In Iran le donne si ribellano

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Proseguono le proteste antigovernative in Iran, nonostante la limitazione dell’accesso ad internet e la violenta repressione della polizia, tantoché che le Nazioni Unite hanno chiesto alle autorità iraniane ‘di garantire i diritti a un giusto processo e di rilasciare le persone arbitrariamente’ arrestate, come ha detto a Ginevra la portavoce dell’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, Ravina Shamdasan:

“Molti iraniani sono stati uccisi, feriti e detenuti. Siamo molto preoccupati per la risposta violenta delle forze di sicurezza alle proteste… Le armi da fuoco non devono mai essere usate per disperdere una manifestazione… Chiediamo alle autorità di ripristinare completamente l’accesso a Internet”.

In queste settimane migliaia di persone hanno aderito a manifestazioni anti-governative in seguito al decesso in detenzione di Mahsa Amini, 22 anni, arrestata il 13 settembre con l’accusa di non aver indossato l’hijab correttamente.

La ragazza, della minoranza curda iraniana, era morta tre giorni dopo essere entrata in coma in un centro di detenzione a causa delle possibili torture e maltrattamenti inflitti. La polizia ha negato le accuse e il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha promesso un’indagine.

Roya Hakakian sulle colonne del giornale statunitense, ‘Atlantic’, ha sottolineando che la ‘rabbia’ ha contagiato uomini, donne e giovani: “Alle proteste partecipano gli abitanti delle grandi città come quelli dei centri di provincia…

L’onda di sdegno per la morte di Mahsa Amini ha raggiunto anche celebrità che in passato avevano taciuto, non osando criticare il regime. Star del cinema e personaggi dello sport twittano messaggi di sostegno ai manifestanti, e alcuni si spingono oltre al punto da chiedere che l’esercito intervenga a difesa del popolo.

E’ il caso del musicista Homayoun Shajarian, figlio di una leggenda della musica persiana, Mohammad-Reza Shajarian, che ha proiettato una gigantografia di Mahsa Amini come sfondo del suo ultimo concerto”.

Ma soprattutto la protesta delle donne iraniane ha oltrepassato le divisioni etniche all’interno dell’Iran. Per anni, le voci sulla minaccia dei movimenti separatisti, soprattutto nel Kurdistan, avevano suscitato dibattito e divisioni.

Ma oggi il dolore nazionale per la morte di una giovane donna curda, divenuta l’emblema dell’ingiustizia quotidiana a cui ogni iraniana è soggetto, sembra essere capace di scardinare vecchie distanze e tensioni sociali, come ha raccontato un testimone al quotidiano britannico ‘Guardian’:

“Durante le proteste del 2019 non c’era unità tra arabi iraniani, turchi, curdi e così via… In passato gli iraniani, segnati dalle perdite di 8 anni di guerra contro l’Iraq, volevano preservare la stabilità interna a tutti i costi. Questo sentimento si è trasformato anche in città sante come Mashhad, dove la prostituzione è ormai diffusa a causa delle pessime condizioni economiche”.

Ed anche i cristiani iraniani si uniscono nella battaglia per la verità e la giustizia sulla morte di Mahsa Amini: “Noi, Hamgaam Council of United Iranian Churches, Article18 e Pars Theological Centre, come parte della comunità cristiana iraniana, dichiariamo la nostra solidarietà alla famiglia di Mahsa (Zina) Amini e sosteniamo la loro richiesta di giustizia.

E come cittadini del nostro Paese condanniamo all’unisono la sistematica oppressione delle donne e la diffusa violazione dei diritti umani in Iran. Allo stesso tempo chiediamo libertà, giustizia e pari diritti per tutti gli iraniani”.

I movimenti cristiani firmatari della nota esaltano ‘il coraggio senza precedenti’, che è alla base delle manifestazioni, ed attaccano l’obbligo del velo come ‘chiara violazione dei diritti umani’: 

“Siamo tutti uniti senza distinzioni di etnia, religione, lingua o credo, in questa lotta contro il dolore condiviso dell’ingiustizia, dell’oppressione e della dittatura religiosa, così come la nostra speranza di vita, libertà e uguaglianza”.

La nota dei movimenti cristiani hanno, infine, affermato che dalla Rivoluzione islamica del 1979, moltissime donne sono state uccisa “solo perché la pensavano in modo diverso… E ricordiamo a tutti i nostri concittadini cristiani di stare accanto ai senza voce e agli oppressi, difendendo i loro diritti come insegna la Bibbia e lo stesso Gesù Cristo con la sua vita”.

Nel frattempo Amnesty International ha raccolto nuove prove sulle conseguenze mortali della repressione da parte delle forze di sicurezza iraniane contro coloro che da giorni protestano pacificamente per la morte di Mahsa Amini.

A seminare morte nelle strade di almeno 10 province iraniane, utilizzando proiettili veri (compresi pallini da caccia e di metallo) sono la Guardia rivoluzionaria, le forze paramilitari basiji e agenti in borghese. Morti e feriti sono stati registrati nelle province di Alborz, Esfahan, Ilam, Kohgilouyeh e Bouyer Ahmad, Kermanshah, Kurdistan Manzandan, Semnan, Teheran e Azerbaigian occidentale.

L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto ai leader del mondo di appoggiare le richieste per la costituzione di un meccanismo internazionale e indipendente d’inchiesta che affronti il clima d’impunità dominante in Iran, denunciando che il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha potuto pronunciare il discorso alle Nazioni Unite:

“Gli è stata data la parola su un palcoscenico globale, nonostante le credibili prove del suo coinvolgimento in crimini contro l’umanità (in relazione al massacro delle prigioni del 1988)”.

(Foto: Amnesty International)

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