Troppa meschinità

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Rula Jebrael (foto di copertina) imbarazza perfino la sinistra. Per delegittimare chi ha vinto le elezioni, due giorni fa ha scritto un tweet per rinfacciare a Giorgia Meloni la storia del padre, definito «un famigerato trafficante di droga/criminale», per una vicenda avvenuta quando la Presidente di Fratelli d’Italia aveva un anno. La giornalista ha usato la “discriminazione genetica”, utilizzando un “non padre” per sporcare la coscienza di Meloni. A parte il leader di Azione, Carlo Calenda («una bassezza»), e quello di M5S, Giuseppe Conte («è fango»), che hanno condannato con nettezza il tweet, i progressisti sono rimasti in ossequioso silenzio. Meloni ha annunciato di sporgere querela: «Spero che potrà spiegare al giudice quando e dove avrei fatto la dichiarazione che lei mi attribuisce».

La giornalista ha reagito così: «Il nuovo premier italiano Meloni sta minacciando di citarmi in giudizio. Sig.ra Meloni: Non mi faccio intimidire!».La giornalista non si è scusata e non ha fatto ammenda per aver tirato in mezzo il padre di Giorgia Meloni per attaccare la leader di Fratelli d’Italia. Anzi, ha rivendicato quanto ha detto e ha cercato di giustificare le sue esternazioni.

Anna Paratore, la mamma di Giorgia Meloni, prende le parti di sua figlia e annienta la Jebreal: «Si vergogni, pseudo giornalista» [*].

La prima pagina di Libero del 1° ottobre 2022.

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.10.2022 – Renato Farina] – Noi padri lo sappiamo bene. Ci useranno contro i nostri figli, e magari nipoti. È questa di solito la sofferenza insopportabile che accompagna la rovina della reputazione causa condanna, meritata o no che sia, oppure come conseguenza di una campagna di stampa. È una specialità della sinistra. (Ne ho esperienza. Io ero il famoso Betulla, mio figlio divenne Betullino, emarginazione, vendette trasversali). Ma qui nel caso Jebrael-Meloni siamo oltre, molto oltre. Si usa un non-padre per sporcare pubblicamente l’intima coscienza di una non-figlia. La quale semmai avrebbe potuto usare il dato biografico di una condanna per traffico di droga del genitore (sparito dalla sua vita da quando lei aveva un anno) per erigersi a modello di persona che ha saputo capovolgere il corso del destino.

Giorgia invece ha praticato, non in ossequio al codice ma alla pietas, il diritto all’oblio verso chi l’ha costretta a crescere in una famiglia monca. Ed ora pure questa. Sembra una cattiveria del non-padre, una specie di morso dello zombie. E adesso? Adesso, a quanto pare, niente.

Rula Jebreal, il giorno dopo la character assassination alla Goebbels di Giorgia Meloni, ha già ottenuto l’immunità da quel mondo dei piani alti che conta e decide della nostra vita assai più di quanto pesi il voto del popolo. Insabbiamento. Omertà. Nessuno del suo giro radical-chic, per non cancellare il volto internazionale del politicamente corretto, non dico l’abbia scomunicata, ma anche solo picchiata con un fiore. Tra loro si reggono il sacco. Quando uno la spara troppo grossa, urtando chiunque abbia un milligrammo di sensibilità e di decoro, la tecnica per preservare l’amico e il club è quella di fingere di non aver sentito, letto, ci sono ben altri problemi, non è vero?

Cercate una dichiarazione di uno/una giornalista dello star system televisivo, o una storia Instagram di un influencer alla moda o di un Maneskin qualsiasi. Un o due Ferragnez che si propongano come scudo almeno virtuale, su schermo e su social, a questo colpo di lingua serpentesca. Ancora fino a ieri sera nulla era pervenuto.

Quel precedente del 2016

Intendiamoci. La giornalista italiana, arabo-israeliana e americana non ha sparato una sciocchezza pazzesca in un dibattito fiammeggiante. In realtà Rula se l’era legata al dito dopo che aveva avuto la peggio con Giorgia, pur essendo sostenuta da conduttore e platea, in un duello televisivo su La7, da Corrado Formigli, nel 2016. Il veleno le è fermentato nella pancia più che nella testa. Il suo trionfo politico-mediatico è stato a Sanremo nel 2020. Dopo di che è diventata un monumento nazional-popolare progressista. Sarebbero, quelli dell’altro ieri, vocalizzi sguaiati se fossero capitati nella disfida agonistica da battaglia pre-voto, oppure al ritorno negli spogliatoi dopo una partita tesa. Poi, doccia, lealtà, scuse per gli eccessi: ci si stringe la mano. Vale per il calcio, e (dovrebbe) per la politica. Lo ha fatto Enrico Letta con Giorgia Meloni con una telefonata mesta ma onesta.

La Jebreal invece ha agito a freddo, con calcolo, entrando con il kalashnikov verbale nella campagna mondiale di denigrazione della “rivale”. È stata una mossa di odio politico e di invidia primordiale pianificata per delegittimare chi ha vinto le elezioni (si chiamerebbe sovranità popolare). Non lo ha fatto falsificando le idee dell’avversario/a, ma esigendone la discriminazione su base genetica. Gravità inaudita, flagranza reiterata, razzismo della più bell’acqua. E lo ha fatto dando non una, ma due, tre martellate sullo stesso chiodo infame.

Abbiamo cercato un precedente paragonabile allo schifo di gettare, per odio politico, il cadavere di un padre tra i piedi della di lui figlia, per contaminarla coi delitti da lui commessi. Niente, non se ne trovano. Eppure nel gran teatro della politica, del giornalismo e delle istituzioni non sta accadendo nulla. Niente. Chiusa lì.

Troppi silenzi

Parliamo – ovvio – della casamatta progressista da cui si dipartono i fili del potere mediatico e culturale. L’Ordine dei giornalisti? Il Consiglio di disciplina della categoria? Zero. Il femminismo ufficiale si sta occupando di diritto all’aborto, e organizza manifestazioni contro la Meloni sul tema, e non si capisce perché. Ora Rula, in fin dei conti, rimprovera alla madre di Giorgia di non averla abortita, nonostante sapesse quale razza di padre le stava per dare. Rula non si tocca. Del resto c’era un vecchio slogan che prevedeva casi simili: «O aborto o un mostro in pancia». Come ha scritto la Meloni, Jebreal l’ha ridotta a mostro per discendenza biologica, come se la sua persona contenesse nel DNA una fedina penale. Ma la militante Rula non si tocca. Emma Bonino è troppo impegnata a far ricontare le sue schede onde riavere il seggio, e a stramaledire Calenda reo di averle preferito Renzi.

Ecco, questi due, oltre a Giuseppe Conte, sono i personaggi notevoli e non di centrodestra intervenuti ad esprimere ripugnanza per la discesa agli inferi della Signora Jebreal. Ma costoro sono dei fuori quota rispetto a sinistra, estrema sinistra, femminismo, antifascismo, forcaiolismo che colpisce per colpa degli antenati i discendenti fino alla settima generazione. Progressismo? Al diavolo. Niente di nuovo sul fronte della sinistra occidentale. Il popolo può ben votare e persino amare una donna di destra, per abbatterla va bene anche la lupa solitaria a cui dare l’immunità.

P.S. Ho frequentato, oserei dire di essere stato amico di Rula, tanti anni fa. Non è affatto una donna sciocca. Chi l’ha avvelenata?

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

[*] «Dopo che per anni ho sopportato i peggiori insulti nei confronti di Giorgia, bugie e mistificazioni di tutti i tipi, calunnie vergognose che, detto per inciso, se in Italia sei di destra non riesci nemmeno a far condannare in un’aula di tribunale, sono davvero stufa. La mia storia con il padre delle mie figlie non è materia pubblica, così come non credo lo sia la vita di un uomo che è mancato già da svariati anni. Infatti, l’ultima volta che le mie bambine ed io lo abbiamo incontrato, è stato in un lontano pomeriggio intorno al 1988, a Villa Borghese, un giardino pubblico romano, dove Francesco Meloni aveva chiesto di rivedere le sue figlie dopo che da circa 5 anni non avevano sue notizie. Fu un incontro inutile e superficiale, con due bimbette che a malapena si ricordavano di lui, e lui che si faceva chiamare Franco perché sosteneva che “papà” lo invecchiasse. Dopo di allora, il vuoto assoluto. Per quello che ne sapevamo noi, poteva essere morto, o felicemente vivo in qualche parte del mondo. Lui non cercava le figlie, le figlie non hanno mai cercato lui. Quando poi Giorgia fu nominata alla Vicepresidenza della Camera – molto più di venti anni dopo – ecco arrivare la telefonata di un amico comune. “Franco” avrebbe avuto piacere di rivedere le ragazze: Giorgia disse di no. Come fa sempre, argomentò il suo diniego: “Perché dovrei vedermi con una persona che se incontro per strada nemmeno riconosco? Non ho niente da dirgli”. Un vero colpo di fortuna il negarsi, visto ciò che sta accadendo in queste ore, quando una pseudo giornalista – Rula Jebreal – si permette di cianciare su mia figlia utilizzando un padre che a Giorgia è costato solo lacrime, e da cui non ha mai avuto il sollievo di una carezza o di un bacio, per non dire un piatto di minestra. Si vergogni questa signora che attribuisce a Giorgia parole mai pronunciate, concetti violenti e stupidi mai partoriti soprattutto perché, a differenza di tanti bei faccini che fanno carriera sgomitando o grazie ad amicizie importanti, mia figlia scema non è e quando parla sa ciò che dice» (Anna Paratore).

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