Papa Francesco, un papato politico?

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.10.2022 – Andrea Gagliarducci] – La scelta di Papa Francesco di dedicare le parole che precedono l’Angelus del 2 ottobre alla situazione in Ucraina [QUI] non è nuova. Lo stesso fece il Papa nel 2013 quando era preoccupato per la crisi in Siria. Per due volte, quindi, Papa Francesco ha eliminato la parte religiosa, che è il commento al Vangelo, per fare una serie di appelli e saluti durante il pre-Angelus e il post-Angelus.

Mentre la decisione di Papa Francesco era di straordinario impatto, lascia tuttavia riflettere sul fatto che il Papa ha eliminato la parte religiosa dell’Angelus, il commento al Vangelo, quando si sarebbe potuto fare un appello per l’Ucraina, in quanto è fatto generalmente, dopo la preghiera dell’Angelus, un momento solenne già destinato a quel tipo di dichiarazione.

La decisione solleva una domanda: per Papa Francesco, è più critica la parte politica o quella religiosa?

Papa Francesco ha sempre chiesto una Chiesa in uscita, missionaria, non autoreferenziale. Ha più volte sottolineato l’importanza di ricominciare dal Vangelo, distribuendo piccoli libri evangelici al termine dell’Angelus e chiedendo a tutti di leggerne un brano ogni giorno.

Eppure, per Papa Francesco, a volte l’aspetto politico sembra precedere quello religioso. In generale, le decisioni politiche sono state presentate da fatti spirituali. Ma, in nome di una certa concretezza, Papa Francesco mette prima di tutto il fatto concreto, fedele al principio che «le realtà sono più grandi delle idee», già delineato nella Evangelii gaudium.

Questa concretezza si vede in alcuni piccoli gesti. A cominciare da un fatto: Papa Francesco non distribuisce mai la Comunione per evitare la possibilità che questa possa essere strumentalizzata politicamente.

Il Papa, però, si fa veramente concreto entrando nel dibattito pubblico. Per sua ammissione, Laudato sì è nata da una sollecitazione esterna affinché la Chiesa producesse un documento sull’argomento al vertice di Parigi del 2015 sul clima.

Quando si è insediato, Papa Francesco ha subito chiesto alla Pontificia Accademia delle Scienze di avviare una riflessione sul tema della tratta di esseri umani [QUI], che diventò il suo primo sforzo diplomatico.

Subito dopo la sua elezione, nei comunicati successivi agli incontri con i capi di Stato e di Governo, il Papa ha voluto fare riferimento alla “cultura dell’incontro”, tema a lui molto caro, che si è poi concretizzato nella ricerca per il dialogo a tutti i costi, anche in situazioni difficili, e anche quando questo dialogo potrebbe portare più male che bene.

La decisione, per la seconda volta, di tagliare la parte del commento al Vangelo dall’incontro domenicale con i fedeli è segno che, per il Papa, la situazione concreta viene prima della predicazione quando le cose si fanno urgenti.

Del resto, il Papa è caratterizzato da un certo interventismo, anche al di là delle regole diplomatiche. Non si può spiegare diversamente la decisione di incontrare l’Ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede subito dopo l’attacco russo all’Ucraina.

Guardando alle azioni del Papa, c’è l’idea che nel Papa ci sono tre anime diverse: quella del pastore, l’appassionato predicatore del Vangelo che mira alla conversione delle anime; quella del Papa pubblico, figura di peso che quindi dice le cose che interessano al pubblico, seguendo e intervenendo nel dibattito del momento; e quella il gesuita, ancora alquanto permeata dall’antica tradizione gerarchica.

Queste tre anime si fondono in decisioni contraddittorie che si allineano con il pensiero stesso del Papa.

Un esempio è la riforma della Curia. Con la riforma sono scomparse le distinzioni tra congregazioni e consigli pontifici. Il potere di governo del vescovo cade perché la capacità di governare risiede ora nella missione canonica affidata dal Papa [QUI].

Un passo indietro rispetto al Concilio Vaticano II, che invece ha riaffermato la potestas data ai vescovi. Tuttavia, la decisione di Papa Francesco ricorda gli argomenti che i gesuiti usavano per difendere il primato pontificio in un momento in cui la Chiesa era attaccata dalle grandi rivoluzioni. Di fronte alla laicità imperante, i gesuiti, che avevano uno speciale voto di obbedienza al Papa, sottolinearono che era il Papa a dare la missione canonica.

È un tema superato ma molto concreto, che dimostra l’anima gesuita del Papa.

La questione si inserisce in una riforma della Curia che mira a dare un nuovo assetto pastorale ai ministeri del Papa; quindi, in questo senso, possiamo vedere la decisione del pastore.

E infine, il Papa politico si vede bene quando ci si accorge che la struttura della Curia era stata riformata, appunto, per rispondere alle esigenze dei tempi moderni, ma anche con uno sguardo a coloro che, in questi tempi, hanno insistito di più avere più laici e donne nei posti di comando.

In breve, il pragmatismo di Papa Francesco caratterizza il pontificato. Ed è paradossale se si considera che il Papa tiene così tanto alla missione da voler assumere la guida del Dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli, il dicastero missionario.

Questo articolo è stato pubblicato dall’autore oggi sul suo sito Monday Vatican [QUI].

Foto di copertina: Papa Francesco all’Angelus di domenica 2 ottobre 2022 (Foto ANSA).

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