I reati compiuti dai minori si combattono con il ‘vangelo di strada’ e l’ascolto

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Chi sono i giovani? Ma soprattutto esistono giovani ‘cattivi’? Domande che sorgono dopo aver ascoltato don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, che racconta la ‘fatica’ dei giovani a vivere, perché gli adulti basano tutto sull’emergenza educativa:

“In effetti se si risalgono a memoria gli ultimi decenni è difficile ricordare un momento in cui gli adulti non dicessero che c’era un’emergenza educativa. D’altra parte però vorrei ribaltare il concetto. Emergenza significa letteralmente far emergere: in particolare ciò che non sappiamo o non vogliamo vedere. Il passaggio da una generazione all’altra hanno sempre comportato una crisi. Ma ogni crisi è anche inizio di speranza”.

Per don Burgio occorre una lettura differente per definire ‘emergenza educativa’: “L’emergenza educativa c’è ma va letta in una chiave diversa, non come qualcosa di negativo (vale a dire come crisi che alimente il pessimismo) ma come occasione, kairos. Emergenza è rendere visibile ciò che per decenni non hai voluto guardare. E’ portare alla luce l’inguardabile, l’inascoltabile”.

A lui abbiamo chiesto di raccontarci la fatica che fanno i giovani a vivere dopo il coronavirus: “La fatica è la stessa che facciamo noi: la fatica di esistere e di trovare un senso a quello che viviamo; ma soprattutto la fatica di trovare qualcosa che ci conquisti e dia alimento. Quindi i ragazzi sono disorientati e noi adulti dobbiamo aiutarli a scoprire una bellezza, che già loro hanno ma è coperta, talvolta, da tanto stordimento e consumo. Dobbiamo aiutarli in questo”.

Negli ultimi mesi sono aumentati i reati compiuti da minori: perché?

“I reati sono espressione di una rabbia generazionale che sta emergendo in tutta la sua evidenza. Da una parte, c’è una sorta di ricerca di adrenalina che non riescono a trovare in altre situazioni, dall’altra c’è una mancanza di senso di fondo su cui mi interrogo spesso. Questi ragazzi vogliono produrre un’immagine di sé grandiosa, vogliono avere i soldi, il potere, essere visti.

Ma sono analfabeti dal punto di vista emotivo, perché nessuno li ha mai educati all’empatia, non sono mai stati accompagnati nel vivere il dolore, il loro e quello degli altri. E non mi riferisco solo ai ragazzi di periferia o di seconda generazione, ma anche ai ragazzi di buona famiglia”.

Quali messaggi lanciano i giovani?

“Apparentemente lanciano messaggi distruttivi e violenti. Ma questa non è la narrazione esatta. Se ascoltiamo più attentamente le loro canzoni possiamo decifrare anche il desiderio di trovare se stessi in pienezza. Quindi non dobbiamo giudicarli solo negativamente”.

Tra i suoi ragazzi ci sono tanti dei nuovi volti della scena rap milanese, tra cui Rondo, Simba, Baby Gang, arrestati insieme ad altri per la sparatoria del luglio scorso. Sono davvero un cattivo esempio per i giovani?

“Loro sono considerati ‘quelli che ce l’hanno fatta’, ma bisogna tenere a mente che due, tre anni di comunità non risolvono tutto magicamente. Non va dimenticato che questi ragazzi hanno avuto un’infanzia per noi inimmaginabile, a stretto contatto con dolore, rabbia, violenza, armi, droga.

Io non voglio giustificarli quando compiono azioni violente o illegali, ma cerco di comprendere da dove vengono e di allearmi con la loro parte buona, che c’è. Hanno diversi volti, tutti purtroppo veri, ma vivendo con loro ho avuto l’occasione di assistere ad aspetti ed episodi molto belli, di grande generosità”.

‘Se educare è un mestiere per tutti’ perché tanti adulti non sanno più farlo?

“Per tre motivi: siamo individualisti, siamo autoreferenziali e abbiamo paura della morte. Uso il plurale perché innanzitutto è così nella Chiesa. E’ così per tanti preti. Quanti genitori adolescenti con il terrore di invecchiare incontro nell’esperienza del Beccaria!

Questo fenomeno è il frutto del tabù per cui nessuno insegna più che la vita è un passaggio in funzione dell’eternità. A partire da noi preti, che non predichiamo queste verità.

I genitori sono poi più preoccupati di piacere che di amare, quindi fanno gli amici e non sanno dire ‘no’. Eppure i ragazzi mi confessano che di amici ne hanno già e che vorrebbero che mamma e papà si comportassero da adulti”.

Allora la Chiesa come si rapporta con i giovani?

“La Chiesa deve tornare ad essere più presente nelle strade e nelle situazioni di disagio, perché essa non può accontentarli con certi ‘strumenti’ pastorali, che hanno fatto un gran bene, non a portata loro.

Oggi questi ‘strumenti’ evidentemente non bastano; quindi dobbiamo riscoprire come essere presenti e con quali ‘strumenti’. Per stare con i giovani la Chiesa deve avere molto coraggio per tornare a vivere il Vangelo sulla strada”.

(Tratto da Aci Stampa)

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