Il processo 60SA vaticano. L’impianto accusatorio e il modus operandi del Promotore di Giustizia e della Polizia Giudiziaria (Gendarmeria) vaticani

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.10.2022 – Vik van Brantegem] – Ritorniamo sui punti salienti delle udienze numero 28, 29 e 30 del maxiprocesso 60SA (ufficialmente procedimento penale n. 45/2019 RGP) vaticano per presunti illeciti nella gestione dei fondi della Segreteria di Stato, celebrate il 12,13 e 14 ottobre 2022 nell’aula del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, allestita nella sala polifunzionale dei Musei Vaticani.

«In ogni falso
si nasconde sempre
qualcosa di autentico»
[*]

Innanzitutto, riportiamo ampi stralci dall’articolo dell’amico e collega Andrea Gagliarducci per ACI Stampa, che analizza cosa è successo nelle tre udienze, con attenzione speciale per l’impianto accusatorio.

Poi, seguono ampi stralci dal commento pubblicato dal sito Silere non possum, che si sofferma sulla testimonianza di Stefano De Santis, Dirigente del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, che esprime forte preoccupazione per il metodo usato.

Sotto la lente degli analisti – da una parte un analista vaticanista esperto in questioni giudiziari, finanziari e diplomatiche vaticani; da l’altra parte il sito di un esperto in diritto canonico e procedura processuale vaticana – in modo particolare il modus operando del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano

Ricordiamo che la Gendarmeria vaticana è un corpo di pulizia, dipendente dal Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, preposto a garantire l’ordine pubblico, nonché a svolgere le funzioni di intelligence, polizia giudiziaria e di vigilanza della circolazione stradale nel territorio dello Stato della Città del Vaticano e nelle sue numerose pertinenze extraterritoriali.

L’attuale Comandante della Gendarmeria vaticana, Gianluca Gauzzi Broccoletti (Gubbio, 3 giugno 1974), si è laureato presso l’Università La Sapienza di Roma in Ingegneria della Sicurezza e della Protezione. È entrato a far parte del Corpo della Gendarmeria nel 1995. Nel 1999 è stato incaricato della progettazione e dello sviluppo della tecnologia di rete e dell’infrastruttura di sicurezza dello Stato della Città del Vaticano e anche della cybersecurity. Nel 2010 è stato trasferito al Centro Operativo di Sicurezza. È diventato dirigente nel 2017 e vice comandante nel 2018. Ha contribuito a gestire la sicurezza tecnologica durante i Conclavi del 2005 e del 2013. Ha rappresentato i Servizi di Sicurezza e Protezione Civile nei rapporti con le forze dell’ordine italiane. Ha anche testimoniato occasionalmente come perito in procedimenti penali vaticani, per esempio in riferimento ai processi Vatileaks. Il 15 ottobre 2019 è stato nominato da Papa Francesco Comandante della Gendarmeria vaticana e Direttore dei Servizi di Sicurezza e della Protezione Civile dello Stato della Città del Vaticano, in successione a Domenico Giani, che si era dimesso dopo che il settimanale L’Espresso aveva pubblicato, con un articolo a firma di Emiliano Fittipaldi, la “Disposizione di servizio” emesso il 2 ottobre 2019.

Si nota accanto al numero di protocollo 47.277 la sigla sds, che sono le iniziali del funzionario del Corpo della Gendarmeria che ha redatto la “Disposizione di servizio”, e che riferiscono a Stefano De Santis.

La “Disposizione di servizio” che Giani emetteva – su indicazione della Magistratura vaticana, in relazione al procedimento penale n. 45/2019 RGP, attualmente in fase processuale di prima grado – era riservata e non destinata alla divulgazione esterna, ma indirizzata a tutto il personale della Gendarmeria vaticana e per conoscenza al Corpo della Guardia Svizzera Pontificia. Nello specifico era emessa per le formalità dei controlli di accesso allo Stato, in riferimento a 5 dipendenti della Santa Sede (4 funzionari della Segreteria di Stato e il Direttore dell’AIF) sospesi dal servizio (di cui poi 3 rinviati a giudizio, attualmente sotto processo con 7 altri imputati, tra cui il Cardinale Angelo Becciu). Vengono diramate, oltre ai nomi e cognomi, anche le foto segnaletiche, come ogni disposizione di questo tipo necessita per motivi di servizio, in quanto chi controlla gli ingressi allo Stato deve saper riconoscere “de visu” le persone che sono attenzionate. Le persone che hanno il divieto d’accesso allo Stato della Città del Vaticano sono centinaia e regolarmente vengono emesse nuove “Disposizioni di servizio” di questo tipo, affinché venga facilitata l’attività di controllo agli ingressi dello Stato e le persone in questione possono essere riconosciute “de visu”.

Domenico Giani viene “cacciato” dal Papa per la sola colpa di aver emesso questa “Disposizione si servizio” – ripetiamo – su indicazione della Magistratura vaticana e non destinata alla divulgazione esterna. La diffusione esterna delle foto segnaletiche come motivazione per la “cacciata” di Giani era solo un pretesto, a cui noi non abbiamo mai creduto. I reali motivi della “cacciata” erano altri, anche perché all’ex Comandante del Corpo della Gendarmeria, successivamente, in una cerimonia nel Palazzo del Governatorato in Vaticano è stata consegnata la più alta onorificenza riservata ai laici dalla Santa Sede, quella di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano. La decorazione – come faceva sapere in una comunicazione ai giornalisti il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni –  era stata consegnata, a nome del Santo Padre, dal Cardinale Giuseppe Bertello, Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, alla presenza del Sostituto della Segreteria di Stato, Mons. Edgar Peña Parra, del Segretario Generale del Governatorato, Mons. Fernando Vérgez Alzaga, del nuovo Comandante del Corpo della Gendarmeria, Gianluca Gauzzi Broccoletti, e del Vice Comandante, Davide Giulietti. Durante la cerimonia, il Cardinale Bertello ha espresso il suo apprezzamento per il lavoro svolto da Domenico Giani e la gratitudine del Santo Padre, del Governatorato e della Segreteria di Stato, per i lunghi anni di fedele servizio alla Chiesa e al Successore di Pietro.

Ricordiamo a margine, che a seguito agli esiti delle indagini preliminari, era stato aggiunto al registro degli indagati anche Mons Alberto Perlasca, che due mesi prima dell’irruzione nella Segreteria di Stato da parte della Gendarmeria vaticana, stranamente il 26 luglio 2019 veniva trasferito al Palazzo della Cancelleria, nominato Promotore di Giustizia aggiunto al Tribunale della Segnatura Apostolica. Per molti anni è stato a capo dell’Ufficio amministrativo della Prima Sezione della Segreteria di Stato e quindi detentore delle chiavi della cassaforte della medesima (“il Fondo”, di cui l’Obolo di San Pietro era solo una parte) e gestore degli investimenti. Poi, è diventato una specie di pentito/collaboratore di giustizia, non rinviato a giudizio, assunto come testimone “chiave” dell’accusa e costituitosi parte civile.

Recapitoliamo, che il processo 60SA è centrato su un investimento della Segreteria di Stato nel immobile di lusso al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, ma include anche altri capi di imputazione, con in particolare delle accuse di peculato a carico del Cardinale Angelo Becciu, per una finanziamento della Segreteria di Stato alla Caritas della Diocesi di Ozieri e i fondi delle Segreteria di Stato stanziati a favore della sedicente esperta di intelligence Cecilia Marogna, per alcune operazioni di rilascio di missionari rapiti, operazioni rimaste riservate, conosciute solo da Papa Francesco e da lui approvata (disponendone anche la più assoluta riservatezza, anche nei confronti della Gendarmeria vaticana). In questi tre giorni processuali, sono stati escussi Stefano De Santis (che dovrà tornare il 19 ottobre per il controesame delle difese), Marco Simeon e Andrea Pozzi (interrogatorio durato solo pochi minuti perché la sua testimonianza non toccava i capi di imputazione), come abbiamo riferito:

Udienza dopo udienza, l’impianto accusatorio del procedimento penale n. 45/2019 RGP vaticano continua a crollare come un castello di sabbia, perché in 30 udienze non sono emersi ancora reati e soprattutto non ne sono emersi nei confronti del Cardinal Becciu.

Con ogni udienza che passa, trova nuova conferma quanto sottolineato dal finanziere Raffaele Mincione nella seconda e ultima parte del suo interrogatorio, durante la 21ª udienza del 7 giugno 2022: il Cardinal Becciu “è sempre stata una persona lontano da quanto stava accadendo”.

Le udienze con gli interrogatori di molti degli imputati, hanno confermato e ulteriormente chiarito la verità dei fatti illustrati al Tribunale dal Cardinal Becciu, in particolare l’assenza di illeciti nel caso dei finanziamenti per la Diocesi di Ozieri (Caritas e Spem) e l’esclusione proprio dell’ipotesi dell’accusa sul Palazzo di Londra nei suoi confronti. Soprattutto, con ogni udienza che viene celebrata, diventa sempre più manifesto lo scandalo dato dalla cacciata da parte del Papa e dal rinvio a giudizio del Cardinal Becciu. Con tutto ciò, ha assicurato che continuerà a partecipare alle udienze fino alla fine, a testa alta, sicuro che la verità emergerà e così la sua assoluta innocenza.

Processo Palazzo di Londra, la versione di Becciu
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 15 ottobre 2022


Con due dichiarazioni spontanee, di cui una molto articolata, il Cardinale Angelo Becciu ha risposto ad alcune ricostruzioni fatte nell’aula del tribunale del testimone Stefano De Santis, commissario della Gendarmeria. E se una prima volta ha portato il commissario a rivedere parzialmente la sua versione dei fatti, la seconda volta le parole del Cardinale sono entrate in maniera dirompente nel processo. (…)

L’impianto accusatorio

La testimonianza di De Santis, che si è protratta per due udienze, serviva anche a riepilogare le indagini della Gendarmeria vaticana. Diverse volte, il commissario ha fatto riferimento ad annotazioni di altri Gendarmi che avevano svolto le analisi, cercando di spiegare nel dettaglio il ragionamento che ha portato la gendarmeria a ipotizzare alcuni reati.

Un momento chiave ha riguardato l’analisi di una lettera del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha inviato riguardo una offerta per il Palazzo di Londra pervenuta alla Segreteria di Stato tramite l’onorevole Giancarlo Innocenzi Botti e l’ex ambasciatore italiano a New York Castellaneta per il gruppo Bizzi & Partners, e di un’altra offerta del gruppo immobiliare Fenton – Whelan.

De Santis ha sottolineato che “nulla di quello che è stato riferito nella lettera corrisponde al vero”, sostenendo, in pratica, che alla Segreteria di Stato fossero state rappresentate situazioni non veritiere.

Le offerte per il Palazzo di Londra

Eppure, lo stesso De Santis ha dovuto poi ammettere che la manifestazione di interesse del gruppo Fenton Whelan non è passata da un gruppo riferibile a Raffaele Mincione. Semplicemente, era stata indirizzata al gruppo WRM, che aveva gestito il palazzo, per comprendere con chi parlare.

Quindi, anche la ricostruzione sull’offerta presentata da Innocenzi Botti è stata chiarita dalla testimonianza di Marco Simeon. Simeon, che dal 2000 ha rapporti con la Santa Sede con vari incarichi e rapporti personali, era stato contattato da Innocenzi Botti proprio per fare da mediatore per la manifestazione di interesse. E Simeon ha contattato il Cardinale Becciu, che lo ha poi riferito agli organi competenti.

Simeon ha detto con chiarezza che il Cardinale non ha mai ricevuto compenso e che non è mai stato coinvolto nella parte operativa dell’offerta, per la quale invece i riferimenti erano Padre Antonio Guerrero Alves, Prefetto della Segreteria per l’Economia, e lo stesso Cardinale Parolin come capo della Segreteria di Stato proprietario dell’immobile.

Bizzi & Partners presentava una offerta per il palazzo di 315-330 milioni, superiori al valore di mercato corrente per il palazzo, ma inclusiva del valore che andava verso lo sviluppo del palazzo stesso, con un piano che prevedeva permessi per sopraelevarlo di due piani, aumentando considerevolmente la superficie commerciale.

La proposta arrivò un anno dopo che la Santa Sede aveva preso il pieno possesso del palazzo di Londra, e l’offerta avrebbe portato la Santa Sede ad un sostanziale pareggio tra investimento e perdite sul palazzo.

Simeon ha anche sottolineato che aveva chiesto che le sue commissioni non fossero pagate dalla Santa Sede e di aver appreso dell’esistenza di Torzi solo maggio 2020, e di rappresentare per lui solo “una criticità” nella vendita dell’immobile.

La ricostruzione di Simeon, però, farebbe crollare l’ipotesi che la stessa proposta di Bizzi & Partners rappresentasse un depistaggio per la Santa Sede. L’ipotesi accusatoria è che la proposta di acquisto, pari a oltre 330 milioni di euro, da parte della famosa società Bizzi & Partners era una manovra di Gianluigi Torzi per riappropriarsi dell’immobile. Ipotesi corroborata dal fatto che lo stesso giorno si era costituita una società con due soci che si dicono collegati al broker.

Le indagini

Il Commissario De Santis ha anche spiegato lo svolgimento delle indagini. Un momento chiave sono le perquisizioni della Gendarmeria nei locali della Segreteria di Stato e dell’Autorità di Informazione Finanziaria. Cruciali anche perché la Gendarmeria non ha competenza sul Palazzo Apostolico, dove può operare solo la Guardia Svizzera, e dunque il procedimento ha creato anche un vulnus nella stessa struttura vaticana – ma De Santis si è limitato a dire che non si era mai entrati nel Palazzo Apostolico, senza spiegare perché. (…)

Colpisce invece un dettaglio. Si sa che il 5 settembre Monsignor Perlasca ha cenato con il Cardinale Becciu, e che i contenuti di questa cena sono stati affrontati nel corso di un interrogatorio a Perlasca. De Santis chiarisce che Perlasca era andato due giorni prima negli uffici della Gendarmeria, per avvisare i gendarmi della cena imminente, e di aver detto che sarebbe stato di loro interesse.

Si è parlato anche di una registrazione della cena da parte di Perlasca. De Santis ha detto nettamente: “Se Perlasca riteneva di informare il Corpo della Gendarmeria pensando nella sua testa che il Corpo della gendarmeria possa fare alcun tipo di attività in ristorante italiano è nella testa sua. La Gendarmeria non muove un passo se non debitamente autorizzata”.

Nonostante il chiarimento, sono dettagli che possono avere dei contraccolpi nel momento in cui lo stesso Perlasca sarà escusso.

L’ASIF

In queste tre udienze, ha colpito l’assenza della parte civile ASIF (Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria). Ci sarebbero stati, però, dettagli da chiarire. De Santis, infatti ha sostenuto di non sapere all’epoca delle attività di intelligence dell’AIF. Eppure, era noto – e si trova anche nei documenti sequestrati all’AIF e finiti negli atti del processo – che l’AIF aveva attivato diverse Unità di Informazione Finanziaria estere e queste non avevano dato alcun elemento rilevante né su Gianluigi Torzi né su Raffaele Mincione.

De Santis rileva anche che l’AIF invia l’11 giugno una richiesta di informazione all’allora Segretario Generale del Governatorato Fernando Vergez de Alzaga, cosa che porta alla domanda del promotore di Giustizia se Vergez sia autorità di polizia. Vergez è però una autorità di controllo, l’AIF, secondo legge antiriciclaggio, può chiedere informazioni amministrative e finanziarie e investigative, scegliendo il proprio interlocutore.

Sono dettagli, che però al limite dimostrano come non fossero chiare – o fossero state ignorate – le operazioni e le funzioni dei vari organismi vaticani. Come si può configurare un reato se alla fine anche le funzioni stesse degli organismi vaticani sono male interpretati, e le prassi vaticane sono sconosciute?

È la domanda latente del processo, mentre si comincia meglio a definire l’impianto accusatorio e la strategia del promotore di Giustizia per confermare le ipotesi di reato contenute nel rinvio a giudizio.

I prossimi interrogatori, in questo senso, saranno cruciali per capire quale indirizzo prenderà questo processo. (…)

Una nota a margine: Raffaele Mincione, il broker che per primo gestì i fondi della Segreteria di Stato nel palazzo di Londra, ha ottenuto una seconda piccola vittoria in Inghilterra.

La prima è stata il riconoscimento di poter portare la Segreteria di Stato in tribunale a Londra. Mincione si era rivolto al Tribunale inglese sostenendo il danno alla sua reputazione, per l’impossibilità di difendersi adeguatamente, e in appello gli è stata data ragione, sostenendo che la Segreteria di Stato non può definirsi neutrale nella vicenda [L’interminabile saga 60SA. Dopo l’ennesima tranvata per i Promotori di (in)Giustizia vaticani nei Tribunali inglesi, lo strano silenzio dei media mainstream e vaticani sul caso Becciu – 11 agosto 2022].

La seconda è stato il risarcimento ottenuto [da Mincione] dal Corriere della Sera per le presunte accuse diffamatorie di appropriazione indebita, frode e corruzione. Anche questi dettagli possono mettere in crisi l’impianto del processo [Il caso 60SA all’Alta Corte di Londra. Il Corriere della Sera paga una “sostanziosa somma” al finanziere Raffaele Mincione come risarcimento per diffamazione – 13 ottobre 2022].

Minacce e intimidazioni al Cardinale Becciu
di R.I. e F.P.
Silere non Possum, 15 ottobre 2022


“Una triste pagina della storia” così viene e verrà definito il procedimento penale Sloane Avenue all’interno dello Stato della Città del Vaticano. (…) La testimonianza della Polizia Giudiziaria, non solo all’interno dello Stato della Città del Vaticano ma ovunque, è qualcosa di assolutamente superfluo. Gli operatori, infatti, devono limitarsi a riferire su ciò che hanno fatto e appurato durante le indagini, ciò che hanno da dire, quindi, bisognerebbe riscontrarlo semplicemente negli atti. In sostanza, nel dibattimento non dovrebbero entrare le considerazioni personali, le insinuazioni, i sentimenti o altro. A maggior ragione, questo principio dovrebbe valere all’interno del nostro Stato che ha come fonte principale il diritto canonico, ovvero la ricerca della Verità.

Stefano De Santis ha invece dimostrato che la Verità non è certo il principio che ha guidato né le sue attività né quelle del Promotore di Giustizia. “Quella sera del tre ottobre, lui non ci chiese quali fossero i comportamenti della donna. Era solo preoccupato che il nome di lei non venisse fuori”, ha riferito in aula il Gendarme.

In aula il gendarme ha riferito di un incontro avvenuto la sera del 2 ottobre 2020, una settimana dopo che il Pontefice lo aveva obbligato a dimettersi, all’interno dell’abitazione del Cardinale Angelo Becciu. “Gauzzi – ha detto De Santis – aveva ricevuto un sms dal cardinale, mi chiese di accompagnarlo nell’abitazione. Non vedendo segni di sorpresa del cardinale pensai che l’incontro era concordato e che era stato lui a chiederlo”. Ha poi precisato: “Non risponde a verità la circostanza di tenere segreto quell’incontro. Mai abbiamo chiesto al cardinale di non parlarne, mai, anche perché in Vaticano una circostanza del genere sarebbe comunque trapelata con grande facilità. E mai ho sentito che bisognava preservare Cecilia Marogna perché era incaricata di un’attività a conoscenza solo del card. Becciu e del Papa. Mai è stata fatto riferimento a questo, se non in seguito, quando il cardinale fu interrogato dal promotore di giustizia Milano e dall’aggiunto Diddi”.

Il Cardinale Angelo Becciu, nell’udienza del 12 ottobre 2022, aveva infatti replicato, con delle dichiarazioni spontanee, al racconto fornito da De Santis. «Vorrei precisare alcuni aspetti di quanto ha detto il commissario De Santis, ha esordito il Porporato. Lo ringrazio per aver ricordato i miei attestati di affetto e stima verso la Gendarmeria. Tengo a manifestare la mia riconoscenza e il mio affetto per il servizio che i gendarmi fanno per la Santa Sede. Venendo in merito alla narrazione dell’incontro che ci fu con il comandante Gauzzi e commissario De Santis. Quell’incontro non fu richiesto da me. Quel giorno esasperato dal titolo del Corriere della Sera che riferiva: “Becciu ha inviato in Australia 700 mila euro per finanziare i testimoni contro il cardinale Pell”, telefonai al comandante per esprimergli tutta la mia amarezza e chiedergli come mai vengono pubblicate cose false. Al che il comandante mi disse: “aspetti”. Poi mi richiamò e disse: “Voglio venire con il commissario De Santis e ad esporle la situazione. Vennero, e la prima cosa che mi dissero fu: “Questo incontro deve rimanere segreto, non lo deve dire a nessuno, perché sentiamo di venire meno al nostro dovere professionale”. Per cui sono sorpreso che se ne parli ora. Vero, mi sono messo le mani ai capelli quando mi parlarono della signora Marogna. Le misi perché c’era il rischio che questa notizia venisse pubblicata perché era una operazione di cui eravamo al corrente solo il Santo Padre ed io. Non era per i miei famigliari. Mi stavo preoccupando per tutto quello che dicevano sui miei famigliari per soldi dati alla SPES, soldi per cui si dice che avevo fatto del peculato, come ho già dichiarato che non sussistono queste accuse. Quando mi dissero che i soldi utilizzati dalla Signora Marogna non erano stati utilizzati per finalità proprie ho detto: “Sono pronto a dare quello che ho io e rifondere la Segreteria di Stato, perché se i soldi sono stati utilizzati male è colpa mia”. Mi bloccò il comandante: “lei non ha colpa, lei è stato truffato”. Io i soldi li ho procurati, sono stati dati alla signora perché incaricata di mandare avanti un’operazione di cui erano a conoscenza il Santo Padre e il sottoscritto. Volevo precisare questi punti».

Il racconto di De Santis è chiaramente smussato di alcuni elementi che andrebbero a ledere l’onore suo e della Gendarmeria. Non possiamo aspettarci che Gauzzi o De Santis ammettano in aula di aver minacciato un porporato. L’esito di quell’invito è chiaro: se Lei se ne va, nessuno la processa e tutto finisce bene. Non vi ricorda qualcosa? Questo sistema è stato utilizzato con diverse persone, ecclesiastici e non, il più eclatante e conosciuto fu quello di Libero Milone. Non dimentichiamo però Ettore Gotti Tedeschi e molti altri. Si tratta di un sistema che in Vaticano viene utilizzato spesso e soprattutto per far fuori coloro che hanno potere, quando diventano scomodi.

Ciò che deve destare attenzione, proprio ricordando ciò che fecero a Libero Milone, è che oggi Becciu si trovava dall’altro lato del tavolo. Con Milone fu lui a fare l’ambasciatore della volontà del Papa, oggi è lui a subirne gli umori. Questo deve far comprendere, anche a coloro che oggi fanno parte del cerchio magico di Francesco, che con questo Papa si finisce facilmente dalle stelle alle stalle.

Di una cosa bisogna dar atto, nel processo stanno emergendo molte cose che probabilmente era molto meglio rimanessero qui dentro. Una scelta, quella di Francesco, che è diventata un boomerang. Eppure la determinazione di Bergoglio è stata inscalfibile sin dall’inizio, quando decise di firmare e tenere segreti quei Rescritti che oggi fanno tremare tutto l’impianto processuale.

Poi sorgono alcune domande: il Papa “che vuole tanto bene a Becciu”, era informato di questa richiesta di esilio in Sardegna? L’ha voluto lui? Inoltre, come mai De Santis e Gauzzi offrono a Becciu dei particolari che sono coperti dal segreto istruttorio? Forse su questo e molto altro ancora non avremo mai delucidazioni.

Una deriva preoccupante

Il fine non giustifica affatto i mezzi, questo deve essere chiaro. I mezzi utilizzati, soprattutto il modus operandi, non è ammissibile. Una preoccupazione ora riguarda l’atteggiamento che il Corpo della Gendarmeria sta avendo negli ultimi anni. La Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, e tutti i membri del Collegio Cardinalizio, debbono necessariamente rideterminare i compiti della Gendarmeria Vaticana e ristabilire ordine. (…)

Persone spietate a cui è stato dato un potere che in realtà non hanno. Il loro compito deve essere quello di servire lo Stato Vaticano e il Papa con il Collegio cardinalizio e tutta la Santa Sede. Negli ultimi anni sembra che questo sia stato dimenticato. Addirittura i gendarmi si sono presi la libertà di entrare nel Palazzo Apostolico, luogo che è a loro assolutamente precluso perché di competenza della Guardia Svizzera Pontificia. Monitoraggio costante delle telecamere, le quali furono installate per la sicurezza dello Stato e delle persone, non di certo per fare gossip sui porporati e gli ecclesiastici. La vita privata delle persone deve essere tutelata, ancor di più se si parla di Principi della Chiesa.

Nello Stato della Città del Vaticano da qualche tempo a questa parte i diritti umani fondamentali non sono garantiti: denunce che fanno la muffa nell’ufficio del Promotore di Giustizia, processi strumentali, minacce e leggi ad personam. Questi atti non sono più tollerabili.

La vicenda raccontata in aula che vede Becciu minacciato da questi uomini è emblematica e deve far riflettere in particolare i porporati. (…)

[*] Come distinguere il vero dal falso, spiegato con un film. «In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico», afferma Claire nel celebre film di Giuseppe Tornatore La migliore offerta, uscito nelle sale nel 2013), che non solo avvicina il pubblico al mondo dell’arte e delle aste, offrendo uno squarcio di realtà in cui parole come “lotti” e “battitori” spiccano in modo armonico, ma attraverso una trama estremamente coinvolgente può annoverarsi tra i thriller drammatici che una volta raggiunto il finale lasciano spazio a profonde riflessioni sui grandi temi della vita come l’amore e l’amicizia, il vero e il falso e la paura.
Claire si cela con astuzia dietro le pareti di un “trompe-l’oeil” (non a caso un inganno prospettico), suscitando interesse e fascinazione.
Ed è così, per far capire che con il processo 60 ci troviamo alternamente con Alice nel Paese delle Meraviglie [«La Regina di Cuori, da ciò molto indispettita, ordina che prima sia pronunciata la sentenza e poi siano ricostruiti i fatti». Stupore, ilarità e diffidenza per il funzionamento delle istituzioni giudiziarie – 11 luglio 2021] e nel mondo d’arte e dell’inganno di Tornatore.

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