33ª e 34ª Udienza del processo 60SA in Vaticano. Il Presidente del Tribunale Vaticano ha respinto l’eccezione della difesa circa le “domande nocive” durante le indagini

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.10.2022 – Vik van Brantegem] – Con ogni nuova Udienza del processo 60SA al Tribunale vaticano, diventa sempre più difficile comprendere con quale ratio si continua con questa farsa della giustizia, una rappresentanza nel reale dei romanzi Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, uno dei migliori esempi del genere letterario nonsenso, e Il Processo di Franz Kafka, da Le Monde messo al terzo posto della classifica dei cento migliori libri scritti nel ventesimo secolo, incompiuto, come il processo vaticano ancora in corso, impossibile capire per quanto tempo ancora.

Sia nella trentatreesima Udienza di ieri, che nella trentaquattresima Udienza di oggi del processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, sono stati escussi quattro nuovi testimoni convocati dall’Ufficio del Promotore di Giustizia. L’interrogazione dei testimoni in ambedue le Udienze si è svolto secondo le modalità imposte nell’Udienza precedente [QUI] dal Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Pignatone, con domande tese a “contestare un fatto specifico”, senza “far ripetere ai testimoni quello che già è agli atti”.

Un fatto specifico è stato nella trentatreesima Udienza di ieri, un funzionario della Segreteria di Stato ha asserito che i fondi dell’Obolo di San Pietro, dove confluiscono le donazioni dei fedeli per le opere caritative del Papa, sono stati utilizzati per pagare l’avvocato americano Jeffrey Lena che ha difeso la Chiesa Cattolica nei casi di abuso negli USA. A dare questa testimonianza è stato Fabrizio Giachetta, contabile presso l’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, che aveva come capo Mons. Alberto Perlasca. Per poter utilizzare l’Obolo di San Pietro per questo scopo si chiedeva sempre l’autorizzazione del Papa. Qui siamo molto più oltre l’affare del palazzo di lusso al numero 60 di Sloane Avenue a Londra e non solo perché stiamo parlando degli USA.

Il 10 novembre 2022, sarà ascoltato, tra gli altri, Giuseppe Milanese, Presidente della Cooperativa OSA, nonché amico di Papa Francesco in Argentina. Fu negoziatore per conto del Papa dell’uscita del broker Gianluigi Torzi dalle gestitone dell’immobile di lusso al numero 60 di Sloane Avenue di Londra, che ha causato perdite, ma probabile che le perdite siano dovute soprattutto alla rottura dei contratti da parte della Segreteria di Stato. «Il Papa aveva chiamato Milanese per negoziare un TFR con Torzi, e la trattativa si era svolta alla Domus Sanctae Marthae intorno a Natale 2018. In quell’occasione il Papa si fa vivo, saluta Torzi, si fa una foto con lui, circostanza confermata, tra l’altro dal Tribunale Vaticano in una risposta ufficiale a The Associated Press. Papa Francesco aveva chiesto a Milanese di negoziare con Torzi e di chiudere la questione “con il giusto compenso” – queste sono le parole di Milanese, registrate, al programma televisivo Report [Il caso Report, tra mezze verità, mistificazioni, mancanza di contradditorio ed errori di lettura – 27 aprile 2021]. Allo stesso modo, Papa Francesco è sempre stato informato di tutte le fasi dell’operazione. Eppure si fida subito di una denuncia fatta da Mammì, mettendo in discussione un’operazione da milioni di euro, che ha seguito nei minimi dettagli. Come mai? E il Papa sapeva che Mammì non godeva della fiducia di Peña Parra? Alla fine, Papa Francesco sembra di aver sposato una tesi esatta quando, però, per almeno due anni, si era comportato facendo il contrario. Il Papa, infatti, aveva condiviso la volontà di non avviare un procedimento legale formale per tutelare la reputazione della Santa Sede» (Andrea Gagliarducci – In quale misura Papa Francesco è coinvolto nel procedimento penale vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato? – 4 aprile 2022).

La disponibilità di Luciano Capaldo, Consulente della Segreteria di Stato e prima collaboratore di Gianluigi Torzi, dopo non essersi presentato il 13 ottobre, di essere a Roma il 23 novembre, fa slittare al 24 novembre l’inizio della testimonianza di Monsignor Alberto Perlasca.

Nel pomeriggio del 1° dicembre sarà ascoltato in Aula il Cardinale Oscar Cantoni, Vescovo di Como, per testimoniare in merito al capo di accusa di subornazione di testimone rivolto al Cardinale Angelo Becciu, ai danni di Monsignor Alberto Perlasca, ex Capo dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato, inizialmente indagato, poi diventato “pentito” e “collaboratore di giustizia”, non imputato ed elevato a “testimone chiave” del processo. A suo tempo, il Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, aveva comunicato che Mons. Alberto Perlasca, attraverso l’Avvocato Alessandro Sammarco aveva presentato richiesta di costituzione di parte civile, sia nei confronti del Cardinale Becciu che nei confronti di altri quattro imputati: Fabrizio Tirabassi, Gianluigi Torzi, Enrico Crasso e Nicola Squillace. Il Tribunale si era riservato sulla decisione, poi accogliendo di seguito la richiesta. Mons. Perlasca ritiene di essere parte lesa e aveva fatto richiesta di costituirsi parte civile contro il Cardinal Becciu, per il capo di imputazione di subornazione di testimone, in quanto a suo dire si sarebbe rivolto al Vescovo di Como, Oscar Cantoni, oggi cardinale, affinché Perlasca ritrattasse la sua testimonianza.

Secondo l’accusa, durante la fase istruttoria del procedimento penale n. 45/2019 RGP, il Cardinale Angelo Becciu avrebbe cercato di far ritrattare a Monsignor Perlasca le deposizioni accusatorie chiamando in aiuto il suo superiore diocesano, il Vescovo di Como.

“Contrariamente a quanto erroneamente ipotizzato dall’accusa, mai ho voluto indurre Mons. Perlasca a dire il falso, e nego vibratamente di aver avuto un atteggiamento perentorio con il vescovo, al quale non ho certo attribuito un ruolo intimidatorio in pregiudizio di Mons. Perlasca”. È un passo della lunga dichiarazione spontanea, letta in circa due ore e mezza dal Cardinal Becciu in aula il 5 maggio 2022. Riguardo al colloquio avuto con Mons. Cantoni, Vescovo di Como, “trasfigurato dall’accusa addirittura in un tentativo di subornazione”, Becciu ha precisato di aver avuto un colloquio con l’allora Mons. Oscar Cantoni, Vescovo di Como, “mia antica conoscenza, ma per una ragione del tutto diversa da quella ipotizzata dall’accusa”: “Nel corso delle indagini – ha riferito – diversi giornali riferivano che Mons. Perlasca stava rendendo false dichiarazioni sul mio conto; e addirittura — fatto ai miei occhi ben più grave e sommamente intollerabile — tali falsità, secondo i quotidiani dell’epoca, sarebbero state trasfuse in lettere indirizzate da Mons. Perlasca anche al Santo Padre. Tale prospettiva era per me — un cardinale che ha giurato fedeltà al Papa — indicibile: per un sacerdote, dire il falso alla giustizia o, ancor peggio, al Santo Padre, è un peccato, ben prima ancora che un reato! Non tolleravo che si dicesse il falso sul mio conto, ed ancor meno che si mentisse al Santo Padre; d’altro canto, non avrei voluto nuocere oltre misura ad un uomo, Mons. Perlasca, che viveva un periodo di grande disperazione, spinta fino all’orlo del suicidio. Pertanto, l’unica via che ho ritenuto in quel momento percorribile è stata quella di confidarmi con il Vescovo di Como, esprimendogli tutto il mio dispiacere e il mio dolore nell’apprendere che Mons. Perlasca raccontava falsità, dicendogli che se veramente Perlasca aveva detto quanto leggevo sui giornali, sarei stato costretto, con profondo dolore, a tutelare la mia onestà, e quindi, mio malgrado, denunciarlo per calunnia. Mi confidai con il Vescovo perché conosceva Mons. Perlasca e quindi poteva comprendere cosa gli stesse accadendo e, sperabilmente, aiutarlo così a riprendersi, a ritrovarsi e a comprendere che non era giusto dire delle falsità, men che meno al Santo Padre. Quindi, contrariamente a quanto erroneamente ipotizzato dall’accusa, mai ho voluto indurre Mons. Perlasca a dire il falso, e nego vibratamente di aver avuto un atteggiamento perentorio con il Vescovo, al quale non ho certo attribuito un ruolo intimidatorio in pregiudizio di Mons. Perlasca”.

La 33ª Udienza del 27 ottobre 2022

La trentatreesima Udienza di ieri è stata interrotta per una Camera di Consiglio di oltre un’ora, a seguito dell’eccezione dell’Avv. Luigi Panella per le “domande nocive” poste durante le indagini, alla quale si sono associati le difese di tutti gli altri imputati, dopo che il consulente finanziario Michele Mifsud ha convalidato la testimonianza del 12 aprile 2021. Il difensore di parte civile Istituto per le Opere di Religione (IOR), l’Avv. Roberto Lipari, gli ha fatto confermare il passaggio sui contanti alla fine della pagina 5 del verbale. Mifsud ha risposto che quella cosa dei contanti gliel’avevano detta i gendarmi che lo stavano interrogando, perché lui non aveva capito che Tirabassi alludesse a un terzo per sé del compenso spettante a Mifsud per attività svolta dal medesimo per la società Valori. Mifsud pensava ad altri rapporti tra Tirabassi e Valori. Silenzio di tomba in aula.

Quando il teste è stato licenziato, ha preso la parola il difensore di Enrico Crasso, l’Avv. Luigi Panella: “Oggi sta emergendo in modo plastico che nelle indagini sono state poste molte ‘domande nocive’. Per questo dobbiamo eccepire un tema di nullità in ordine generale”, ha detto. Ha rilevato che il problema, nel solco degli articoli 193, 245 e 246 del Codice di procedura penale dello Stato della Città del Vaticano, è il sistema “ADR” (a domanda risponde) delle trascrizioni agli atti, in cui non sono riportate le domande, non verbalizzate in violazione dell’articolo 193 CPP, tanto da poter ipotizzare una violazione della “sincerità della risposta”.

L’Avv. Panella sostiene che in questo modo diventano prove, affermazioni che i testi non hanno pronunciato e che solo grazie alla domanda dell’Avv. Lipari oggi era stato possibile accertarlo.. L’Avvocato Panella ha aggiunto, che le “domande nocive” sono state frequenti nel corso delle indagini, come risulta dai video e dagli audio depositati, da cui è possibile ricostruire anche le domande. Ma Mifsud non era stato registrato.

L’Avv. Panella ha eccepito che tutto ciò non può restare privo di una sanzione processuale. In realtà, le norme in materia di interrogatorio – l’Avv. Panella ha citato gli articolo 245 e 246 CPP – mirano al scoprire la verità, ma tutelano anche l’imputato rispetto alla formazione di una prova alla quale egli non partecipa. Le “domande nocive” – oltretutto non verbalizzate – costituiscono, quindi, per l’Avv. Panella una violazione del diritto di difesa e determinano una nullità di ordine generale si sensi dell’articolo 136 CPP.

Il Promotore di Giustizia aggiunto, Prof. Avv. Roberto Zannotti, ha chiesto il rigetto dell’eccezione formulato dall’Avv. Panella.

Il Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, dando lettura dell’ordinanza, ha rigettato l’eccezione presentata dall’Avv. Panella, precisando – tra le altre cose – che la “fisiologica capacità delle difese” di espletare la propria attività è assicurata in dibattimento. In sostanza ha affermato che non c’è alcuna nullità perché l’articolo 136 CPP non è applicabile in quanto non si pone un problema di partecipazione o di assistenza dell’imputato, che non partecipa all’assunzione della prova.
Invece, è proprio quello il problema, visto che nell’ordinamento vaticano non c’è il doppio fascicolo, come in Italia, e le dichiarazioni rese durante le indagini sono prova. Nell’ordinanza è detto anche, che il contraddittorio dibattimentale è “virtuoso” e ha fatto emergere oggi la verità, ma se non ci fosse stata la domanda della parte civile (che aveva ovviamente tutt’altro intento) la verità sarebbe stata quella dei gendarmi durante gli indagini.

Il fatto, che con questa ordinanza il Tribunale vaticano ammette “domande nocive” poste nelle indagini, è importante per la difesa, in previsione di opposizione al riconoscimento in Italia di un’eventuale sentenza di condanna da parte del Tribunale vaticano, e per sostenere che non c’è stato un “giusto processo”. La Corte di Cassazione italiana ha sentenziato che “domande nocive” minano la genuinità della prova e sono in contrasto con la Costituzione. Ovviamente, non stiamo dicendo che la Costituzione italiana è fonte di diritto nello Stato della Città del Vaticano, ma per la Repubblica italiana lo è.

Il Prof. Avv. Giovanni Maria Flick, ex Presidente della Corte Costituzionale italiana, difensore di parte civile Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), ha detto nell’Udienza odierna: “Non ho capito l’eccezione”.

Ricordiamo a questo punto quanto scrisse il 1° marzo 2022 il sito Silere non possum [QUI]: «Giovanni Maria Flick ha risposto affermativamente alla domanda di qualche giornalista che gli chiedeva se questo fosse un giusto processo. Ora, che non ci sia, da parte nostra, grande stima per l’ordinamento italiano e soprattutto di quella Corte Costituzionale, è chiaro, ma ci chiediamo se il professore abbia presente cosa sia la Convenzione EDU [Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo]. Probabile che quella, differentemente dal diritto canonico e vaticano, l’abbia letta. Ritenere che questo sia un giusto processo, o meglio, che queste siano delle indagini effettuate secondo i principi del giusto processo, significa non aver chiaro neppure lontanamente cosa siano i principi ispiratori del diritto canonico e dello stesso diritto divino che Flick ha citato in aula. Ma nonostante ci siano alcuni sognatori, questo processo non è guidato da alcuna regola di diritto. Tantomeno la decisione spettava al presidente del tribunale. Del resto ogni atto di Francesco esce da Santa Marta senza passare in mano ad un vaglio di esperti, basti pensare agli ultimi motu proprio. Durante questo pontificato gli atti straordinari sono divenuti ordinari e quei testi sono degli obbrobri giuridici. Per quanto riguarda il diritto canonico, il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi è completamente ignorato. Per quanto riguarda il diritto vaticano, basti pensare ai Rescripta e abbiamo presto spiegato quale principio viene utilizzato. Tutti i rescritti sono stati sempre pubblicati nella storia della Chiesa, compreso quelli concessi al Card. Parolin questa mattina e che modificano il Regolamento della Curia Romana e il Testo Unico delle Provvidenze a favore della Famiglia. Poi se gli esperti chiamati dal Papa, oggi, sono persone che non hanno neppure la cognizione di cosa siano gli Acta Apostolicae Sedis, stiamo freschi. Come ha chiesto il Pontefice, il processo deve essere fatto. I diritti umani sono una cosa di cui ci preoccuperemo poi. Questa mattina quindi il tribunale ha rigettato tutte le doglianze delle difese ed ha ordinato il rinvio a giudizio degli imputati».

Riportiamo di seguito i punti salienti del resoconto della trentatreesima Udienza di ieri, a cura di Barbara Castelli per Vatican News e di Franca Giansoldati per Il Messaggero.

Nuovi testimoni al processo in Vaticano
di Barbara Castelli
Vatican News, 27 ottobre 2022


Il “custode delle medaglie”

Il primo a rendere testimonianza è stato Fulvio Cesaretti, dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato. L’uomo, definito nelle carte istruttorie da un teste il “custode delle medaglie”, ha anzitutto confermato le dichiarazioni rese all’Ufficio del Promotore di Giustizia il 13 febbraio 2020. Di seguito, sollecitato dalle domande dell’avvocato Massimo Bassi, in difesa di Fabrizio Tirabassi, ha chiarito che l’Ufficio Obolo era distinto dagli altri, dotato di diversi dipendenti e “coordinato da monsignor Alberto Perlasca”. “Le medaglie o le monete – ha riferito Fulvio Cesaretti – erano normalmente conservate in un magazzino nell’ufficio amministrativo. Le medaglie d’oro, invece, erano custodite nella stanza di monsignor Perlasca, in un armadio chiuso a chiave”. Nel corso dell’interrogatorio, è poi emerso come il teste non abbia mai “fatto denunce per ammanchi di monete o medaglie”, pur non essendo presente, in realtà, un “vero e proprio inventario”. Cesaretti ha, infine, parlato della cosiddetta pratica dello “squaglio”: le medaglie in esubero, ha dichiarato, “soprattutto quelle d’oro”, “venivano utilizzate per fare altre medaglie o anelli” e venivano mandate alla Zecca dello Stato italiano o a ditte esterne, talvolta anche senza “documentazione di accompagnamento”.

L’Obolo di San Pietro e la Fondazione Enasarco

Fabrizio Giachetta, dipendente della Segreteria di Stato, già ascoltato dal Corpo della Gendarmeria il 4 febbraio 2020, ha riferito che le “competenze finanziarie” dell’ufficio furono modificate dopo l’arrivo del cardinale Angelo Becciu come sostituto della Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, lasciando tutto nelle mani del capo ufficio, monsignor Alberto Peralsca, e di Fabrizio Tirabassi. Tra le domande ha trovato spazio ancora l’Obolo di San Pietro, usato, è stato riferito, “per coprire le perdite di bilancio”. Autorizzati dai superiori, ha detto Giachetta, “l’Obolo veniva usato per le coperture, ma si trattava di cifre non straordinarie”. Con Carlo Bravi, già direttore generale delegato di Enasarco, si è parlato, invece, dei fondi Athena. L’Ente di previdenza integrativa obbligatoria dei professionisti dell’intermediazione commerciale e finanziaria, è stato rimarcato, coerentemente con quanto già dichiarato l’11 gennaio 2021, voleva uscire dall’investimento per la “criticità dei gestori”.

Vaticano, con l’Obolo di San Pietro pagati anche gli avvocati per le cause di pedofilia negli USA
I denari che dovevano essere impiegati per la carità, frutto della raccolta dei fedeli di tutto il mondo, servivano per saldare le fatture dell’avvocato americano Jeffrey Lena, che ha assistito la Santa Sede per difendere vescovi e preti pedofili
di Franca Giansoldati
Il Messaggero, 27 ottobre 2022


È affiorato che i soldi dell’Obolo di San Pietro sono stati impiegati, in passato, anche per pagare parcelle milionarie agli avvocati che difendevano la Chiesa per cause di pedofilia negli Stati Uniti. In pratica i denari che dovevano essere impiegati per la carità, frutto della raccolta dei fedeli di tutto il mondo, servivano per saldare le fatture dell’avvocato americano Jeffrey Lena, che ha assistito la Santa Sede per difendere vescovi e preti pedofili, contro le vittime che chiedevano giustizia. Alla domanda se una fattura pagata con l’Obolo potesse ammontare «a un milione e mezzo», il funzionario vaticano oggi nel tribunale del Papa ha ammesso che si trattava di «una cifra plausibile». Naturalmente sempre tutto autorizzato dal Papa.
In passato i fondi dell’Obolo di San Pietro, dove confluiscono le offerte dei fedeli di tutto il mondo, sono stati usati anche per coprire perdite di bilancio della Santa Sede. A confermarlo oggi in aula è stato uno dei testimoni d’accusa nel processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana, Fabrizio Giachetta, contabile presso l’Ufficio amministrativo. Per poter utilizzare l’Obolo a tale fine si chiedeva sempre l’autorizzazione del Papa.

«La Segreteria di Stato non ha soldi propri. La Segreteria di Stato gestisce fondi, tra cui anche l’Obolo di San Pietro. Tanti anni fa, quando emergeva una perdita di bilancio, si faceva un appunto al Santo Padre, che autorizzava a provvedere con i fondi dell’Obolo. Questo perché è l’unico fondo di cui il Santo Padre può disporre liberamente: altri hanno una finalità specifica e non possono essere utilizzati al di fuori di quella finalità».

Sempre rispondendo alle domande delle difese, Giachetta ha riferito che con i fondi dell’Obolo, «a volte sì a volte no», venivano saldate le fatture dell’avvocato americano Jeffrey Lena, che ha assistito la Santa Sede ance in importanti cause sui casi di pedofilia negli Stati Uniti. Alla domanda se una fattura pagata con l’Obolo potesse ammontare «a un milione e mezzo», il funzionario Vaticano ha risposto che si trattava di «una cifra plausibile».

Un altro dipendente della Santa Sede, Fulvio Cesaretti, ha confermato che “esisteva in Segreteria di Stato un ufficio Obolo distinto da altri uffici, che era dotato di più dipendenti, aveva un responsabile, ed era coordinato da monsignor Alberto Perlasca. Si è parlato anche del cosiddetto «custode delle medaglie pontificie» e del fatto che all’interno dell’Ufficio amministrativo c’era un magazzino dove queste medagli venivano custodito e un armadio contenente quelle d’oro. «Io non ho la chiave», ha comunque precisato Cesaretti, spiegando che per eventuali vendite era necessaria l’autorizzazione dei superiori, che Perlasca chiedeva al Sostituto per gli Affari generali. La consegna delle medaglie a Terzi per il cosiddetto “squaglio” – l’utilizzo per produrre altri oggetti – avveniva invece anche “senza documentazione”.

Note a margine
dello Staff del Blog dell’Editore

1. La questione delle monete d’oro è tutto molto “gossip” da stanza della macchinetta del caffè dei palazzi, ma non si comprende (come Flick anche noi talvolta “non comprendiamo”…) cosa il Promotore di giustizia Alessandro Diddi voglia dimostrare, con la sua indagine “penale” da pescatore a strascico, nella quale si getta la rete sperando con pazienza che qualcosa si impigli. Ma con una vera inchiesta giudiziario che cerca la verità, tutto questo non ha niente a che fare.

Io nun capisco a vote, che succede
E chello ca se vede
Nun se crede! nun se crede!
(Renato Carosone, Tammurriata nera).

2. Per l’ennesima volta emerge dalle testimonianze – in riferimento all’uso dell’Obolo di San Pietro, per esempio “per coprire le perdite di bilancio” – che tutto veniva “autorizzati dai superiori”, cioè direttamente dal Papa (che non solo veniva informato, ma autorizzava). E visto che Jorge Maria Bergoglio si considera “persona come gli altri”, non si comprende (oggi siamo in vena di “non comprendere”…) perché non viene chiamato a testimoniare.

3. Il processo 60SA vaticano (formalmente procedimento penale n. 45/2019 RGP) – ad Kalendas Graecas, che piacciono tanti ai vaticanisti, visto che posso scribacchiare, “lavorando” (e pensando) non più di tanto, visto che quanto serve sta nella velina fornita dal pool (il gruppetto dei pochi che hanno vinto la lotteria che decide su quali vaticanisti hanno accesso all’Aula del Tribunale vaticano) – continua ad essere “un cantiere aperto”, come disse il Presidente del Tribunale Vaticano Pignatone nella 5ª Udienza del 14 dicembre 2021, durata 10 minuti. A confronto, un òpira dî pupi è cosa seria, e pensiamo che anche i non-siciliani possono comprenderlo. Quanto abbiamo scritto l’8 ottobre 2021, lo ripetiamo come già altre volte, come un mantra: «La farsa vaticana è diventata una tragicommedia, con un nuovo giro di valzer, come era da costumo greco. E colui che sta in Altissimis [viene chiamato “il Supremo”] – che ne ha il potere legittimo e interviene pure a favore dell’accusa con degli atti sovrani (i rescritti) – non si decide di tirare il sipario e farla finita. Il vero scandalo in Vaticano è tutto lì. Certamente la farsa non finisce lì. Alla prossima puntata, quindi. E la farsa continuerà a lungo perché l’obiettivo del Gran Dissimulatore è creare confusione, più confusione possibile. Ma nella confusione i cristiani sanno sempre trovare la strada, più che mai. La strada è la Fede seguendo Colui che è la Via, la Verità e la Vita».

Udienza dopo udienza, assistiamo ad uno spettacolo indecoroso, tra altro con la continua violazione degli stessi codici vaticani, basati su quelli italiani del 1913. Fatto è che il processo è voluto dal Sovrano, che ne ha ordinato l’inizio, la continuazione e a non tirare il sipario. Quindi, prosegue l’epicedio accompagnato da danze secondo gli usi e i costumi degli antichi greci.

La 34ª Udienza del 28 ottobre 2022

Oggi, 28 ottobre, si è svolto la trentaquattresima Udienza che “si staglia nel cammino del processo sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato senza sostanziali elementi di novità”, scrive Barbara Castelli su Vatican News. In meno di tre ore sono stati sentiti altri quattro testi chiamati dall’Ufficio del Promotore di Giustizia.

Il primo a testimoniare è stato Federico Antellini Russo, Vice Direttore dell’Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF), all’epoca dei fatti in esame responsabile dell’Ufficio di vigilanza e regolamentazione del già AIF (Autorità di Informazione Finanziaria). Tra le domande degli avvocati di parte civile e quelli delle difese, i temi trattati sono oscillati tra i compiti che attenevano a Renè Bruelhart (già Presidente dell’AIF) e a Tommaso di Ruzza (già direttore dell’AIF); fino allo studio di fattibilità giuridica di un eventuale finanziamento dello IOR (Istituto per le opere di religione) alla Segretaria di Stato.

“Il tipo di vigilanza che noi facevano – ha detto il teste, riferendosi all’analisi di eventuali garanzie per il potenziale prestito – poteva entrare nel merito solo qualora l’Istituto avesse deciso di procedere. In questa fase la valutazione era preliminare”. “Lo IOR non è autorizzato a svolgere attività di finanziamento in modo sistematico – ha proseguito – perché non ha la struttura per farlo. Tuttavia, ci sono casi eccezionali”. Tra le domande, ha trovato spazio anche la momentanea sospensione dell’AIF dal circuito informativo internazionale “Egmont Secure Web”, in seguito alle perquisizioni condotte negli uffici dell’Autorità stessa.

Giuseppe Pocobelli, oggi nella Direzione dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile, ha nuovamente illustrato alcuni aspetti delle indagini condotte, con particolare riferimento ai 20 milioni investiti dalla Segretaria di Stato su Hearth Ethical Fund lanciato nel febbraio 2018 da Valori AM; così come pure sulla corrispondenza intercorsa tra l’Autorità di Informazione Finanziaria e lo studio legale inglese Mischon De Reya.

Con la breve testimonianza di Silvia Rinaldi e Flavio Gianetti si è parlato sommariamente del Prestige Family Office SA, riferibile ad Enrico Crasso.

L’andamento delle indagini
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 29 ottobre 2022


Le ultime due udienze del processo hanno, ancora una volta, messo in luce il metodo investigativo, che ha anche le sue criticità, ma soprattutto mostrato come delle operazioni contestate in realtà fossero nell’alveo delle operazioni consentite.

Due, in particolare, le questioni importanti. La prima riguarda il prestito chiesto dalla Segreteria di Stato all’Istituto delle Opere di Religione per completare l’acquisto del palazzo di Londra. Prestito che, dopo una serie di comunicazioni interne, fu inizialmente approvato dallo IOR e poi improvvisamente negato, con un atto che ha fatto da premessa alle indagini.

Si è detto che lo IOR non poteva dare prestiti. Ma questa versione è stata smentita dalla testimonianza di Federico Antellini Russo, oggi vicedirettore dell’Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria e al tempo a capo della sezione vigilanza dell’Autorità.

Antellini Russo ha sottolineato come gli sia stato chiesto uno studio di fattibilità sul prestito, considerando che lo IOR è l’unico ente finanziario controllato dall’allora AIF. La risposta è stata positiva, perché vero che lo IOR non è un ente finanziario, né una banca, e dunque non può erogare prestiti in maniera professionale, ma è comunque un organo del governo, e, quando c’è un caso eccezionale e una richiesta del governo, è autorizzato a dare prestiti, ovviamente sulla base di garanzie di rientro.

La parte civile IOR ha molto insistito sulla valutazione dei collaterali e sulla eccezionalità della cifra richiesta (150 milioni), ma Antellini Russo ha spiegato con chiarezza che si trattava, appunto, di uno studio di fattibilità, e che le valutazioni ulteriori sarebbero state fatte solo nel momento in cui l’operazione si andava a concretizzare. Alla fine, si comprende come l’AIF avrebbe comunque continuato a tracciare i fondi, e dunque resta sempre il dubbio che l’autorità, con le perquisizioni, sia stata fermata nel mezzo di una indagine, anche perché poi c’è tutta la corrispondenza che era stata attivata con le controparti estere.

In effetti, il sequestro della corrispondenza aveva portato il Gruppo Egmont, che riunisce le unità di informazione finanziaria di tutto il mondo, a sospendere la Santa Sede dal “Secure Web”, ovvero dal circuito di scambio di informazione di intelligence protetto, al punto che ci è voluto poi un protocollo tra Tribunale Vaticano e Autorità di Informazione Finanziaria perché la Santa Sede fosse reinclusa. Antellini Russo ha minimizzato la sospensione, ma di fatto si è trattato di un danno reputazionale non indifferente per l’Autorità.

Il secondo tema riguarda invece la conduzione delle indagini. Nella testimonianza di Michele Mifsud si è parlato anche di “un terzo” di un contratto che sarebbe spettato a Fabrizio Tirabassi, officiale della Segreteria di Stato vaticana nella sezione amministrativa che Mifsud aveva conosciuto davanti al suo parroco. Nella sua testimonianza, Mifsud ha detto di non avere inizialmente pensato che si trattasse di una tangente, e che poi nell’interrogatorio il gendarme gli ha fatto notare che di fatto si potesse trattare di una tangente e lui ha considerato verosimile la ricostruzione.

Tutto questo ha portato ad una richiesta di nullità da parte dell’avvocato Luigi Panella, che difende Enrico Crasso, l’ex investitore della Segreteria di Stato, il quale ha notato anche la presenza di domande nocive. Dopo un’ora di camera di Consiglio, il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha deciso di rigettare la richiesta, mancando una norma specifica sulla nullità, e considerando che le cosiddette “domande nocive” non possono essere definite ex ante. Pignatone ha anche detto che le difese hanno comunque tutti gli strumenti in dibattimento per farsi valere.

E però va notato che non è la prima volta che delle eccezioni sulle modalità di conduzione degli interrogatori, sulla selezione dei materiali e sul materiale a disposizione delle difese viene sollevato. Se è vero che gli avvocati devono fare il loro lavoro, è comunque, questo, un dato da considerare. Da segnalare anche la nota a margine dell’avvocato Di Nacci, che difende René Bruelhart, che ha lamentato come le stesse annotazioni fossero piene di valutazioni, valutazioni che a volte ritornano nelle testimonianze dei gendarmi in questi giorni.

Un altro dato a margine: è tutta da comprendere la questione dell’Obolo di San Pietro e del suo uso. L’Obolo nasce come forma di assistenza dei fedeli alla missione del Papa, e non per le opere di carità, come viene comunemente detto. In alcuni casi, però, il riferimento non è alla raccolta, ma al Conto Obolo, conto aperto nel 1939 da monsignor Pomata nell’allora Amministrazione per le Opere di Religione, e che oggi contiene circa 44 conti collegati. In questo conto, transitano anche i soldi della raccolta.

Il 27 ottobre, nell’interrogatorio di Fabrizio Giachetta è stato definito come l’Obolo venisse usato per coprire le perdite di bilancio della Santa Sede, inizialmente con una nota che chiedeva l’autorizzazione al Papa, e poi in maniera sempre più regolare. Giachetta ha anche detto che si era attinto all’Obolo per pagare le parcelle di Jeffrey Lena, l’avvocato statunitense che ha assistito la Santa Sede in varie occasioni, sia nei processi per gli abusi sui minori ma anche nella consulenza per la nuova legge antiriciclaggio e per altre questioni di diritto internazionale.

Foto di copertina: “Il processo nell’Aula dei Musei Vaticani per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede” (Vatican Media).

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