Festival della Missione: perdono e missione sono docili allo Spirito Santo

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Domenica 2 ottobre a Milano si è concluso il Festival della Missione, promosso da Fondazione Missio e Conferenza degli istituti missionari italiani con un concerto di pace, in cui si sono esibiti insieme il compositore e pianista russo Alexey Kurbatov e la cantante ucraina Anna Tchikovskaya.

Le quattro giornate hanno coinvolto molte persone nei 29 incontri del programma: circa 15.000 presenze dal vivo ed altrettante quelle che hanno seguito gli eventi del programma parallelo, ‘Il Festival è anche’, con presentazioni di libri, mostre, laboratori, proiezioni e gli speciali aperitivi in oltre 30 locali del centro dove 120 missionari (religiosi e laici) hanno portato la loro testimonianza.

A conclusione del festival mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale dell’Arcidiocesi di Milano, ha sottolineato la validità di quest’esperienza missionaria: “Abbiamo sperimentato l’essere missionari nelle nostre piazze e nelle nostre vie. E l’esperienza ci ha donato entusiasmo. Un buon punto di partenza. Ora occorre continuare!”

Nella celebrazione eucaristica conclusiva mons. Mario Delpini ha risposto ad una domanda interessante sulla vita di chi ospita la ‘grazia’ di Dio: “I cristiani sono grati, sono lieti, rendono grazie, sono pieni di speranza, come scrive Paolo, in virtù della speranza e della consolazione che provengono dalle Scritture.

Vivono rendendo grazie e non fanno il bene solo a coloro da cui si aspettano il bene, ma persino a coloro da cui ricevono il male. L’originalità cristiana è la conformazione al Dio Amore.

La misericordia non si muove da un calcolo di efficacia, ma da una docilità allo Spirito; non è una ingenua accondiscendenza a qualsiasi capriccio della cultura contemporanea, ma annuncia e attesta un umanesimo della fiducia nell’umanità dell’uomo e nella fedeltà di Dio.

La misericordia non è una specie di cura palliativa per fare dimenticare un mondo senza Dio, è ciò che semina e incoraggia perché ognuno giunga alla sua maturazione”.

In tal modo il dono si trasforma in perdono: “I cristiani vivono per essere dono, fino al perdono. Abitano la terra per seminarvi la riconciliazione. Sono operatori di pace, perché non possono rassegnarsi all’ingiustizia, ma non ritengono che il rimedio all’ingiustizia sia la violenza, piuttosto credono che il rimedio all’ingiustizia siano la mitezza, la perseveranza, l’intercessione. I cristiani sono convinti che la vita sia vocazione: ascoltano la voce che chiama e rispondono sì”.

Ed ha sollecitato i cristiani a non rassegnarsi ad essere ‘attrattivi’ nella proposta cristiana: “Però sembra di cogliere una specie di contraddizione: mentre si ascoltano con ammirazione e compassione le testimonianze di fratelli e sorelle che si fanno voce di Chiese che vivono, celebrano, sperano e soffrono in altri Paesi di questo piccolo pianeta, si insinua come un velo di tristezza, un senso di sconfitta, una specie di malinconia che copre tutto il racconto glorioso.

Nelle nostre comunità cristiane d’Italia serpeggia un’intima persuasione di impotenza. Facciamo tante cose belle, ma manchiamo lo scopo per cui le facciamo: far conoscere Gesù, far percepire il suo amore, la sua attrattiva. Siamo contenti di aver vissuto la nostra vocazione, ma adesso non riusciamo a convincere che la nostra vocazione ha una meravigliosa attrattiva”.

Quindi in questi giorni molte testimonianze sul significato del martirio, come ha sottolineato il camilliano p. Bernard Kinvi, direttore dell’ospedale della missione di Bossemptélé nella Repubblica Centrafricana, che ha messo a rischio la sua vita per la salvezza di oltre 1.500 musulmani durante la guerra civile scoppiata nel 2013:

“Quello che mi ha spinto è stato l’amore per la popolazione: quando è scoppiata la guerra non ho potuto ignorarla. Il nostro principio è stato quello di soccorrere e curare tutti, anche i ribelli, e questo ci ha permesso di poter tentare un dialogo con loro”.

Oppure le suore dell’ordine della Riparazione che vivono in Myanmar, dove il primo febbraio 2021 un colpo di stato della giunta militare ha gettato il Paese nella violenza e nel terrore, secondo il racconto di suor Beatrice Maw:

“Le mie consorelle, 400 attive in 10 delle 16 diocesi del Paese, stanno fuggendo alla persecuzione e alle rappresaglie: al momento ci sono alcuni conventi chiusi completamente, proprio per evitare di subire attacchi… Ma quante vite ancora dovrà offrire il popolo birmano? Il Myanmar piange i suoi martiri”.

La vita è trasformata in dono anche in una quotidianità ‘nascosta’ secondo la sottolineatura di Zakia Seddiki nel ricordo dell’ambasciatore Luca Attanasio, suo marito: “Luca ha svolto il suo lavoro come una missione, con un’umanità e uno spirito di servizio e di solidarietà che nessuno conosceva prima della sua morte. Luca non è un santo, è un uomo normale. Ma aveva grandi valori e grande umanità… Senza la tragedia della morte di Luca, molti non avrebbero conosciuto le sofferenze che la popolazione vive”.

E p. Pier Luigi Maccalli, missionario della SMA, rapito in Niger nel 2018 e rilasciato in Mali nel 2020, ha parlato di perdono: “Durante la mia prigionia e nel periodo successivo mi sono fatto delle domande che riassumono la mia esperienza. Ero al posto sbagliato nel momento sbagliato?

No, ero al posto giusto con la mia gente, perché il posto del missionario è stare con la propria gente…  Come faccio ad amare chi mi ha rapito e incatenato, proprio come amo la mia gente? Questo è stato un grande travaglio interiore. Poi mi ha risuonato dentro: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’. E li ho perdonati nel profondo del cuore”.

Però le testimonianze non fanno dimenticare la parte economica, che la missione ha sottolineato con numeri certi proposti dal prof. Marco Caselli, docente di Sociologia della Cooperazione dell’Università Cattolica di Milano: “Nel 2012 lo Stato italiano ha destinato lo 0,14% del Pil agli Aiuti allo Sviluppo; nel 2007 addirittura lo 0,11%”, cifra ben lontana dallo 0,70% che è l’obiettivo da raggiungere entro il 2030 e che è l’impegno sottoscritto dall’Italia 50 anni fa all’Onu.

Ivana Borsotto, presidente di FOCSIV, ha illustrato la ‘Campagna 070’, che chiede alla politica e alle istituzioni un provvedimento normativo che stabilisca un calendario preciso e graduale per arrivare nel 2030 a far sì che lo 0,70% del Pil italiano venga destinato alla cooperazione allo sviluppo:

“La Campagna nasce con un atto di fiducia nei confronti del nostro Paese, perché un Paese che mantiene la parola data (quella di 50 anni fa all’Onu, ndr) è un Paese più credibile… Insieme ai partner della ‘Campagna 070’, vogliamo andare nelle piazze, nelle parrocchie, nei mercati, per confrontarci con chi pensa che la cooperazione allo sviluppo sia un lusso che non possiamo permetterci”.

(Foto: Festival della Missione)

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