La CEDU punta l’arma della “libertà di espressione” contro il Cristianesimo e la PAV manifesta l’ennesima contradizione del pontificato

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.10.2022 – Vik van Brantegem] – Eloïse Bouton, militante del movimento Femen, che era stata sanzionata in Francia con sentenza definitiva a un mese di reclusione con la sospensione della pena, per aver rappresentato poco prima di Natale del 2013 l’aborto di Gesù nella chiesa della Maddalena a Parigi, ha ottenuto in proprio favore dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo-CEDU la condanna dello Stato francese. La motivazione della sentenza è illogica e contraddittoria, in totale disprezzo per i diritti umani delle persone offese – nella specie i fedeli presenti nella chiesa e tutti i cattolici sparsi nel mondo –, e derisoria verso coloro che in Europa attendono pronunce giurisdizionali secondo verità. La sentenza della CEDU fa la palinodia della sua ragion d’essere, perché in sostanza dice – argomenta Mauro Ronco in un articolo per il Centro Studi Livatino, che riportiamo di seguito – che la libertà religiosa può essere calpestata. Perciò la sentenza è inequivocabilmente contra ius e pertanto è illegittima e iniqua.

Nell’articolo L’arma della “libertà di espressione” su Corrispondenza Romana, che riportiamo di seguito, Mauro Faverzani, denuncia «il criterio dei due pesi e due misure, seguito dai vertici europei, è evidente, assurdo, discriminatorio e quindi, questo sì, odioso e foriero d’incitazione all’odio» e conclude che «sarebbe ora che venisse ribadito in tutte le sedi, soprattutto in quelle istituzionali, un doveroso rispetto verso la fede altrui, in particolar modo quando questa nei secoli abbia costruito la storia, la morale, il diritto e la cultura dell’intera Europa».

Marco Tosatti sul suo blog Stilum Curiae riporta un aggiornamento, che riportiamo di seguito, da parte di Silvio Della Valle, Direttore dell’Osservatorio sulla Cristianofobia, sulle iniziative in corso per combattere la vergognosa sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla profanazione della chiesa della Maddalena. «La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato che urinare sull’altare non è reato. Come sempre, ci si può chiedere – osserva Marco Tosatti – come mai il bersaglio siano sempre chiese cattoliche, e non, per esempio, moschee, o sinagoghe per questo genere di esibizioni. La mia ipotesi: una precisa, attenta e prudente valutazione del rischio da parte delle “eroine”…».

Poi, sul versante ecclesiastico, le nuove nomine alla Pontificia Accademia per la Vita-PAV – vedi l’ingresso dell’economista Marianna Mazzucato – confermano la “linea Paglia” di apertura a esperti in settori importanti ma di principio favorevoli all’aborto, argomenta Riccardo Cascioli nel suo editoriale su La Nuova Bussola Quotidiana. E segnala che vengono epurate le voci maggiormente fedeli all’identità originaria della PAV e perciò critiche con l’attuale indirizzo della “linea Paglia”, la palinodia del principio per cui l’organismo fu fondata da San Giovanni Paolo II: difendere la vita.

Nell’articolo Il Papa nomina un’economista abortista all’Accademia della Vita, choc tra i cattolici (e parte una raffica di critiche) su Il Messaggero, che riportiamo di seguito, Franca Giansoldati osserva che «le polemiche non riguardano solo la posizione abortista della Mazzucato (…) ma piuttosto i criteri usati dal Vaticano, dal Papa e dall’attuale Presidente della Pontificia Accademia della Vita, Monsignor Vincenzo Paglia nel nominare i membri dell’Accademia».

Benjamin Sack, Dies Irae.

«Palinodia: canto opposto, o dire il contrario di quanto detto prima» (Suda, lessico e enciclopedia bizantina del X secolo). Propriamente, compimento poetico in lode di una persona, opposto ad altro in biasimo della medesima e scritto dallo stesso autore. Per estensione in senso generale, esposizione di opinioni contrarie a quelle espresse in precedenza; scritto o discorso nel quale si ritrattano opinioni già professate. La storia è una narrazione, un racconto dove spesso l’interpretazione giustifica i fatti e i fatti soccombono con la palinodia al senso. La storie che vengono raccontiate sono miti dai quali viene tratta con la palinodia ogni giorno la realtà.

Caso Femen: per la CEDU la libertà religiosa può essere calpestata
di Mauro Ronco
Centro Studi Livatino, 19 ottobre 2022


1. Il gesto blasfemo del 20 dicembre 2013

Alcuni giorni prima della festa di Natale, il 20 dicembre 2013, Eloïse Bouton, cittadina francese nata nel 1983, militante del movimento Femen, entrò, seguita da un gruppo di giornalisti e fotografi, nella Chiesa di Santa Maria Maddalena in Parigi indossando un velo azzurro e una simil-corona di spine, il petto nudo e il corpo tatuato con alcuni slogans. Postasi davanti all’altare in corrispondenza del tabernacolo ove è custodito il corpo di Cristo mimò un aborto con l’aiuto di due pezzi di fegato di manzo, rappresentativi della creatura uccisa.

Eloïse Bouton spiegò in una intervista al Nouvel Observateur del 23 dicembre successivo, pubblicata su internet sotto forma di lettera indirizzata al curato della Chiesa, l’obiettivo della sua azione. Ella teneva “due pezzi di fegato di manzo nelle mani, simbolo del piccolo Gesù abortito”. All’altezza del ventre si era tatuata lo slogan “344ème salope [troia]”, con riferimento al manifesto che 343 donne avevano reso pubblico nel 1971, dichiarando di avere abortito e chiedendo che fosse riconosciuto il “diritto” all’aborto. Sul dorso Eloïse Bouton si era fatta tatuare la frase: “Natale è cancellato”. Gli inquirenti versarono nel fascicolo della procedura una pubblicazione tratta dal sito internet delle Femen-France che conteneva delle fotografie sottotitolate: “Natale è annullato dal Vaticano a Parigi, sull’altare della Chiesa della Maddalena la Santa Madre Eloïse ha abortito Gesù”.

2. Origine e scopo del movimento Femen

Il movimento Femen è un movimento femminista radicale fondato in Ucraina nel 2008. Oggi ha la sede centrale a Parigi. Il movimento ha carattere globale e opera in vari paesi compiendo azioni provocatorie contro la religione e agitando temi come la prostituzione, la violenza contro le donne e la promozione dei “diritti” degli omosessuali. Le militanti del movimento usano il corpo, parzialmente o totalmente denudato, ricoperto di tatuaggi e di sintetici slogan, come arma per provocare uno shock emotivo nei luoghi ove esse compaiono improvvisamente, seguite da fotografi che ritraggono le varie performances allo scopo di diffonderle sui media, rendendole, per così dire, virali.

3. Il significato simbolico del gesto

Nelle spiegazioni che Eloïse Bouton ha fornito nel successivo processo penale l’obiettivo del gesto sarebbe stato di esprimere una vibrata protesta contro la dottrina della Chiesa cattolica, che ritiene gravemente illecito l’aborto volontario, contribuendo in tal modo a mantenere un clima ostile all’aborto come diritto assoluto delle donne.

È evidente che tale obiettivo è stato perseguito tramite una prestazione che ha messo in scena una blasfemia offensiva della fede cattolica. Invero: i) l’esponente di Femen ha inteso rappresentare in se stessa, con una inversione dissacrante, l’immagine della Santa Vergine Maria: ha indossato infatti il velo azzurro che nell’iconografia sacra è indossato spesso dalla Madonna e tenendo le mani giunte come in preghiera; ii) l’identificazione blasfema è stata rivendicata dalle Femen sul rilievo che la simulazione dell’aborto era stata compiuta dalla “Santa Madre Eloïse che aveva abortito Gesù”; iii) la blasfemia è stata ripetuta con l’identificazione dei due pezzi di fegato di manzo con il feto di Gesù.

Lo slogan sul dorso nudo della Femen circa la cancellazione del Natale, fu ribadito pochi giorni dopo dalle Femen che, in un comunicato, sostenevano che il Natale è cancellato in tutto il mondo, dal Vaticano a Parigi, perché Gesù era stato abortito sull’altare della chiesa della Maddalena.

Gli slogan tatuati sul corpo nudo costituiscono espressioni di odio verso Nostro Signore Gesù Cristo e la Santa Vergine. La performance di Eloïse Bouton rappresenta l’assassinio di Gesù ancora nel ventre della madre allo scopo di cancellare universalmente il Natale dal mondo che egli è venuto a salvare, dispregiando l’altare sacro e vilipendendo Gesù stesso presente nel Tabernacolo.

La prestazione, compiuta alla presenza di fedeli cattolici in preghiera, aveva l’evidente scopo di provocare in loro dolore e turbamento. Ha avuto una ripercussione seriale sui media grazie alla sua organizzazione preventiva. Ha esteso l’offesa alla sensibilità religiosa di tutti i cristiani.

4. La violazione della libertà religiosa

Il gesto di Eloïse Bouton e dei suoi complici vilipende non soltanto le cose sacre e le persone stesse di Gesù e di Maria, ma anche il diritto alla libertà religiosa dei fedeli cattolici, di quelli raccolti in preghiera il 20 dicembre 2013 nella chiesa di Parigi, ma anche di quelli viventi in ogni parte del mondo.

Il diritto penale francese, ormai spogliato di qualsiasi previsione che tuteli le confessioni religiose e la libertà di religione, non conosce alcuna norma diretta alla tutela della libertà religiosa, del tipo di quella prevista all’art. 404 del codice penale italiano (“Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose”), che il legislatore italiano ha introdotto nel 2006 nel codice in una prospettiva pluralistica a tutela dell’onorabilità di ogni confessione religiosa, del suo culto e delle cose destinate al culto (L. 24.02.2006, n. 85).

5. L’infrazione penale di “esibizione sessuale”

Il Procuratore Pubblico competente, su denuncia del Rettore della chiesa, si è pertanto avvalso, per corrispondere all’istanza di giustizia penale, dell’infrazione penale di “esibizione sessuale” contemplata all’art. 222-32 del codice penale, che punisce il fatto oggettivo di esibizione di parti sessuali del corpo in pubblico senza alcuna ragione giustificatrice.

6. I vari gradi del processo

Il Tribunale correzionale ha condannato Eloïse Bouton alla pena della prigione per un mese con la sospensione della stessa e al risarcimento, a titolo di pregiudizio morale alla persona offesa nella misura di 2.000,00 Euro, oltre alla partecipazione nella misura di Euro 1.500,00 alle spese di procedura dalla stessa sopportate.

La Corte di Appello di Parigi, su gravame della militante Femen, ha confermato la sentenza di prime cure con motivazione che si riferisce nei punti essenziali:

i) l’elemento materiale del reato, non contestato dalla prevenuta stessa, è stato compiutamente integrato, in quanto la donna, entrata nella chiesa della “Madeleine” in compagnia dei giornalisti appositamente convocati, si è svestita avvicinandosi all’altare, esibendo il petto nudo e il dorso recante le iscrizioni già sopra menzionate. La donna, dopo essersi svestita, ha mimato l’aborto dell’embrione di Gesù, deponendo sull’altare un pezzo di fegato di manzo sanguinolento rappresentante un feto. I fatti sono stati commessi pubblicamente durante una prova del coro vocale della “Madeleine”, provocando l’intervento del maestro di cappella, che ha invitato fermamente la donna e i giornalisti che la accompagnavano a lasciare i luoghi;

ii) parimenti è stato integrato l’elemento morale di commettere l’illecito. La Corte ha preso atto che l’attivista ha giustificato la sua azione con il desiderio di denunciare le campagne contro l’aborto condotte dalla Chiesa cattolica nel mondo; ma ha osservato che, seppure la donna non abbia compiuto gesti osceni, ella ha però commesso la sua azione in un edificio religioso, in un luogo di preghiera e di raccoglimento, al cui ingresso è rammentato a chiunque l’obbligo di serbare un abbigliamento decente. Ha aggiunto ancora che l’evoluzione dei costumi e delle concezioni in materia di arte e di pudore non può giustificare l’uso dei seni come arma offensiva, come ha espressamente dichiarato di aver fatto Éloïse Bouton. Infine l’esibizione è stata imposta alla vista di persone non consenzienti in un luogo accessibile a tutti. Sull’elemento morale dell’infrazione la Corte ha concluso:

“Éloïse Bouton était consciente de la présence d’autrui, qu’elle avait d’ailleurs pour relayer utilement et efficacement l’information de ses agissements, tenu à se faire accompagner d’une dizaine de journalistes ; qu’elle a montré, ainsi qu’elle le reconnaît, et le rappellent tant l’avocat de la partie civile dans sa plaidoirie et ses écritures, que l’avocat général dans ses réquisitions, ses deux seins nus comme une arme, voulant par ailleurs offenser la pudeur d’autrui et notamment des catholiques, opposés à l’avortement et menant dans certains pays des campagnes anti-avortement” (p.10);

iii) sulla pretesa violazione della libertà di espressione, invocata ex art. 10 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo dalla militante Femen, la Corte di Appello ha ricordato che il comma 2 del medesimo articolo prevede che l’esercizio delle libertà di opinione e di espressione comporta dei doveri e delle responsabilità, dirette, tra l’altro, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti altrui. In particolare è compito delle giurisdizioni conciliare:

“la liberté d’expression avec d’autres libertés d’égale valeur, telles que la liberté religieuse ; considérant, en l’espèce, que l’action menée au sein de l’église de la Madeleine, spécialement repérée pour l’occasion, a été réalisée par Éloïse Bouton dans le dessein assumé de “choquer”, par l’exhibition de ses seins, l’opinion publique et les fidèles catholiques et protester avec violence et brutalité contre les positions anti-avortement de l’Église catholique, l’intéressée n’hésitant pas à défier des individus de confession catholique dans l’une de leurs églises et en un lieu central, c’est-à-dire l’autel, qui renferme une pierre dans laquelle repose un morceau de relique d’un saint…” (ibidem).

La Corte d’Appello ha pertanto concluso che il gesto non era giustificato dall’art. 10 della Convenzione europea. Non era stata limitata la sua libertà di espressione, ma, al contrario, lei stessa aveva recato un grave attentato alla libertà di pensiero di altre persone e aveva violato la libertà religiosa in generale:

“les droits de la prévenue trouvent leur limite d’exercice au besoin social impérieux de protéger autrui de la vue dans un lieu de culte, d’une action exécutée dénudée que d’aucuns peuvent considérer comme choquante. L’action du ministère public était donc proportionnée au but légitime visé” (p. 11).

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della militante con pronuncia datata 9 gennaio 2019, ritenendo che la libertà di espressione della donna non era stata compressa in modo ingiustificato, poiché tale libertà deve conciliarsi con il diritto delle altre persone, riconosciuto dall’art. 9 della Convenzione europea, di non essere disturbate nella pratica della propria religione.

7. La pronuncia della Corte dei Diritti dell’Uomo

La Corte europea, su ricorso di Eloïse Bouton, che denunciava la violazione dell’art. 10 della Convenzione, ha condannato la Repubblica francese a versare alla ricorrente 2.000,00 a titolo di ammenda per il danno morale procuratole dalla violazione della norma convenzionale.

La condanna penale sarebbe stata una ingerenza indebita del potere pubblico nell’esercizio del suo diritto di libertà, non ricorrendo i motivi legittimi di ingerenza previsti al co. 2 dell’art. 10: cioè la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, ovvero la protezione dei diritti e delle libertà di altre persone.

8. La motivazione della pronuncia

L’argomentazione della Corte è confusa e contraddittoria, tale da viziare gravemente la validità giuridica della sentenza.

Invero, dopo aver osservato che l’ingerenza pubblica deve essere valutata alla luce dell’insieme della vicenda, dei motivi invocati per giustificarla e dello scopo perseguito dal soggetto, ha iniziato il suo discorso denunciando la natura e la pesantezza della pena inflitta alla donna. La pena ammontava a un mese di reclusione con la sospensione dell’esecuzione. È evidente che l’argomento ha inteso pretestuosamente delegittimare l’operato dell’autorità giudiziaria per una presunta – ma insussistente – severità.

Per sottolineare la pretesa irragionevolezza della pena, la Corte ha dichiarato che la prigione è ammissibile soltanto allorché siano offesi i diritti fondamentali tramite discorsi di odio o di incitamento alla violenza.

Con ciò ha omesso la Corte di considerare che la performance della militante Femen integrava qualcosa di più grave di un semplice discorso di odio.

La trama scenica, allestita in un contesto osceno (l’uso dei seni come arma), accompagnati dalla manipolazione dei pezzi di fegato di manzo rappresentanti il corpo assassinato di Gesù, è intrisa di odio barbaro verso la religione cristiana.

È evidente che l’obiettivo della rappresentazione era di nuocere alla onorabilità e alla credibilità della religione eccitando reazioni di disprezzo verso la Chiesa cattolica in quella parte di popolazione che ritiene che l’aborto sia un “diritto”.

La Corte, poi, non ha valutato affatto l’episodio nel suo insieme, come affettatamente ha scritto in apertura della motivazione. Infatti, neppure una parola ha speso sulle perverse blasfemie compiute: la grottesca incoronazione di spine, la simulazione dell’uccisione di Gesù, la sua sostituzione con le interiora di un animale, la posizione assunta dalla donna davanti all’altare, le braccia in croce, il velo azzurro sui capelli.

Nel singolare rifiuto di prendere in esame l’oggettività del fatto e le sue inequivoche implicazioni simboliche, la Corte di Strasburgo ha esaltato lo scopo soggettivo addotto a posteriori dalla militante Femen, come se i motivi soggettivi, contro la giurisprudenza costante di ogni paese, potessero cancellare l’oggettività illecita degli atti. La messa in scena, organizzata secondo le modalità tipiche del movimento Femen aveva
en effet pour but de véhiculer, dans un lieu de culte symbolique, un message relatif à un débat public et sociétal portant sur le positionnement de l’Église catholique sur une question sensible et controversée, à savoir le droit des femmes à disposer librement de leur corps, y compris celui de recourir à l’avortement (p. 48).

Contro la metodologia usuale di interpretazione del diritto la Corte ha sostituito alla doverosa considerazione del fine dell’atto oggettivamente inerente alle cose stesse (il vilipendio della religione cristiana con esibizione della nudità) l’apprezzamento del motivo soggettivo che avrebbe ispirato la condotta della donna.

9. Sul bilanciamento del diritto alla libera espressione con i diritti di tutti i cittadini alla protezione dei diritti e delle libertà personali

La Corte si è posta il problema del bilanciamento tra la libertà di pensiero e la libertà della sua espressione, statuiti dagli artt. 9, co. 1 e 10 co. 1 della Convenzione, e i limiti che la Convenzione stessa pone a tali libertà negli stessi artt. 9 co. 2 e 10 co. 2 (p. 63).

La Corte ha eluso tuttavia subdolamente di svolgere direttamente il bilanciamento, che non avrebbe potuto che sfociare logicamente nella prevalenza dei diritti dei terzi e, in particolare, dei fedeli cattolici, di vedere rispettata la propria religione nei suoi fondamenti più intimi.

Il giudice europeo si è sottratto a tale ineludibile compito portando un attacco alla giurisdizione interna francese, che non avrebbe effettuato correttamente il bilanciamento in questione. L’asserto è falso. La Corte di Appello non aveva fatto per nulla astrazione dalle dichiarazioni esplicative di Eloïse Bouton. Con l’artificio di scaricare sul giudice interno un inesistente vizio di motivazione la Corte europea ha motivato così la condanna dello Stato francese. Ha sostenuto infatti che il giudice interno si sarebbe limitato
à examiner la question de la nudité de sa poitrine dans un lieu de culte, isolément de la performance globale dans laquelle elle s’inscrivait sans prendre en considération, dans la balance des intérêts en présence, le sens donné à son comportement par la requérante. En particulier, les juridictions internes ont refusé de tenir compte de la signification des inscriptions figurant sur le torse et le dos de la requérante, qui portaient un message féministe en référence au manifeste pro-avortement de 1971 dit «manifeste des 343 salopes» (p. 64).

Poiché i giudici interni non avrebbero bilanciato gli interessi contrastanti in maniera adeguata, avrebbero pronunciato una condanna illegittima a una pena sproporzionata rispetto agli scopi legittimi previsti dalla legge. La Corte ha concluso pertanto che la Francia ha violato l’art. 10 della Convenzione, poiché ha condannato Eloïse Bouton a una pena esorbitante rispetto alle necessità proprie di una società democratica (pp. 66 e 67).

10. La sentenza della Corte europea è inequivocabilmente contra ius: pertanto è illegittima e iniqua

La semplice descrizione dei fatti mostra all’evidenza che l’esibizione della militante Femen era oggettivamente e soggettivamente antigiuridica secondo la legge penale francese, nonché intrisa d’odio contro la religione cattolica. La motivazione della pronuncia è illogica e contraddittoria; rivela la totale assenza di rispetto per i diritti umani delle persone offese – in specie i fedeli presenti nella chiesa della “Madeleine” e tutti fedeli cattolici sparsi nel mondo – ed appare quasi derisoria verso tutti coloro che in Europa si attendono pronunce giurisdizionali secondo verità e conformi alla legge legittimamente vigente.

L’arma della “libertà di espressione”
di Mauro Faverzani
Corrispondenza Romana, 19 ottobre 2022


(…) È divenuta ormai una triste consuetudine, quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di difendere attacchi, insulti e profanazioni contro la Chiesa. Nel 2018 la Corte ha condannato la Lituania per aver sanzionato pubblicità blasfeme con Cristo e la Madonna, benché, sempre quell’anno, abbia confermato una condanna penale ad un docente austriaco, “reo” di aver equiparato alla pedofilia la relazione sessuale tra Maometto e la piccola Aisha di soli 9 anni. In questo caso, secondo la Corte, l’insegnante non sarebbe stato obiettivo, anzi avrebbe compiuto una «generalizzazione» atta a dimostrare per quali ragioni Maometto non sia «degno di culto», il che avrebbe potuto «suscitare una giustificata indignazione» nei fedeli islamici. Tutto questo avrebbe rappresentato, pertanto, «una maliziosa violazione dello spirito di tolleranza, che è alla base della società democratica», avrebbe potuto «suscitare pregiudizi» e «mettere in pericolo la pace religiosa». Risale, infine, solo ad un mese fa la sentenza con cui la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che la condanna per blasfemia inflitta alla popstar polacca Doda avrebbe violato il suo diritto d’espressione.

Insomma, profanare un altare cattolico sarebbe libertà d’espressione, approfondire gli hadīth della fede islamica sarebbe criminale. L’attacco blasfemo di una femminista in una chiesa o di una cantante sul palco rappresenterebbe un contributo al dibattito pubblico sui diritti delle donne, mentre indossare simboli religiosi visibili sul lavoro sarebbe un reato, come deciso e ribadito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il criterio dei due pesi e due misure, seguito dai vertici europei, è evidente, assurdo, discriminatorio e quindi, questo sì, odioso e foriero d’incitazione all’odio.

Ma proprio dalla Polonia giunge, ancora una volta, la speranza, in particolare con la proposta di legge presentata dal partito Polonia unita (Solidarna Polska), che prevede il carcere fino a tre anni per chiunque offenda o ridicolizzi pubblicamente la Chiesa. Secondo il Ministro di Giustizia, Zbigniew Ziobro, «per attuare pienamente la libertà di religione, è necessario modificare il codice penale, che oggi non garantisce sufficientemente la protezione dei credenti».

In Polonia è già un reato penale, punibile fino a due anni di reclusione, quello di «offendere i sentimenti religiosi di altri, insultando pubblicamente un oggetto di culto religioso o un luogo destinato alla celebrazione pubblica di riti religiosi». Tale norma, ora, potrebbe essere inasprita. Anche il principale partito di governo, Diritto e Giustizia, infatti, ritiene la proposta di legge «in linea con i valori che condividiamo». Contraria, invece, prevedibilmente, la Sinistra, che si schiera dalla parte dei facinorosi: «Se questo emendamento entrerà in vigore – ha dichiarato un suo esponente, l’On. Joanna Scheuring-Wielgus – chiunque, ad esempio, ponga a Maria Vergine un’aureola arcobaleno Lgbt o protesti in una chiesa, come abbiamo fatto io e mio marito, verrà punito col carcere». Esattamente. Si noti che da un paio d’anni il leader di Polonia Unita, nonché ministro di Giustizia, Zbigniew Ziobro, sta cercando di far levare all’On. Scheuring-Wielgus l’unico scudo, che finora l’ha sottratta alla condanna ovvero l’immunità parlamentare, per farla giudicare circa le accuse di offesa ai sentimenti religiosi e ostacolo doloso ad un atto religioso proprio per aver protestato in chiesa contro la norma polacca sull’aborto.

Sarebbe ora che venisse ribadito in tutte le sedi, soprattutto in quelle istituzionali, un doveroso rispetto verso la fede altrui, in particolar modo quando questa nei secoli abbia costruito la storia, la morale, il diritto e la cultura dell’intera Europa.

Si può profanare una chiesa, lo ha stabilito la Corte!
Osservatorio sulla Cristianofobia

Un giornale italiano, Il Messaggero, ha così riassunto quanto è successo: “In Francia, profanare una chiesa per protestare è legittimo. Lo ha stabilito la Corte Europea”.
I fatti:
Correva l’anno 2013, quando una donna di nome Eloise Bouton, militante delle cosiddette “Femen” è entrata nella centralissima Chiesa della Maddalena a Parigi.
(Le “Femen” sono quel movimento femminista radicale di protesta, diventato famoso per la pratica di manifestare, anche in chiese, mostrando i seni).
Semi-nuda, con un velo azzurro sulla testa e le braccia aperte come sulla croce, questa militante radicale non soltanto ha mimato la Madonna che abortiva Gesù, lasciando brandelli di fegato di vitello sanguinolenti ai piedi dell’altare – simbolo di Gesù abortito – ma ha anche urinato sui gradini dello stesso.
A questo sacrilegio erano presenti una decina di giornalisti, preventivamente avvertiti dall’attivista radicale delle “Femen”.
Eloise Bouton è stata, in seguito al suo atto blasfemo, denunciata e condannata dai tribunali francesi, in tutti i gradi di appello, a un mese di carcere, con la condizionale, e un’ammenda di 2.000 euro per “un’esibizione sessuale all’interno della chiesa parigina della Madeleine”.
“Un’inezia, in confronto ai fatti”, ha commenta giustamente il sito La Nuova Bussola Quotidiana.
Secondo il giornale francese Le Figaro, l’attivista voleva denunciare l’insegnamento della Chiesa in materia di aborto. Il suo avvocato aveva allora gridato allo scandalo perché nella decisione dei giudici “ha pesato il carattere cultuale del luogo dove è stato commesso la presunta infrazione”.
Condannata in Francia, la “Femen” Bouton ha deciso di far appello alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
E ha vinto!!!
Con una decisione pubblicata questo 13 ottobre – Bouton v France – i sette giudici della CEDU hanno stabilito, all’unanimità, che un’attivista a seno nudo che sull’altare di una chiesa simula di abortire Gesù, che urina sull’altare, che avvilisce la Fede Cristiana, che insulta i cristiani, “ha semplicemente esercitato la sua libertà di espressione”.
Questa Corte Europea ha deciso che il gesto della attivista della Femen “ha avuto come l’unico obiettivo quello di contribuire, attraverso una performance volutamente provocatoria, al dibattito pubblico sui diritti delle donne, in particolare sul (cosiddetto, n.d.r.) diritto all’aborto”.
Adesso, oltre al danno viene la beffa: la Corte Europea ha condannato lo Stato francese – dunque i suoi contribuenti – a risarcire con 9.800 euro questa attivista delle “Femen”!
Il commento de Tempo.it va diritto al punto: “Adesso i cittadini europei sono liberi di profanare i luoghi di culto cristiani, di offendere il sentimento religioso dei credenti e di compiere atti osceni all’interno di una chiesa”.
Cosa fare?
L’European Centre for Law and Justice (ECLJ) – l’influente organizzazione internazionale dedita alla promozione e alla protezione dei diritti umani – ha già fatto un primo intervento presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il Parlamento Europeo e il Consiglio per i Diritti Umani, per la difesa dei diritti dei cristiani di praticare e vivere la propria Fede.
Perché, come denuncia l’ECLJ, i cristiani in Europa sono diventati la categoria di persone più perseguitata a causa della Fede:

  • ogni giorno in Europa le chiese vengono profanate, bruciate; statue spezzate;
  • l’incomprensione e l’odio verso Cristo e i cristiani si diffondono nella società;
  • persone di origine musulmana che si convertono al cristianesimo sono spesso perseguitate, costrette a vivere la loro Fede nella clandestinità;
  • le manifestazioni pubbliche cristiane sono sempre più censurate e anche le basilari dichiarazioni di fede nei discorsi pubblici vengono censurate e perseguite.

Malgrado il fatto che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non sia un organo dell’Unione Europea, le sue sentenze hanno comunque una efficacia esecutiva “indiretta”, nel senso che obbligano gli Stati membri, come è il caso della Francia e anche dell’Italia, ad adeguarsi.

Da parte sua, anche l‘Osservatorio sulla Cristianofobia interverrà presso la Commissione Europea e il Parlamento Europeo, chiedendo che misure concrete siano prese, perché la Fede cristiana, i diritti e i sentimenti dei cristiani vengono non soltanto rispettati ma garantiti all’interno della Comunità Europea.

Uniti insieme ad altre realtà, possiamo ottenere dei risultati concreti per la difesa dei diritti dei cristiani all’interno dell’Europa.

La Pontificia Accademia per la Vita è stata istituita da San Giovanni Paolo II con la Lettera apostolica in forma di Motu proprio Vitae mysterium dell’11 febbraio 1994 [QUI], «col fine di studiare in un’ottica interdisciplinare i problemi riguardanti la promozione e la difesa della vita, di informare in maniera chiara, tempestiva e capillare i responsabili della Chiesa, delle varie istituzioni di scienze biomediche e delle organizzazioni socio-sanitarie su quanto è stato oggetto di studio, nonché di formare, nel rispetto del Magistero della Chiesa, a una cultura della vita» (Statuti, Art. 1).

Difensori della vita ma abortisti: idee confuse in Vaticano
di Riccardo Cascioli
La Nuova Bussola Quotidiana, 19 ottobre 2022


Epurazione dal Consiglio direttivo delle personalità legate alle radici della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) e inserimento tra i membri ordinari di altre personalità che con la difesa della vita hanno niente a che vedere. Così la “nuova” Pontificia Accademia per la Vita taglia ulteriormente i ponti con il passato e crea un curioso antagonismo con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.

Le nuove nomine, annunciate il 15 ottobre, hanno fatto rumore soprattutto per la presenza tra i membri ordinari dell’economista italo-americana Marianna Mazzucato, definita atea, pro-aborto e legata al Forum Economico di Davos. Ma le nomine più gravi per il futuro della PAV sono altre. Certo, è comprensibile lo scandalo per la nomina della Mazzucato, visto il curriculum dell’economista; ma da quando Monsignor Vincenzo Paglia ha assunto la guida della PAV essere contrari all’aborto, alla contraccezione, alla fecondazione artificiale, all’eutanasia non è più un requisito per sedere nell’organismo creato da Giovanni Paolo II per difendere la vita.

Mentre in questa nuova concezione la difesa della vita ha allargato i confini per abbracciare ormai qualsiasi cosa abbia a che fare con la vita dell’uomo – dalle migrazioni alla difesa dell’ambiente – è praticamente scomparso il legame profondo che c’è fra la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, e il rispetto della dignità umana in tutte le altre circostanze della vita. Così diventa possibile nominare alla PAV personalità pro-aborto in nome della loro competenza in alcuni settori specifici.

Già le prime nomine della gestione Paglia, fatte nel 2017, avevano sollevato forti reazioni [QUI]; ora, con la nomina della Mazzucato, si prosegue sulla stessa strada. In questo caso abbiamo un’economista di fama internazionale, che è stata anche consigliera economica dell’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, molto vicina al Presidente del Forum Economico di Davos (WEF, World Economic Forum), quindi teorica del Grande Reset nonché della transizione ecologica (un suo recente tweet invocava il “lockdown climatico”). Nei suoi libri e saggi sostiene con forza la necessità di uno Stato imprenditore.

A Papa Francesco piace per le sue tesi favorevoli al cosiddetto “capitalismo inclusivo” e infatti è stata anche protagonista al recente incontro di Assisi sulla “Economia di Francesco”, guidando un seminario sulla finanza. Ma nel giro cattolico circola già da un po’, tanto che è stata ospite anche del Meeting di Rimini nel 2020. Non è quindi una sorpresa, visti i precedenti di altri guru laici e atei che dettano legge in Vaticano, che a un certo punto anche la Mazzucato fosse infilata in qualche organismo dipendente dalla Santa Sede.

Ma perché proprio alla PAV? Cosa c’entrano un’economista e i discorsi sul capitalismo con i temi riguardanti la vita? La Mazzucato è anche fra i collaboratori dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, e Monsignor Paglia ritiene evidentemente che i suoi princìpi sull’economia inclusiva siano utili nella prospettiva di indicare la via per una ridistribuzione delle risorse sanitarie a favore dei Paesi poveri.

Resta però la domanda: come è possibile pensare che il diritto all’aborto (un tweet della Mazzucato contestava la decisione della Corte Suprema USA che ha rovesciato la Roe vs. Wade) sia conciliabile con politiche per la vita in settori specifici, inclusa la sanità?

Domanda che probabilmente altri membri della PAV si sono fatti in questi anni, ed è così che dal nuovo Consiglio Direttivo sono sparite le voci più critiche nei confronti della gestione Paglia, mentre tra i membri ordinari è stato cancellato Monsignor Alberto Germán Bochatey, Vescovo ausiliare di La Plata (Argentina). Bochatey è un grande esperto di Bioetica, discepolo del Cardinale Elio Sgreccia che per 14 anni è stato al vertice della PAV. Non rinnovato come membro ordinario anche Alain Lejeune, docente di Diritto farmaceutico, anche lui fedele all’eredità del Cardinale Sgreccia.

Ma tornando al Consiglio direttivo, Papa Francesco ha tagliato le personalità che in questi anni più avevano contestato la “linea Paglia”: il Professor Adriano Pessina, Direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica di Milano; e la Dottoressa Monica Lopez Barahona, Presidente della Delegazione spagnola della Fondazione Jérôme Lejeune, nonché Direttrice della Cattedra di Bioetica Jérôme Lejeune a Madrid. Entrambi restano come semplici membri ordinari. Un piccolo “giallo” riguarda invece la Professoressa Gabriella Gambino, docente di Bioetica all’Università di Tor Vergata (Roma) e Sottosegretario del Dicastero per i laici, famiglia e vita: scomparsa dalla lista presentata, ma membro di diritto del Consiglio Direttivo, come delegata del Dicastero. Semplice dimenticanza o c’è dell’altro?

In ogni caso il significato delle esclusioni è chiara: nei confronti di Monsignor Paglia avevano più volte lamentato il modo autoritativo di procedere, prendendo iniziative e posizioni non condivise dal Consiglio Direttivo o di cui il Direttivo era all’oscuro. E ovviamente non condividevano il nuovo indirizzo e le aperture sui temi di bioetica – come le recenti su contraccezione [QUI], Fivet [QUI] ed eutanasia [QUI] – che capovolgono i criteri della teologia morale.

Le nuove nomine dunque segnano una ulteriore accelerazione verso una concezione ridotta della vita e del suo valore, il che allontana la Pontificia Accademia per la Vita anche dalla linea del Dicastero per i laici, famiglia e vita che – pur con tutti i suoi limiti – mantiene l’impostazione tradizionale, come dimostra il recente documento per la preparazione dei fidanzati al matrimonio [QUI]. L’ennesima contraddizione di questo pontificato.

Il Papa nomina un’economista abortista all’Accademia della Vita, choc tra i cattolici (e parte una raffica di critiche)
di Franca Giansoldati
Il Messaggero, 19 ottobre 2022


Nel sancta sanctorum accademico del Vaticano istituito da Giovanni Paolo II nel 1994 per la difesa della vita umana – la Pontificia Accademia per la vita – è stata nominata da Papa Francesco (su consiglio di Monsignor Vincenzo Paglia, attuale Presidente dell’Accademia) – una illustre economista italo-americana con dichiarate e radicate posizioni pro abortiste. L’ingresso di Mariana Mazzucato – docente all’University College London ed ex consulente del governo Conte – non poteva di certo passare inosservato. Tanto che negli Stati Uniti sono partite già raffiche di polemiche feroci da parte di comunità cattoliche che si stanno chiedendo cosa stia accadendo a Roma e il perché di tale nomina.

La visione economica di Mariana Mazzucato si inserisce nel solco di Piketty e Stiglitz, si batte per le disuguaglianze sociali e per un ruolo maggiore dello stato come regolatore dell’economia. In passato per i suoi lavori ha vinto nel 2018 il Leontief Prize for Advancing the Frontiers of Economic Thought, nel 2019 il Madame de Staël Prize for Cultural Values, nel 2020 il John von Neumann Award e nel 2021 il Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Le sue opere sono tradotte in varie lingue, per Laterza ha pubblicato Lo Stato innovatore, Ripensare il capitalismo, Non sprechiamo questa crisi (2020) e Missione economia. Una guida per cambiare il capitalismo (2021). Romana di nascita ma naturalizzata americana ha anche affiancato il Premier Giuseppe Conte nel rilancio della crescita nelle zone colpite dal coronavirus.

La protesta contro questa economista è partita in sordina per poi gonfiarsi cammin facendo. Inizialmente è stato il sito web Catholic Culture che alcuni giorni fa ha pubblicato dei link a recenti post sui social media della Mazzucato, dove emergevano aperte e chiare dichiarazioni a favore dell’aborto riguardo alla decisione della Corte Suprema di intervenire sulla sentenza Roe versus Wade e di rimandare la legge sull’aborto ai singoli Stati che nel frattempo, in molti casi, hanno vietato di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza.

Robert George, professore di giurisprudenza presso l’Università di Princeton, cattolico e sostenitore del diritto alla vita, ha dichiarato alla agenzia cattolica CNA di essere turbato dalla nomina di Mazzuccato, visto che la Pontificia Accademia per la Vita è nata solo per portare avanti la missione della Chiesa di promuovere il rispetto per la vita, a iniziare dall’embrione. «O si crede in questa missione o non ci si crede. Se non ci si crede, allora perché la hanno incluso nella Pontificia Accademia?». Naturalmente le polemiche non riguardano solo la posizione abortista della Mazzucato – il cui talento accademico è tuttavia riconosciuto a livello internazionale – ma piuttosto i criteri usati dal Vaticano, dal Papa e dall’attuale Presidente della Pontificia Accademia della Vita, Monsignor Vincenzo Paglia nel nominare i membri dell’Accademia.

«Non riesco a trovare una spiegazione che non sia scioccante e scandalosa» ha aggiunto il professor George alla CNA. Mazzuccato sull’aborto ha effettivamente idee molto chiare e definite. Recentemente si è chiesta pubblicamente perché uno Stato dovrebbe vietare l’aborto e poi nello stesso tempo autorizzare l’uso di armi, favorire la loro vendita, con il rischio ciclico di alimentare stragi sanguinosissime.

Benjamin Sack, Senzo titolo, 2016.

«La nostra esistenza assomiglia all’arcana legge di quel vortice, di quel moto perpetuo che tiene la trottola ritta sulla punta» (Filosofo Giacomo Marramao, Professore emerito di filosofia politica e filosofia teoretica dell’Università degli Studi Roma Tre).

Foto di copertina: Leonora Carrington, Il Labirinto, 1991.

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