Viva la Vida! 52° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Colombia, Bolivia e Peru. Noé si scava la fossa in una miniera di oro illegale

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.09.2022 – Vik van Brantegem] – Oggi riportiamo il sesto Report del 52° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Colombia, Bolivia e Peru dal 19 giugno all’11 luglio 2022 [QUI], proseguendo dopo il precedente Report 52/5 – Le inaugurazioni dall’Amazzonia alle Ande [QUI].

Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami ha scritto questo sesto report con i fogli lordi e pieni di appunti presi in Perù, ma scrive nella calma di Città Alta di Bergamo. Non è la stessa cosa scrivere “sul posto o a casa”. Le emozioni si spengono e la forza del racconto rischia di attenuarsi. Vi è però il pregio di una pacata riflessione su una storia forte e dai colori indelebili.

Nel Report 52/3 – Un’Ave Maria con una prostituta [QUI] Don Gigi ha parlato di Carolina, la prostituta di Laberinto. Invece, nel Report 51/6 che segue ci parla di Noè, vittima della tratta di persone ai fini dello sfruttamento nelle miniere illegali dell’Amazzonia. Insomma, non ci è lasciato mancare nulla del Perù in questo viaggio: Carolina vittima di sfruttamento per prostituzione, Noè vittima di sfruttamento nelle miniere illegali e Gerald famoso narcotrafficante, di cui ha raccontato nel Report 52/04 – L’incontro con il narcotraffico [QUI], senza dimenticare la storia di copertina del 38° libretto della collana #VoltiDiSperanza, ambientata in Colombia, di Maurico, tossicodipendente e in una comunità di recupero vicino a Bogotà [QUI].

Mauricio, Carolina, Gerald e oggi Noé. Quattro storie forti, che feriscano il cuore, sperando che provochino una salutare attenzione e carità verso gli ultimi.

Report 52/6 – Noé si scava la fossa in una miniera di oro illegale

Perché viaggiare da Juliaca a Puerto Maldonado, oltre che per inaugurare la nostra nuova opera e incontrare i dieci bambini in adozione a distanza?

Come potete capire, ecco i tre i motivi del viaggio: la tratta delle persone ai fini di prostituzione, la terribile piaga del narcotraffico (come abbiamo visto, il Perù è il secondo Paese produttore di cocaina al mondo) e, infine, la tratta delle persone ai fini di sfruttamento nelle miniere di oro de La Pampa, di cui parliamo qui.

Siamo al termine del nostro soggiorno a Puerto Maldonado e per tornare sulle Ande dobbiamo prendere due auto. Il primo pezzo del nostro tragitto è di 3 ore e va da Puerto Maldonado a Mazuko, poi, nel pomeriggio, da Mazuko a Juliaca con un tragitto di 6 ore, se non ci sono sbarramenti “paros” [lo blocco delle strade per lo sciopero nazionale dei camionisti in Peru a causa del rincarico della vita e della benzina QUI].

Questa bellissima strada, non molto lontano da Mazuko, attraversa un centro abitato chiamato Kilometro 108. Questo villaggio è un po’ la capitale della estensione di terra chiamata La Pampa.

La Pampa è ricca di oro e l’attività di estrazione del metallo prezioso dai fiumi e dalle miniere è molto forte. Chilometro 108 è un luogo dove la legge non esiste e dove la vita vale meno di zero, una piccola Acapulco peggiorata. Qui la polizia non ha titolo e le persone che si ammazzano o scompaiono non si contano. Chiedo a Gilmer, il nostro primo autista, di fermarsi per prendere una bottiglia di acqua. Lui non vuole. Insisto e lui mi dice: “Non mi sono mai fermato qui, neppure per i servizi igienici. Tu devi esser pazzo a volerti fermare qui”. Insisto: “Tu mi aspetti in macchina!”. Alla fine cede: “Va bene, ti concedo cinque minuti”.

L’auto si ferma. Entro nella tienda (negozio). Ci sono tre donne e due uomini. Intuisco che il clima non è sereno. Mi guardano con sospetto, con aria interrogativa, quasi che il mio entrare nel negozio sia stato un gesto di sfida. Tra di loro c’è un uomo che ha un’espressione diversa. Più che sospettoso sembra meravigliato che un Europeo entri in un negozio di Kilometro 108.

Mi avvicino al banco e chiedo due bottiglie di acqua. Gli sguardi dei presenti mi fissano nei movimenti. Sono anch’io teso e mi dico: “Ma perché mi vado sempre a mettere nei casini, come a La Laja in Messico? Che gusto ci trovo? Aveva ragione Gilmer, sono un coglione! Cerchiamo di pagare e di andarcene in fretta”.

La ragazza al banco mi chiede 10 soles per due boccioni di acqua da due litri e mi mette le due bottiglie in due sacchetti. Pago e mi muovo verso l’uscita. Il giovane dall’aria meravigliata mi segue e io sento il gelo nelle vene.

Sono fuori e lui mi chi chiama. “Scusi mi darebbe un passaggio a Mazuko?”. “Perché me lo chiedi?”. “Perché tu sei diverso da questa gente e devi essere anche matto! Chi ti ha fatto fermare in questo posto per chiedere acqua? Ma non sai dove ti trovi?”

Faccio l’ingenuo: “No, non lo so: dimmelo tu!”. “Se mi dai un passaggio te lo racconto!”. Il ragazzo mi piace, non mi sembra proprio un killer. “Come ti chiami?”. “Mi chiamo Noè!”. “Io mi chiamo Gigi. Sono curioso di conoscerti. Va bene, aspetta un momento”.

Non senza difficoltà riesco a convincere Gilmer ad accogliere in macchina il giovane. Alla fine acconsente. Saliamo in macchina. Il caldo è forte. Apro una bottiglia d’acqua e inizio a bere a lunghi sorsi, sorsi che ristorano nella calura della foresta.

Noè avrà circa venticinque anni, occhi neri e capelli pettinati. Mi presento: “Noè sono un sacerdote italiano di Bergamo e mi sto dirigendo a Mazuko da Puerto Maldonado. Mi piacerebbe capire e condividere la sofferenza di questa terra incantata. Mi parlano molto di tratta delle persone ai fini di sfruttamento nelle miniere. Tu ne sai qualche cosa?”.

Il giovane rimane in silenzio e guarda fuori dal finestrino. Si è fatto cupo e la meraviglia che aveva acceso i suoi occhi nel negozio si spegne a quelle parole. Sembra che il fatto che sono un prete lo consoli, ma che voglia parlare di quel tema invece lo spaventi. Rimango in silenzio e bevo nuovi lunghi sorsi di acqua. Hernan ed Olinda iniziano a parlare tra di loro del paesaggio rovinato dal mercurio usato per estrarre dal fiume l’oro ed aggregarlo. Noè sta zitto.

Dopo quindici minuti di viaggio. mi volto verso Noè seduto dietro con Olinda ed Hernan, e gli dico: “Devi adempiere alla tua promessa: quella di spiegarmi che posto era quello in cui ci trovavamo”. Il ragazzo peruviano accenna a un debole sorriso. “Hai ragione. Ti devo delle spiegazioni e le spiegazioni te le do con una sola parola: ti trovavi all’inferno, un inferno dal quale fuggire”.

Questa volta lo guardo io con meraviglia. “Cosa vuoi dire?”. “Vedi padre, tre anni fa, quando avevo ventidue anni vennero nel mio campo – io sono contadino – due uomini proponendomi di lavorare nell’estrazione dell’oro. Un lavoro duro, mi dicevano, ma ben retribuito! Come mi catturarono? Non con la forza, ma semplicemente con il denaro. Mi diedero in mano subito tremila soles, una cifra che in tutta la mia vita non avevo mai avuto in mano. Dissero che sarebbero passati dopo poche ore, di comprare il necessario per un mese: vestiti comodi, cambi di biancheria… Come ogni ragazzo desideravo avere un lavoro con un buon salario e così ingenuamente accettai. Il giorno dopo si ripresentarono e con toni gentili mi dissero che mi dovevano bendare per arrivare alla miniera. Il viaggio durò alcune ore e quando mi tolsero il cappuccio mi trovavo in questa regione de La Pampa. Così mi dissero. Mi portarono a un fiume e mi spiegarono come aggregare l’oro con il mercurio tossico. Più oro avrei estratto e più mi avrebbero pagato. Iniziai a lavorare duramente, con un cibo pessimo, dormendo poche ore e con ritmi massacranti dalle 5 del mattino alle 7 di sera. Finito il primo mese chiesi il salario convinto di ricevere una grande quantità di denaro. La risposta fu che se avessi voluto il denaro sarei dovuto andare prima a estrarre oro dalle miniere in un’altra parte. Il tono non ammetteva alcuna replica. Acconsentii. Mi bendarono e spostarono in una nuova miniera. Qui ero sorvegliato a vista e iniziai a capire. Una sorta di prigione. Dormivamo male e poco, mangiavamo malissimo! Il campo dove vivevamo era recintato e sorvegliato giorno e notte. Neppure il secondo e terzo mese lo stipendio arrivò. Erano passati alcuni mesi e da quella prigionia in cui ci trattavano malissimo non vedevo via di uscita… Una grande incognita piena di angoscia e di paura. Un giorno presi il coraggio e osai chiedere di parlare con il capo del campo. Mi portarono da lui. Un uomo gentile ed educato, mi disse: ‘Noè, non c’è alcun problema! Hai ragione. Ti abbiamo sfruttato. Sei libero. Alla fine della giornata te ne puoi andare e tutto l’oro che avrai estratto dalla miniera sarà tuo. Prima di concludere la giornata, ti prego di scavare una fossa dove gli uomini ti indicheranno’. Non credevo alle sue parole! Alla fine della giornata me ne potrò andare con l’oro che avrò trovato!”.

Tutti nella macchina eravamo attenti al suo incredibile discorso. Dai finestrini dell’auto in corsa entrava vento e le sue parole ogni tanto non si potevano cogliere, ma il nesso tra tutto quello che diceva era evidente e forte. Mancava mezz’ora al nostro arrivo a Mazuko. Noè si rese conto della nostra attenzione, mentre io dal sedile anteriore catturavo su di un pezzo di carta sgualcita tutti i suoi pensieri esaminandomi scrupolosamente se avessi capito bene. Noè continuava il racconto, che ebbe un epilogo imprevedibile.

“Al calar del sole, gli uomini della sicurezza vennero a prendermi. ‘Bene, Noè. La manciata di oro che hai trovato è tutta tua, e questa sera sarai lontano da qui, ma prima di partire devi scavare la fossa’. Una delle guardie si lasciò sfuggire una parola ridendo: ‘La tua fossa!’. Rimasi folgorato da quelle tre parole: ‘La tua fossa!’. Guidato da un istinto primordiale acconsentii. Mi indicarono il luogo. Iniziai a spalare”.

Lo interrompo. Nonostante i trentasette gradi, un brivido mi percorre la schiena. Con un gesto secco e fulmineo mi giro e chiedo, guardandolo negli occhi: “Ho capito bene? Ti dissero di scavare la tua fossa?”. “Non lo dissero. Era troppo evidente!”. “E tu cosa hai fatto?”. “Padre, nei momenti in cui la tua vita è appesa a un filo, diventi un mostro! Con fine cinismo, mentre scavavo la mia fossa, studiai ai raggi X i tre energumeni che sorvegliavano il macabro rito: armati fino ai denti ma grassi e pesanti, senza alcuna agilità. E poi? Atteso il momento favorevole, feci un balzo spinto da una forza incontenibile, quella della sopravvivenza e iniziai a correre, correre, correre… Come un giaguaro delle nostre terre. Un ciccione esplose alcuni colpi di fucile contro me, mancandomi. Scatenarono un cane, ma non servì a nulla. Io correvo verso la libertà. Corsi fino al mattino quando giunsi in un villaggio. Sfinito mi addormentai nei pressi di un cespuglio. Passava da quelle parti Padre Xavier, un sacerdote molto buono e umano che a Mazuko riuniva e riabilitava le ragazzine vittime della tratta di prostituzione. Mi caricò sulla sua macchina e mi portò nella sua comunità. Per alcuni giorni, con grande affetto, mi curò e ora io vivo lì, al sicuro, aiutando in lavori umili e semplici la comunità che recupera le ragazze. Al Chilometro 108 mi aveva lasciato il combi che veniva da Mazuko, sono entrato nella tienda per una birra, quando sei arrivato tu. Semplicemente stupido e ridicolo. Tu, un Europeo, vestito in modo dimesso e sprovvisto di tutto. Ma come cavolo hai fatto a entrare lì? Appena ti ho visto ho avuto compassione della tua stupidità, mi sono detto: “Meglio spiegargli un paio di cose!’. Ti ho seguito, ti ho domandato di venire con te. Per proteggere la mediocrità, la sufficienza e, permettimi, la irresponsabilità con cui affronti situazioni molto più grandi e sporche di te. Non sfidare, padre, il male, non essere orgoglioso con il male, non pensare di essere forte. Tu sei semplicemente una merda”.

Noè parla in modo invasato, ma il suo discorso è pieno di verità. Mi sento una merda, una nullità, uno stupido incapace di gestire situazioni più grandi di me. Noè parla e io ammutolisco, non riesco a dire una parola. Noè mi fa sentire un ragazzino viziato e spavaldo che entra in una cristalleria con il piede di un elefante.

La nostra auto sfreccia verso Mazuko. Ora chi spara silenzio sono io. Ė un silenzio non esterno, ma interiore, quello che fa più male ma che ha capacità terapeutiche spirituali fuori dal comune. Sono le due di un infuocato e umido pomeriggio quando arriviamo a Plaza de Armas a Mazuko. Apriamo le portiere e butto la grande bottiglia d’acqua che mi sono scolato nel viaggio. Noè mi abbraccia forte e mi dice: “Prega per me, padre. Scusami se sono stato diretto, ma te lo meritavi proprio. Ora ti devo anche dire che la tua pazzia assomiglia a quella di Padre Xavier. Ti devo dire con sincerità che dopo di lui, tu sei stato il prete al quale ho confidato la mia angoscia, la mia prigionia e il mio essere vittima della tratta di persone. Continua così… cerca solo di essere più prudente, va bene?”.

Non ha bisogno di risposte. Ci abbracciamo forte. E Noè che fa? Un gesto bellissimo, toglie dalla tasca dei jeans 20 soles, che sono l’equivalente di 2,50 euro, e mi dice: “Non ho soldi padre, non sono nulla e non intendo pagare il mio tratto di strada, me occorrerebbero almeno dieci volte di più. No, te li dono perché tu possa aiutare i poveri come hai fatto con me questa mattina nel tuo viaggio da Puerto Maldonado a Mazuko. Nel viaggio meraviglioso della vita continua ad aiutare gli altri come hai fatto come me oggi”.

Noè mi chiude lentamente la palma destra della mia mano si gira e lentamente se ne va… quei 20 soles sono oggi nella mia Bibbia e sono una grande reliquia di sofferenza e li sto guardando mentre invio questo report.

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