Don Alberico Capitani: missionario grazie all’adorazione eucaristica

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Da Puerto Madryn, in Argentina, a Tolentino, in Italia; ma prima è avvenuto da Tolentino, in Italia, a Puerto Madryn, in Argentina: abbiamo incontrato nella parrocchia ‘Santa Famiglia’ don Alberico Capitani, missionario ‘fidei donum’ della diocesi di Macerata, mentre racconta la missione ai parrocchiani, dopochè i ragazzi e le ragazze di questa parrocchia hanno scritto alcuni messaggi augurali ai ragazzi ed alle ragazze della parrocchia argentina, dove domenica prossima riceveranno il sacramento della confermazione, ricambiati a loro volta.

A distanza di tre anni nel mese di ottobre don Alberico Capitani è ritornato nella parrocchia in cui è stato parroco fino al 2009, anno in cui è ri-iniziata la missione a Puerto Madryn, dopo alcuni anni dalla conclusione nei primi anni del XXI^ secolo: può raccontarci come è nata la missione in Argentina?

“Noi non siamo veramente missionari come i saveriani od altre congregazioni di religiosi; noi siamo dei sacerdoti diocesani che cercano in nome della diocesi di vivere la missionarietà. La nostra storia missionaria è iniziata con p. Matteo Ricci e poi è ripartita al tempo del Concilio Vaticano II, quando i nostri vescovi sono venuti a contatto con gli altri vescovi nel mondo, in modo speciale dell’America Latina; hanno conosciuto la realtà di un cattolicesimo presente ma carente di sacerdoti e questo ha portato le diocesi italiane ad aprirsi ed ad inviare dei sacerdoti”.

Cosa significa essere missionari ‘fidei donum’?

“Significa dono della fede. Ricordo don Fernando Mariani, che fu il primo sacerdote ‘fidei donum’ della nostra diocesi; dopo don Nazzareno Piccioni, poi tanti altri: don Quinto Lombi, don Silvano Attili, don Alberto Forconi, don Frediano Salvucci e don Felice Prosperi e poi nel 1989 sono partito anche io da Urbisaglia. Forse dalla conoscenza dei sacerdoti che già erano in missione e poi dall’esperienza dell’adorazione eucaristica è partito questo desiderio di condividere la mia vita con i più bisognosi della fede”.

Cosa fa in Argentina da missionario?

“Accompagno queste comunità che non hanno una presenza del sacerdote. In Argentina le situazioni sono molto diverse anche a livello religioso: a Buenos Aires abbiamo una forte emigrazione italiana e spagnola ed abbiamo anche una forte tradizione religiosa, un buon inserimento di migranti spagnoli e italiani: il più grande santo argentino è un italiano, san Cayetano.

Invece nella zona della Patagonia la situazione religiosa è molto diversa, in quanto l’evangelizzazione è iniziata alla fine del XIX secolo con i salesiani attraverso il famoso ‘sogno di don Bosco’. I residenti di questa zona vengono da tutta l’Argentina con una forte immigrazione da altri Paesi latino-americani, in particolare da Bolivia e Paraguay, e di recente dal Venezuela.

Quindi una zona che non ha una tradizione religiosa, per cui si tratta di aiutare le persone a formare una fede e una tradizione per essere chiesa e comunità nella diversità. Viviamo nella periferia tra la povertà, sia materiale che spirituale”.

Allora cosa significa essere testimoni di Cristo in Patagonia?

“L’ambiente della Patagonia è prima di tutto è una realtà di contatto con la creazione a motivo di una natura molto bella, però anche con il deserto: dove finisce la città inizia il deserto. Noi possiamo essere testimoni di Gesù, avvicinandoci alla gente attraverso la condivisione della loro vita con la speranza di far scomparire il deserto, perché quando c’è un cristiano la vita si fa incontro e dialogo, permettendo che la solitudine, che si incontra nel deserto, sparisca”.

Al termine dell’Angelus di domenica scorsa papa Francesco ha detto che la Giornata Missionaria Mondiale è un’occasione per ‘risvegliare in tutti i battezzati il desiderio di partecipare alla missione universale della Chiesa, mediante la testimonianza e l’annuncio del Vangelo’: in quale modo essere testimoni di Cristo?

“Tutti siamo chiamati alla missionarietà, uscendo da noi per preoccuparci dei problemi degli altri e cercando di portare la presenza di Gesù in diversi luoghi, soprattutto nella periferia non solo geografica, ma anche in quella ‘esistenziale’. Ogni volta che mi incontro con un povero, fisicamente e spiritualmente io sono missionario, per cui è la realtà del battesimo che mi rende missionario. Devo comunicare agli altri la bellezza della vicinanza di Gesù con la mia vita”.

Nella tua vita missionaria in quale modo lo Spirito Santo ti ha guidato?

“Per me essere missionario è stata una ‘missione nella missione’: una missione partita dall’essere sacerdote e si è trasformata in una ricerca in quale modo e in quale luogo essere sacerdote. La comunità, in cui mi trovavo da giovane sacerdote, mi ha ‘convertito’, perché in questa comunità si iniziava a parlare di volontariato  e di poveri, che sono nel mondo.

Questa è stata veramente l’azione dello Spirito Santo:  come sempre ripeto, la mia vocazione missionaria è nata dall’adorazione. Trascorrendo ore davanti a Gesù eucaristico è nato in me il desiderio di essere ‘pane’ per molta gente che ha fame della ‘vicinanza’ di Dio ed ha fame di speranza”.

Ad inizio ottobre a Roma sono stati beatificati Giovanni Battista Scalabrini ed Artemide Zatti: quale ‘risonanza’ ha avuto in Argentina questa beatificazione?

“Io vivo in una regione vicina a quella dove è vissuto il beato Artemide Zatti, che è stato un infermiere. Quindi un uomo di carità, che in qualità di infermiere è arrivato a tutti ed in modo speciale ai poveri, perché, quando uno è infermo, in Argentina non sempre esiste una struttura statale, che permetta di risolvere i problemi della salute se non a pagamento. La beatificazione di Artemide Zatti è stato per noi veramente un regalo ed anche un’indicazione: chi cammina verso la santità si deve ‘imbattere’ nella carità verso i più bisognosi”.

Per quale motivo in Europa e nel mondo occidentale, in generale, la visione ‘cattolica’ di papa Francesco non è compresa?

“La visione ‘cattolica’ di papa Francesco non è compresa neppure in Argentina, perché il papa sta parlando un linguaggio diverso. Papa Francesco parla del messaggio di Gesù; il linguaggio di Gesù è quello della vicinanza di Dio ai ‘nostri’ fratelli più poveri. In questa cultura materialistica, che sta dominando in Europa e sta ‘entrando’ sempre più anche in America Latina, è sicuro che non si riesce a capire il messaggio del papa, che racconta l’amore di Dio verso tutti gli uomini e tutte le donne per trasformare l’economia in una economia di comunione.

Il mondo occidentale non riesce a comprendere il messaggio papale della pace, che nasce da un dialogo e non è un’imposizione del più forte. In egual maniera il mondo non comprende la misericordia di Dio; si preferisce di più una Chiesa ‘severa’ e ‘rigida’, piuttosto che una Chiesa che va incontro a tutti i peccatori ed a tutti coloro che si trovano a vivere in una situazione di ‘periferia’ e di marginalità”.       

(Tratto da Aci Stampa)

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