuti: “Rendiamo grazie per il dono degli apostoli: sono quelli che accolgono l’invito a partire, ad abitare con il vangelo quei luoghi in cui il vangelo è sconosciuto se non contestato e disprezzato. Rendo grazie per gli apostoli: saranno uomini e donne, consacrati e laici, preti, diaconi, suore, mamme e papà, lavoratori e pensionati, professionisti e operai.

Rendiamo grazie per il dono dei profeti: sono quelli che hanno ricevuto il dono di dire una parola ispirata, per interpretare questo tempo come tempo di missione. Forse hanno studiato in seminario, forse hanno studiato all’università, forse non hanno studiato un gran che, forse sono milanesi che parlano il dialetto milanese, forse sono italiani che parlano tutti i dialetti d’Italia, forse sono gente che parla lingue di altri continenti, ma hanno una profezia per questa nostra Chiesa dalle genti”.

E’ un rendimento di grazie articolato per i doni ricevuti: “Rendiamo grazie per il dono degli evangelisti: sono i messaggeri di buone notizie, sono quelli che di fronte alle miserie della storia, alla desolazione della miseria, all’assurdità della guerra, non indulgono al lamento o allo spavento, ma hanno buone notizie da dare, sono la buona notizia della vocazione dell’umanità alla fraternità, alla pienezza di Cristo.

Rendiamo grazie per il dono dei pastori: sono quelli che conducono il gregge di Cristo e si prendono cura anche di chi resta indietro e delle pecore disperse e della pecora smarrita e la vanno a cercare. Sono i preti nelle loro varie responsabilità, sono coloro che nelle comunità si appassionano per convocare, animare, favorire l’incontro e la vita comune”.

Infine è un invito a rendere grazie per chi ha trasmesso la fede in famiglia: “Rendiamo grazie per il dono dei maestri: sono le nonne e i nonni che insegnano a pregare e a vivere nel timore di Dio, sono le mamme e i papà, sono le catechiste e i catechisti che accompagnano nei percorsi di iniziazione cristiana i ragazzi e le ragazze, i catecumeni giovani e adulti, sono gli insegnanti, sono coloro che accompagnano verso il matrimonio, verso il presbiterato e verso il diaconato, verso la consacrazione nei diversi istituti di vita consacrata, sono tutti quegli uomini e donne senza incarico, senza specializzazione, che in ogni ambito dalla vita raccolgono le domande, non si sottraggono alle sfide e alle provocazioni e insegnano e danno testimonianza che non è obbligatorio rassegnarsi all’incompiuto, non è un destino inevitabile la disperazione”.

(Foto: arcidiocesi di Milano)

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