Il Cardinal Zen, la “coscienza di Hong Kong”, rinviato a giudizio. Il “guerriero della Fede” ha trovato un difensore alla Santa Sede. Non va condannato

Condividi su...

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.09.2022 – Vik van Brantegem] – Lunedì 26 settembre 2022, dopo il rinvio di una settimana a causa del contagio da Covid-19 del Giudice Ada Yim Shun-yee, il novantenne Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, S.D.B., Vescovo emerito di Hong Kong, si è presentato alla Corte di West Kowloon, insieme a altri cinque noti esponenti del fronte democratico, la rinomata avvocata Margaret Ng, la cantante-attivista Denise Ho, l’ex deputato cittadino Cyd Ho, l’accademico Hui Po-keung e l’attivista Sze Ching-wee. Cyd Ho (già in carcere per aver partecipato a una manifestazione non autorizzata, la stessa accusa per cui sono in prigione diverse personalità democratiche, tra cui il magnate dei media cattolico Jimmy Lai).

Il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun arriva al tribunale di West Kowloon a Hong Kong, lunedì 26 settembre 2022 (Foto di Peter Parks/AFP).

In fondo a questo articolo riportiamo:

  • Guerriero della fede. Zen trova un difensore a Roma: il Cardinal Filoni di Aurelio Porfiri su La Nuova Bussola Quotidiana del 24 settembre 2022
  • La lettera di testimonianza del Cardinale Fernando Filoni al Direttore di Avvenire del 23 settembre 2022: il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, S.D.B., Vescovo emerito di Hong Kong, figlio devoto della Cina e della Chiesa, è finito alla sbarra per amore della libertà

La procura di Hong Kong accusa gli imputati di non aver registrato in modo corretto secondo la Societies Ordinance (una legge dall’era coloniale del 1911) il Fondo Umanitario 612, di cui erano gli amministratori fiduciari, utilizzato per finanziare le spese mediche e legali di più di 2.000 attivisti democratici arrestati nel corso delle proteste del 2019. Il Fondo 612 è stato sciolto nel 2021, dopo che la polizia gli ha ordinato di consegnare informazioni sui suoi donatori e beneficiari.

Il Giudice Ada Yim Shun-yee.

Martedì 27 settembre 2022, al secondo e ultimo giorno del processo preliminare, a seguito del controinterrogatorio dei cinque testimoni dell’accusa, il Giudice Yim ha stabilito, che l’accusa aveva prove sufficienti per avviare una causa prima facie contro gli imputati e che la difesa aveva un caso a cui rispondere, aggiornando il procedimento al 26 ottobre.

Il processo per il caso del Fondo Umanitario 612 potrebbe terminare all’inizio di novembre.

L’11 maggio scorso il Cardinal Zen fu arrestato (e poi rilasciato) insieme agli altri imputati dalla polizia di sicurezza nazionale di Hong Kong [QUI], con la più grave accusa di “collusione con forze straniere”, in base all’articolo 29 della draconiana legge per la sicurezza nazionale, che Pechino ha imposto a Hong Kong nel 2020 per colpire il fronte pro-democrazia e di reprimere il dissenso nell’ex colonia britannica, che ha scatenato una valanga di procedimenti giudiziari contro dissidenti critici verso il potere politico e che in pratica ha bloccato ogni iniziativa di protesta. Gli imputati si trovano ora a giudizio per un reato meno grave, per il quale, se condannati, è prevista “soltanto” una pena pecuniaria fino a 10.000 dollari di Hong Kong (circa 1.300 euro).

Gli imputati hanno respinto ogni addebito e si sono dichiarati non colpevoli. Secondo i loro difensori, tra cui gli avvocati Robert Pang, Ambrose Ho e Gladys Li, l’organizzazione benefica non aveva l’obbligo di registrarsi in base alla Societies Ordinance. La difesa chiede anche che nell’interpretazione di questa legge si tenga conto del diritto dei cittadini ad associarsi, sancito dalla Basic Law di Hong Kong. Un aspetto, come osserva Asia News, che dirà qualcosa sul livello di libertà ancora esistente nell’ex colonia britannica.

Il caso giudiziario contro Zen e gli altri amministratori fiduciari del Fondo 612 è l’ultimo di una repressione in corso contro il movimento pro-democrazia di Hong Kong, che ha visto il centro finanziario asiatico scosso dalle proteste di piazza per gran parte del 2019, in resistenza alla stretta di Pechino. Il regime comunista della Cina continentale ha risposto imponendo nel 2020 la controversa legge sulla sicurezza nazionale, che è stata utilizzata per schiacciare il movimento democratico di opposizione a Hong Kong, a rivedere il sistema elettorale della città, mettere a tacere i suoi media schietti e paralizzare la sua società civile, un tempo vivace. La maggior parte delle figure di spicco a favore della democrazia di Hong Kong sono state chiusi in prigione o sono andate in esilio. Il Governo di Hong Kong ha ripetutamente negato che la legge sulla sicurezza nazionale stia sopprimendo le libertà, insistendo invece che abbia posto fine al caos e ripristinato la stabilità della città.

All’inizio del processo preliminare contro il Cardinal Zen e gli altri esponenti pro-democrazia di Hong Kong, l’accusa, guidata dal Pubblico ministero Anthony Chau, ha letto l’atto di accusa e ha presentato una sintesi dei fatti concordata con gli imputati. Più di due dozzine di videoclip sono stati riprodotti lunedì in tribunale, mostrando conferenze stampa che annunciavano il lancio e lo scioglimento del Fondo 612, nonché scene delle proteste in cui Zen, Ng e Ho e altri chiedevano donazioni a banchetti per le strade. Secondo quanto riferito dal portale di notizie locali 01 e l’emittente pubblica RTHK, l’accusa ha detto alla Corte di West Kowloon che il fondo, che ha raccolto circa 270 milioni di dollari di Hong Kong (circa 36 milioni di euro) in donazioni tra giugno 2019 e ottobre 2021, aveva “motivazioni politiche” e sosteneva gruppi e attivisti antigovernativi. La polizia di sicurezza nazionale finora non ha accusato il Cardinal Zen e gli altri imputati di un reato ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale, che potrebbe comportare ad una condanna di reclusione fino all’ergastolo. I pubblici ministeri hanno affermato che il Fondo 612 ha pagato per le apparecchiature audio durante le manifestazioni antigovernative e ha sponsorizzato le lobby politiche degli studenti a Londra e a Ginevra. Hanno affermato che gli studenti hanno chiesto sanzioni contro Hong Kong e i funzionari cinesi, una condotta che è stata successivamente sanzionato dalla legge sulla sicurezza nazionale. L’accusa ha anche affermato che il Fondo 612 ha sponsorizzato un’organizzazione a Taiwan e il New Hong Kong Cultural Club con sede in Canada, critici nei confronti del governo cinese. La difesa ha sostenuto che le opinioni politiche del Fondo 612 sono irrilevanti per l’accusa di registrazione non corretta.

Nell’udienza di lunedì è stata esaminata, a parte delle questioni procedurali, anche la richiesta da parte dell’accusa, accolta dal giudice, di sequestrare i 70 milioni di dollari di Hong Kong (circa 9,3 milioni di euro) del fondo 612 ancora depositati.

La difesa ha sollevato obiezioni a prove ottenute dalla procura in base alla legge sulla sicurezza nazionale, ritenendole “irrilevanti” per il caso. L’Avv. Li ha detto, che i materiali in questione sono stati ottenuti dalla polizia utilizzando un ordine ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale, concessa dal giudice dell’Alta Corte Alex Lee, questione trattata a porte chiuse. Nel settembre dello scorso anno, la polizia ha notificato un’ingiunzione del tribunale chiedendo informazioni al Fondo 612, in quanto sospettato di aver violato la legislazione imposta da Pechino. L’Avv. Li ha affermato che sarebbe problematico se l’accusa chiedesse al tribunale di determinare se gli imputati avessero violato la legge sulla sicurezza nazionale. “Sarebbe molto, molto profondamente ingiusto nei confronti degli imputati”, ha concluso Li.

Il Giudice Yim ha risposto alle eccezioni della difesa, che non c’era bisogno di “andare troppo in fondo del processo” e che avrebbe considerato il presunto reato solo ai sensi della Societies Ordinance.

La difesa ha espresso eccezioni anche in riferimento agli “obiettivi politici” del Fondo 612 presentati dall’accusa, affermando che non era necessario che l’accusa includesse nella presentazione del caso riferimenti relative agli “obiettivi politici” e all'”ideologia politica” del Fondo 612. Il Giudice Yim ha respinto le eccezioni, rispondendo che ogni società ha un obiettivo e che la Corte non avrebbe giudicato il Fondo sulla sua politica. “Perché la politica deve sempre essere una cosa negativa? Può anche essere neutrale”, ha detto Yim.

L’Avv. Pang, in difesa del Cardinal Zen, ha anche messo in dubbio che il reato di cui è accusato, fosse un “reato continuativo” e ha chiesto all’accusa di indicare quando la presunta società (il Fondo 612) fosse stata costituita esattamente.

I sei imputati non testimonieranno in tribunale, né chiameranno testimoni, hanno detto i loro rappresentanti legali. Tuttavia, la difesa ha affermato che avrebbe presentato alla Corte una serie di argomenti legali, inclusa l’interpretazione della Societies Ordinance. In risposta, il Giudice Yim ha detto che c’erano alcuni gruppi che erano esentati dalla registrazione come società, per esempi i comitati funebri. “Se qualcuno è morto in famiglia e doveva esserci un comitato funebre, [sono stati riuniti] non per uno scopo, ma per completare qualcosa”, ha detto Yim, aggiungendo che non lo vedeva come un esempio di una società che necessità di registrazione. Yim ha chiesto alle parti di presentare osservazioni su come una società dovrebbe essere definita ai sensi della Societies Ordinance e ha sottolineato che la questione doveva essere “affrontata [usando] il buon senso”. Yim ha chiesto anche argomenti sulla definizione giuridica di funzionari di una società e sullo spirito della Societies Ordinance.

Il Cardinale Joseph Zen al West Kowloon Law Courts Building per il caso del Fondo Umanitario 612, il 26 settembre 2022 (Foto di Oiyan Chan/AP).

Guerriero della fede
Zen trova un difensore a Roma: il Cardinal Filoni
di Aurelio Porfiri
La Nuova Bussola Quotidiana, 24 settembre 2022


Il processo a Hong Kong contro il Cardinale Joseph Zen è, in realtà, un monito affinché nessuno si senta al riparo dalla scure del regime. La gestione vaticana del caso provoca malumori anche in casa nostra, ma il Cardinal Fernando Filoni scende in campo per denunciare le ingiustizie subite dal confratello cinese: “La Cina e la Chiesa hanno in lui un figlio devoto”.

Il processo a Hong Kong che vede tra gli imputati il Cardinale novantenne Joseph Zen è stato rinviato di una settimana rispetto alla data prevista del 19 settembre. Il motivo è la malattia del giudice che presiede questo processo, Ada Yim Shun-yee, che ha contratto il Covid. All’inizio si pensava ad un rinvio di soli due giorni ma evidentemente le condizioni di salute del giudice hanno richiesto un rinvio più lungo.

Il processo ad una figura di così alto profilo come quella del cardinale, più che una punizione per quello che avrebbe fatto, è un avvertimento per tutti: qualunque sia la loro posizione, non devono sentirsi al riparo dalla legge. E questo in teoria sarebbe anche giusto – se si compie un atto criminoso si deve essere puniti a prescindere dal proprio prestigio sociale – a condizione però di chiarire bene cosa intendiamo per “atto criminoso” ed essere sicuri che la magistratura giudichi secondo la legge e non per assecondare una certa agenda dettata da ragioni politiche. Tutti sperano che Hong Kong dimostri che l’indipendenza tra i poteri sia ancora attiva.

C’è da dire che questa vicenda sta causando malumori anche a casa nostra, persino dietro le mura vaticane, dove non pochi mostrano il proprio disappunto per come il Vaticano sta trattando la questione. Sicuramente il tema sarà stato oggetto di discussioni riservate fra i rappresentanti della Santa Sede e il Vescovo di Hong Kong, Stephen Chow, che in questi giorni si trova a Roma per alcune questioni legate al suo ministero episcopale e che ha dovuto prolungare la sua presenza in Italia, anche lui per via del Covid. C’è da dire che al momento dell’arresto e del rilascio del Cardinal Zen, c’erano il Vescovo Chow e il suo vescovo ausiliare. Hanno visitato il cardinale per sincerarsi delle sue condizioni di salute e per mostrare il proprio sostegno personale e quello della diocesi.

Ma anche tra la gerarchia vaticana c’è chi si fa sentire, come il Cardinale Fernando Filoni, che certamente conosce bene la situazione di Hong Kong e in una lettera ad Avvenire del 23 settembre, tra l’altro, afferma: «Il suo rispetto e il sostegno alla persona è sempre stato il pilastro della sua visione umana e sacerdotale, e così lo è fino a oggi, anche se in Hong Kong in questi giorni è tratto in giudizio. L’integrità morale e ideale furono ritenute di altissimo livello quando Giovanni Paolo II lo nominò vescovo e Benedetto XVI lo creò cardinale. Qualcuno lo ritiene caratterialmente un po’ spigoloso. E chi non lo sarebbe davanti ad ingiustizie e davanti alla rivendicazione della libertà che ogni autentico sistema politico e civile dovrebbe difendere? Devo testimoniare ancora due cose: il cardinal Zen è un “uomo di Dio”; a volte intemperante, ma sottomesso all’amore di Cristo, che lo volle suo sacerdote, profondamente innamorato, come Don Bosco, della gioventù. Per essa è stato un maestro credibile. Poi è un “autentico cinese”. Nessuno, tra quanti ho conosciuto, posso dire essere veramente “leale” quanto lui! In un processo, la testimonianza è fondamentale. Il Cardinal Zen non va condannato. Hong Kong, la Cina e la Chiesa hanno in lui un figlio devoto, di cui non vergognarsi. Questa è testimonianza alla verità».

Certo, è una bella testimonianza da parte del Cardinal Filoni, che da monsignore visse a Hong Kong per otto anni al servizio della Santa Sede. Anche a livello internazionale c’è apprensione per questo processo e ammirazione per l’indomito spirito cristiano di questo anziano guerriero della fede.

La lettera di testimonianza del Cardinale Fernando Filoni al Direttore di Avvenire

Caro direttore,

in un processo si intima: Chi può parlare, parli! Anche Gesù non se ne sottrasse in un giudizio che avrebbe marcato la storia e la vita di un uomo che suscitava ammirazione e profondo rispetto religioso: Giovanni Battista. Giovanni morì testimoniando la verità alla quale nessuno è superiore, rivendicando l’unicità della legge divina, recepita nella tradizione ebraica.

Anche Gesù pagò per la sua testimonianza alla verità: Che cos’è la verità? (cfr. Gv 18, 38), gli chiese Pilato ironizzando in un drammatico processo in cui il Nazareno era accusato di aver violato la sovranità di Roma e sul punto di essere condannato a morte. Il verdetto fu emesso, e Gesù fu condannato ad una morte infame; ma quel processo, mai concluso, non sarà più dimenticato finché il Vangelo verrà annunciato sulla terra. «Io sono la verità» (Gv 14, 6), aveva proclamato Gesù, ma alla valutazione di Pilato questo non interessava. E se ne lavò le mani.

In questi giorni si celebra un altro processo. A Hong Kong. Una città che ho molto amato per averci vissuto oltre otto anni. Lì ho conosciuto don Joseph Zen Ze-kiun. Era il Provinciale dei salesiani. Un cinese tutto d’un pezzo. Intelligentissimo, acuto, dal sorriso accattivante. Mi dicevano: «È uno shanghaiese!». Gradualmente ne compresi il senso.

Allora, oltre a fare il Provinciale, era insegnante e come professore di filosofia ed etica era assai stimato. Parlava perfettamente l’italiano; non solo la lingua, ma i modi erano vicini alla cultura europea che egli aveva conosciuto frequentando da giovane le scuole europee. Si diceva di lui: «È il più italiano dei cinesi e il cinese più italiano». Ecco la sintesi, l’incontro tra due culture.

In realtà egli è rimasto cinese; mai ha rinnegato la sua identità. E questo per me era molto bello e affascinante; mi rappresentava il prototipo di una interculturalità che mi richiamava alla memoria Xu Guangqi, un “Cristiano alla corte dei Ming” (Elisa Giunipero), o, per altri versi, l’acutezza del vescovo Aloysius Jin Luxian, gesuita, vescovo di Shanghai al tempo di Deng Xiaoping e successivamente, che amava presentarsi come il «Nicodemo dei nostri tempi». Ambedue shanghaiesi.

Shanghai è stata una città di martiri al tempo dell’occupazione stile nazista dei giapponesi; fu un periodo incredibilmente triste, carico di violenze e distruzioni che nessuno dimentica. Anche la famiglia del cardinal Zen ne fu vittima, perse tutti i suoi averi e dovette fuggire.

Il giovane Zen non ha mai dimenticato quella esperienza e trasse da essa coerenza caratteriale e stile di vita; e poi un grande amore per la libertà e per la giustizia. Shanghai fu eroica, ed eroi furono considerati, quasi intoccabili anche dal regime comunista, i suoi figli. Il cardinal Zen è uno degli ultimi epigoni di quelle famiglie. Mai gli eroi andavano umiliati; era anche la mentalità dell’establishment cinese, come lo è in Occidente per le vittime del nazi-fascismo nostrano.

Negli anni 90 del secolo scorso Joseph Zen insegnava in vari seminari, a Hong Kong e in Cina (Shanghai, Pechino, Xian, Wuhan). A Shanghai era stato invitato dal vescovo Jin Luxian. Accettò per il bene della Chiesa, martire, che risorgeva dal suo martirio e cercava la via della sopravvivenza; questa era flessibilità, non cedimento. Guardava avanti e non entrava in giudizio verso le persone: era la sua filosofia di vita; i sistemi politici – diceva – possono essere giudicati, e su di essi il suo pensiero era chiaro, ma le persone no; il giudizio è rimandato a Dio che conosce il cuore degli uomini.

Il suo rispetto e il sostegno alla persona è sempre stato il pilastro della sua visione umana e sacerdotale, e così lo è fino a oggi, anche se in Hong Kong in questi giorni è tratto in giudizio. L’integrità morale e ideale furono ritenute di altissimo livello quando Giovanni Paolo II lo nominò vescovo e Benedetto XVI lo creò cardinale. Qualcuno lo ritiene caratterialmente un po’ spigoloso. E chi non lo sarebbe davanti ad ingiustizie e davanti alla rivendicazione della libertà che ogni autentico sistema politico e civile dovrebbe difendere?

Devo testimoniare ancora due cose: il cardinal Zen è un «uomo di Dio»; a volte intemperante, ma sottomesso all’amore di Cristo, che lo volle suo sacerdote, profondamente innamorato, come Don Bosco, della gioventù. Per essa è stato un maestro credibile. Poi è un «autentico cinese». Nessuno, tra quanti ho conosciuto, posso dire, essere veramente «leale» quanto lui!

In un processo, la testimonianza è fondamentale. Il cardinal Zen non va condannato. Hong Kong, la Cina e la Chiesa hanno in lui un figlio devoto, di cui non vergognarsi. Questa è testimonianza alla verità.

Fernando Card. Filoni
Avvenire, 23 settembre 2022


Il caso Zen – Indice: QUI.

Foto di copertina: il Cardinale Joseph Zen arriva al West Kowloon Law Courts Building per il caso del Fondo Umanitario 612, il 26 settembre 2022 (Foto di Candice Chau/HKFP).

Free Webcam Girls
151.11.48.50