Papa Francesco e la fase sinodale europea, cosa c’è, cosa (forse) manca

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 31.10.2022 – Andrea Gagliarducci] – Lo scorso 27 ottobre è stato presentato il documento di lavoro della fase continentale europea del Sinodo sulla sinodalità. È un documento aperto, ricco di stimoli e citazioni dalle esperienze delle Conferenze Episcopali. È caratterizzato da un tono generalmente ottimista anche quando parla delle inevitabili criticità emerse.

Non ci si può aspettare un documento conclusivo. In realtà, il documento non fa altro che sottolineare un’apertura all’ascolto che sembra necessaria in ogni processo sinodale.

A cosa può portare allora questo documento?

Prima di tutto, è un documento che vuole essere inclusivo. Tutti i punti di vista sono rappresentati in un’ampia sintesi che dà voce a molte Conferenze Episcopali. E questo anche a scapito creare qualche problema. Ad esempio, l’acronimo LGBTQ compare per la seconda volta in un documento sinodale. Era già apparso in un documento del Sinodo sui giovani. Ma questo approccio per dare spazio a tutti i punti di vista porta anche a problemi sostanziali.

La Santa Sede non ha mai parlato di LGBTQ proprio perché si è rifiutata di classificare le persone in base all’orientamento sessuale. La Santa Sede, infatti, ha spesso criticato l’uso di acronimi che promuovono specificamente un’agenda che rischia di provocare una discriminazione alla rovescia.

In questo documento, il termine si trova in un contributo della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti. E sorge la domanda: i documenti sinodali devono adattarsi al linguaggio laico? Non possiamo invece guardare ai problemi usando il vocabolario della Chiesa? Come viene formato il popolo di Dio?

La questione della formazione è cruciale. Era presente nei documenti sul Sinodo della Famiglia del 2014 e del 2015, e questo ha anche contribuito a bilanciare alcune aperture che sembravano avere un impatto sulla dottrina. Tuttavia, anche la dottrina è protetta se c’è preparazione.

Ma ora la questione della formazione sembra accantonata a favore di una più generale tendenza all’ascolto. Si dice che bisogna ascoltare e discernere. Eppure il documento ha soprattutto la parte dell’ascolto, ma mai del discernimento, con il rischio che si adottino posizioni che possono andare al di fuori della fede Cattolica.

È un rischio che vale la pena correre? Sì, secondo Papa Francesco, per il quale un processo è più importante di quello che arriva alla fine. Ma ecco che arriva la seconda questione, così facendo si corre anche il rischio di creare divisioni e di parlamentarizzare il dibattito sinodale.

In concreto, c’è il rischio di finire con la trasformazione del Sinodo in parlamento, una cosa che Papa Francesco insiste sempre che dovremmo evitare. Ma se il discernimento è solo un passo successivo, e se questo è affidato a un documento postsinodale firmato dal solo Papa, c’è una Chiesa divisa e parlamentarizzata al momento del processo. Poi una Chiesa centralizzata, concentrata sul Papa solo alla fine del processo. In pratica, la collegialità e la sinodalità, anche se difese e proclamate, sono messe a rischio.

Del resto, è già successo con la riforma della Curia, che ha portato il Papa ad avere un ruolo molto più centrale. Oppure è successo in generale con il governo della Chiesa perché la costante attività legislativa del Papa, con molti Motu proprio e Rescripta, ha fatto scomparire la collegialità a favore di un processo decisionale centrale.

Il documento della tappa del Sinodo continentale parla della sinodalità come di un metodo molto ben accolto. La domanda, però, è di quale sinodalità stiamo parlando. È solo la sinodalità dei vari gruppi di discussione che ha bisogno di una guida, o la sinodalità che viene come parte del discernimento dei cattolici già formati? A volte sembra quasi che il carisma dell’ascolto prenda il posto del carisma della Chiesa di essere guida. Può essere un nuovo sviluppo. Può essere un problema.

Poi c’è la questione liturgica. Notiamo la necessità della pace liturgica, anche il desiderio di avere più forme liturgiche. Ma può esserci pace liturgica quando la liturgia tradizionale viene improvvisamente emarginata e definita strumento di divisione? La Chiesa ha sempre operato per sintesi, mai partendo da zero, e anche le concessioni fatte da Benedetto XVI all’antico rito erano nello spirito di mantenere una sintesi. Ora, però, c’è il rischio di un’ulteriore spaccatura. Cardinali sensibili alla questione, come il Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna, lo sanno e cercano una soluzione. Zuppi, non certo un tradizionalista, ha partecipato al pellegrinaggio del Summorum Pontificum. Può essere considerato da alcuni una mossa in vista del Conclave. Se è così, questa mossa crea un problema che deve essere considerato.

La sinodalità potrebbe condurre ad una sintesi? Certo, ma sfortunatamente, non c’è una risposta alla domanda. Ed ecco il limite. La terminologia è sociologica perché, alla fine, tutti ascoltano, vivono e lavorano in mondi al di fuori del vocabolario della Chiesa. Se questo è il caso, non c’è via d’uscita dalla secolarizzazione e dal problema della secolarizzazione.

In mezzo a così tante idee, nel documento manca una parola profetica. Si parla del ruolo delle donne, del clericalismo, dell’organizzazione, dei migranti e dei poveri, ma c’è l’omissione di gruppi che hanno messo in luce la forza salvifica di Cristo e della Chiesa. Si parla di dare spazio alla liturgia della Parola, ma non si parla di adorazione eucaristica.

C’è il rischio, alla fine, di dimenticare la Chiesa. Non è un rischio da poco, e non è certo l’obiettivo del Sinodo. Quindi ci sarà molto lavoro da fare e molto a cui pensare.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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