Il dittatore azero Aliyev ha invaso l’Armenia. Parlare di “scontri di confine” è fake news

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.09.2022 – Vik van Brantegem] – Durante la riunione del Governo a Yerevan oggi, il Ministro della Difesa armeno, Suren Papikyan, oggi ha affermato che la situazione operativa sulla frontiera con l’Azerbajgian è relativamente calma, che il cessate il fuoco è generalmente rispettato e che le forze armate armene continuano a svolgere i propri compiti. Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha sottolineato che la posizione dell’Armenia rimane invariata: le truppe di invasione azere dovrebbero ritirarsi dal territorio sovrano dell’Armenia e questa posizione è stata chiarita anche durante la discussione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ieri sera.

«No, non chiamateli scontri di confine e neppure del Nagorno-Karabakh. L’AzerbaJgian del dittatore Aliyev ha invaso l’Armenia complice una Unione Europea che ha svenduto i propri valori» (Iniziativa italiana per l’Artsakh).

Anche se ancora nessun documento è stato adottato con i risultati della discussione, questo fatto non deve in alcun modo mettere in ombra l’importanza di tale discussione, ha affermato il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan. Ha affermato che la maggior parte dei paesi partecipanti alla discussione ha evidenziato l’inammissibilità dell’uso della forza e l’inviolabilità del territorio sovrano dell’Armenia. Ha detto che il termine “aggressore” è stato usato durante la sessione molte volte. «Vi è una chiara percezione che si tratti di un’incursione, di un’aggressione al territorio armeno, che le infrastrutture civili siano state prese di mira e che l’invasore debba tornare nelle posizioni iniziali. Si è parlato anche del conflitto del Nagorno Karabakh. La tesi della dirigenza azerbajgiana, con la quale si sta cercando da parte azera di far circolare che non c’è un conflitto nel Nagorno-Karabakh, che non c’è il Nagorno-Karabakh, ha ricevuto ieri la sua adeguata reazione opposta dalla comunità internazionale», ha affermato Mirzoyan. Il Ministro degli Esteri armeno ha sottolineato la necessità di continuare i lavori in questa direzione. «Voglio dire delle parole di apprezzamento ai Paesi che hanno smesso di porre un segno di uguaglianza tra l’aggressore e la vittima dell’aggressione, ma devo anche dire che avevamo aspettative leggermente superiori in termini di determinate Paesi separati o di un Paese, ma è non è un segreto che non fossero giustificati», ha detto Mirzoyan.

Oggi, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha avuto delle conversazioni telefoniche con il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin e con il Segretario di Stato degli USA, Antony Blinken in riferimento all’aggressione dell’Azerbajgian all’Armenia. Pashinyan ha sottolineato che, sebbene il confine sia attualmente relativamente calmo, la situazione risultante dall’aggressione dell’Azerbajgian contro il territorio sovrano dell’Armenia rimane molto tesa. Il Primo Ministro dell’Armenia e il Presidente della Federazione Russa hanno discusso questioni relative all’attuazione delle decisioni prese in merito all’applicazione dell’Armenia all’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva. Antony Blinken ha espresso le sue condoglianze per le vittime delle ostilità e ha riaffermato la volontà degli USA di promuovere la pace e il dialogo. Blinken e Pashinyan hanno anche fatto riferimento alle discussioni sulle richieste dell’Armenia al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Pashinyan ha sottolineato ancora una volta l’importanza di una reazione adeguata della comunità internazionale a quanto sta accadendo.

I rappresentanti delle missioni diplomatiche accreditate in Armenia, oggi hanno visitato la città di Jermuk per conoscere i danni causati alle infrastrutture civili dall’ultima aggressione armata azerbajgiana e per avere informazioni in loco sulla situazione operativa. Erano presenti gli Ambasciatori dei Paesi Bassi, del Regno Unito, degli USA, della Francia, dell’Unione Europea, della Cina, dell’Argentina e l’Incaricato d’affari della Georgia, nonché rappresentanti e addetti militari di altre missione diplomatiche straniere.

Le forze armate azerbajgiane sul territorio sovrano dell’Armenia attualmente si trovano a soli 4,5 km dalla città di Jermuk, ha detto il Capo di stato maggiore delle forze armate armene, Eduard Asryan, durante l’incontro con i rappresentanti delle missioni diplomatiche accreditate in Armenia a Jermuk. «Sin dall’inizio delle operazioni militari, le unità delle forze armate armene, conducendo combattimenti di posizione contro l’avversario, stavano respingendo gli attacchi delle forze azerbaigiane», ha affermato Asryan. «Anche tenendo conto della superiorità delle unità nemiche, abbiamo perso diverse posizioni di combattimento in alcune direzioni, il che ha permesso all’avversario di infiltrarsi in profondità nella nostra difesa», ha detto Asryan. «Come risultato delle azioni delle nostre unità, in alcune direzioni, incluso in direzione di Jermuk e del sud-est, e in altre direzioni orientali dell’Armenia, il nemico è stato respinto nelle posizioni iniziali. L’avanzata in direzione di Jermuk è iniziata alla mezzanotte del 13 settembre ed è proseguita fino a quando non è stato concordato il cessate il fuoco. Prima delle operazioni militari, la distanza del nemico dalla città di Jermuk al confine era di 11/12 km, ma ora l’avversario è a soli 4,5 km”, ha detto Asryan.

Il Primo Ministro Pashinyan ha dichiarato oggi nella riunione di governo, che 135 militari sono stati confermati uccisi a seguito dell’aggressione azerbajgiana contro l’Armenia iniziata poco dopo la mezzanotte del 13 settembre. Sfortunatamente, ha affermato, il numero non è definitivo e ha aggiunto che un certo numero di militari sono feriti.

Secondo i dati dell’Ufficio del Difensore dei Diritti Umani dell’Armenia, circa 7.600 persone sono state sfollate dalle loro case nelle province di Gegharkunik, Vayots Dzor e Syunik a causa dell’attacco militare azerbajgiano all’Armenia. La maggior parte degli sfollati sono donne e anziani, con 1.437 bambini e 99 persone con disabilità.

Un civile è morto a causa dell’aggressione dell’Azerbajgian, ha detto oggi nella riunione del governo il Difensore dei Diritti Umani dell’Armenia, Kristinne Grigoryan. Ha sottolineato che la persona non era in alcun modo coinvolta nelle operazioni militari e ci sono le prove che lo dimostrano. Grigoryan ha affermato che almeno sei civili sono rimasti feriti. Ha ricordato che anche i giornalisti sono stati presi di mira insieme alle ambulanze e al personale medico, il che è una grave violazione del diritto e delle consuetudini internazionali umanitari.

Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che sono stati registrati casi di crimini militari commessi dalle forze di aggressione dell’Azerbajgian, aggiungendo che tutti questi casi dovrebbero essere documentati in dettaglio e ulteriormente elaborati nell’ambito dei processi legali internazionali.

«Un orribile video di soldati azerbajgiani con i cadaveri di soldati armeni che hanno profanato, che circola su Telegram. I soldati azeri hanno spogliato una soldatessa, le hanno messo un sasso nell’occhio e un dito in bocca. Molti dei commenti sono di Azeri che celebrano questo crimine di guerra.
Nota: non ho condiviso il video completo; mostro alcuni fotogrammi molto sfocati di una delle vittime e dei commenti [QUI].
È di vitale importanza condividere le prove dei crimini di guerra, ma imporre al pubblico una brutalità raccapricciante non filtrata rende più facile per loro ignorarle.
Diversi commenti esprimono preoccupazione per il fatto che la condivisione di video di crimini di guerra azeri fornisca prove alla Corte Penale Internazionale, ma non devono preoccuparsi. I soldati azeri si sono ripresi mentre torturavano e uccidevano soldati e civili armeni durante e dopo la guerra del 2020 [QUI] senza subire conseguenze» (Lindsey Snell @LindseySnell – Twitter, 16 settembre 2022).

Per capire a che punto arriva la follia revisionista (Erevan è città azera secondo l’Azerbajgian) e l’indottrinamento armenofobico (iniziando con i bambini azeri) del regime dittatoriale armenofofico di Baku, riportiamo l’immagine e il post di accompagnamento, pubblicato dalla giornalista Lindsey Snell. Non occorre commento.

«”Irevan per Bambini”, un libro sulla storia dell'”antica città azerbajgiana di Irevan” disponibile per l’acquisto presso il Centro del Libro di Baku, finanziato dal governo azerbajgiano» (Lindsey Snell @LindseySnell – Twitter, 16 settembre 2022).

Durante la visita a Jermuk, i diplomatici stranieri accreditati in Armenia sono stati informati sulle atrocità commesse dalle forze armate azere dopo essersi infiltrate nel territorio sovrano dell’Armenia. “Hanno commesso atrocità nelle nostre posizioni di combattimento contro i nostri militari, comprese le donne”, ha detto il Capo di stato maggiore delle forze armate, Eduard Asryan. Hanno smembrato una soldatessa, le hanno tagliato le gambe e le dita, l’hanno spogliata nuda, ha detto il capo dell’esercito, mostrando il video pertinente e descrivendolo come “il più alto livello di crudeltà”. Ha affermato che nessuna forza militare, unità o soldato di nessun paese ha il diritto di commettere tali atrocità e l’ha definita una grave violazione del diritto umanitario internazionale. Asryan ha affermato che crimini di guerra sono stati commessi in tutte le direzioni dell’attacco azero. Ha assicurato che le forze armate armene continueranno a prendere tutte le misure per garantire la sicurezza della Patria.

Il Ministro per le Situazioni di Emergenza dell’Armenia, Armen Pambukhchyan, ha presentato oggi il numero di strutture e infrastrutture civili danneggiate a seguito dell’aggressione azerbajgiana. «Alloggi e un centro benessere a Vayots Dzor hanno subito danni dall’aggressione azerbajgiana, due granate sono caduti sul bacino idrico di Kechut e la funivia di Jermuk, l’edificio della squadra antincendio del servizio di soccorso, veicoli privati e altre proprietà sono stati danneggiati. Abbiamo interruzioni nelle linee elettriche nella comunità di Sisian, nella provincia di Syunik. Ambulanze sono state danneggiate nel bombardamento azerbajgiano. Nella provincia di Gegharkunik, le case della gente, ettari di campi di grano e orzo sono stati fortemente danneggiati. A Sotk sono state danneggiate 55/60 case, stalle per il bestiame, diversi gasdotti e diverse auto private», ha affermato il Ministro durante la riunione del governo. Il Primo Ministro Pashinyan ha affermato che tutti i danni saranno oggetto di un inventario dettagliato, il cui scopo è assicurare l’assistenza dal governo per il loro completo ripristino. «È anche importante documentare queste e altre circostanze da un punto di vista legale», ha sottolineato.

La protesta armena in Libano davanti all’Ambasciata del guerrafondaio armenofobo Ilham Aliyev.
La protesta a Parigi contro l’attacco azero all’Armenia.

Centinaia di persone si sono radunate vicino al Ministero degli Esteri a Parigi per protestare con forza contro l’aggressione programmata dall’Azerbajgian al territorio sovrano dell’Armenia. I manifestanti hanno tenuto manifesti con la scritta “Stop Aliyev! Vattene dall’Armenia!”, “Panturkismo = fascismo”, ecc. Una ventina di politici si sono uniti agli Armeni, tra cui Gabriel Attal, ex Portavoce del governo francese, Ministro delegato incaricato dei conti pubblici. Ara Toranian (nella foto mentre parla), co-presidente del CCAF-Consiglio di Coordinamento delle Organizzazioni Armene di Francia, ha ringraziato la Francia, che è stata quasi l’unica potenza al mondo a reagire diplomaticamente alla situazione, deferendo la questione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Alla manifestazione si è unito Berivan Firat, Portavoce del Consiglio Democratico Curdo in Francia. Ha detto che «la lotta degli Armeni è la lotta dei popoli oppressi, è la mia lotta». «Oggi sono Armeno. Erdoğan è un pericolo per i Curdi, per gli Armeni, per i Siriani, ma anche per la Francia, per l’Occidente, per i nostri giovani e per le generazioni a venire», ha aggiunto. Il co-Presidente del CCAF, Mourad Papazian, ha osservato: «Oggi Baku sta attaccando la Repubblica di Armenia, un territorio sovrano riconosciuto dalle Nazioni Unite. Non è consentito attaccare un territorio riconosciuto dall’ONU senza ricevere una risposta dall’ONU. […] Temiamo per l’Armenia, la sua sicurezza e il suo popolo. Dobbiamo trovare un modo per assicurare la pace agli Armeni della Repubblica di Armenia e del Nagorno-Karabakh».

Per fornire qualche background sulla situazione in riferimento all’aggressione dell’Azerbajgian all’Armenia, di seguito condividiamo:

  • Uno stralcio da Le deviazioni horror del potere a firma di Gino Lanzara pubblicato su Difesa Online del 13 settembre 2022.
  • L’Italia a letto con il nemico a firma di Andrea Gaspardo pubblicato su Difesa Online del 16 settembre 2022.
  • L’abbraccio col dittatore a firma di Dario Prestigiacomo pubblicato su Europa Today del 14 settembre 2022.

L’Unione Europea, il campione della democrazia, che taglia i fondi all’Ungheria di Orbán [QUI] ma non all’Azerbajgian di Aliyev; che manda armi all’Ucraina di Zelensy invaso dalla Russia (qui la questione deve essere risolta con la forza militare), ma non ne manda all’Armenia di Pashinyan invaso dall’Azerbajgian (qui la questione deve essere risolta con il dialogo e la diplomazia): «Fare in modo che la guerra non finisca alimentandola con continui invii di armi = fare in modo che muoiano molte più persone di quanto sarebbe avvenuto normalmente, pur di colpire chi dà fastidio agli USA = uccidere agli ordini di un padrone. L’UE è un osceno teatro di assassini» (Il Sofista @intuslegens – Twitter, 16 settembre 2022). Si illudono coloro che rimangono in attesa della ferma condanna dell’Unione Europea dell’aggressione del dittatore azero Aliyev.

«L’Azerbajgian è il primo fornitore di petrolio dell’Italia e con il Southern Gas Corridor fornisce anche il gas che, seppure in quantità più ridotta, in questo momento di insicurezza energetica, assume notevole importanza. Sull’Azerbajgian l’Unione Europea ha sempre chiuso un occhio. Parlamentari dell’Unione Europea avevano ricevuto tangenti per ignorare gravi violazioni dei diritti umani in quel Paese, perché la promozione e protezione di tali diritti serve esclusivamente come arma puntata contro quei Paesi che non si piegano ai diktat dell’Occidente» (dal Canale Telegram di Laura Ru, 15 settembre 2022).

Ursula von der Leyen e Ilham Aliyev, luglio 2022.

L’abbraccio col dittatore
Così Europa e Italia finanziano la nuova guerra tra Azerbajgian e Armenia
La ripresa degli scontri tra i due Paesi avviene a poche settimane dall’intesa tra Baku e Brussel sul gas e il raddoppio del Tap
di Dario Prestigiacomo
Europa Today, 14 settembre 2022


Una nuova guerra che si intreccia con le vie del gas che portano all’Europa. È quella che è (ri)scoppiata tra Armenia e Azerbajgian e che ha già fatto circa 100 morti. Entrambi i Paesi si accusano a vicenda di aver ripreso le ostilità, dopo la tregua raggiunta nel 2020 dopo il secondo conflitto per il controllo del Nagorno-Karabakh, la regione contesa da almeno un secolo da Baku e Yerevan, e dove c’è un’autoproclamata repubblica pro-Armenia. Stavolta, però, gli scontri sono avvenuti fuori da questa regione, nelle armene Jermuk e Verin Shorzha, il che confermerebbe le ricostruzioni secondo cui saremmo di fronte a un’aggressione dell’Azerbaigian. Un’aggressione che potrebbe essere la conseguenza indiretta della guerra in Ucraina e del ruolo più centrale di Baku nell’approvvigionamento di gas e petrolio verso l’Europa (e l’Italia).

Del resto, la nuova offensiva di Baku ha una coincidenza temporale sospetta con l’accordo sottoscritto lo scorso luglio con la Commissione Europea, quando la Presidente Ursula von der Leyen si recò nel Paese per stringere la mano a Ilham Aliyev, il leader dell’Azerbajgian, arrivato al potere nel 2003 dopo 10 anni di governo incontrastato del padre. Quella stretta si è tradotta in aumento del 30% delle esportazioni di gas dai giacimenti azeri all’Europa attraverso il Tap: 10-12 miliardi di metri cubi diretti in Grecia e Italia entro il 2022 per sostituire le forniture russe. Inoltre, Brussel e Baku sono sulla buona strada per finanziare il raddoppio del gasdotto transadriatico.

L’intesa con l’UE fece storcere il naso a non poche organizzazioni umanitarie internazionali, che da tempo sottolineano le violazioni di diritti sociali, politici e umanitari nel Paese. Secondo il Democracy index dell’Economist, quello di Baku è un regime autoritario che lo piazza al 141° posto su 167 Paesi analizzati per lo stato della democrazia. La Russia, per fare un confronto, è 121ª. Eppure, proprio Mosca ha da sempre avuto un ruolo nelle tensioni tra Azerbajgian e Armenia.

Le due ex repubbliche sovietiche diedero grattacapi al Cremlino già all’interno dell’URSS. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Russia ha continuato a esercitare la sua influenza nell’area, prediligendo però i rapporti con l’Armenia. Baku ha invece potuto contare sul sostegno sempre più stretto della Turchia, a cui la lega, tra le altre cose, un oleodotto che porta il petrolio azero sulle coste mediterranee turche e da qui in giro per l’Europa e il mondo. La differenza tra i due sponsor di Baku e Yerevan è che in questo momento Mosca deve fare i conti con la guerra in Ucraina e le sanzioni, e non ha certo la forza di impegnarsi dalle parti del Nagorno-Karabakh. Ankara, invece, sta cercando di allargare la sua sfera di influenza nell’area euroasiatica, dai Balcani all’Azerbajgian.

Diversi osservatori internazionali avevano previsto che l’intesa con l’Ue, unita al supporto della Turchia avrebbero riacceso la fiamma, mai sopita del tutto, del conflitto azero-armeno. E così è stato: a fine agosto, dopo appena un mese dal viaggio di von der Leyen, l’esercito di Baku ha ripreso sotto il suo controllo la città di Lachin e i villaggi vicini di Zabukh e Sus [QUI], di fatto tagliando il corridoio che collega l’Armenia con il Nagorno-Karabakh. Una palese violazione degli accordi presi in triangolazione con la Russia nel 2020, quando il cessate fuoco aveva posto fine a un conflitto che aveva provocato oltre 6.500 vittime.

All’epoca, l’Azerbajgian era riuscito comunque a riprendere il controllo di una buona parte della regione, e si era impegnato a garantire le comunicazioni tra Yerevan e la popolazione armena nel resto del Nagorno-Karabakh. Un impegno disatteso. Adesso, la nuova offensiva, che mette non poco in imbarazzo l’UE, tanto più dopo che von der Leyen ha definito Baku “un partner affidabile”. Il problema è che mentre l’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh non è riconosciuta a livello ONU, l’Armenia lo è. E gli attacchi dell’Azerbajgian sono di fatto un’aggressione simile a quella della Russia in Ucraina.

Le deviazioni horror del potere
di Gino Lanzara
Difesa Online, 13 settembre 2022


(…) In un blockbuster di qualche anno fa, uno straordinario Peter Sellers interpretava una triade di personaggi di rara connotazione psicologica. Il Dottor Stranamore, l’uomo che ha imparato a non preoccuparsi e ad amare la bomba, è il perfetto stereotipo rappresentante dei peggiori difetti. (…)

L’Armenia è piccola, povera, militarmente debole, eppure proprio in questi giorni l’Azerbajgian, guarda caso sostenuto dalla Turchia, è riuscito a trarla nuovamente fuori da un limbo in cui continua a convivere sia con il ricordo del massacro perpetrato dagli ottomani, sia con le sofferenze patite per effetto delle decisioni staliniste riguardo al Nagorno-Karabakh, o Artsakh in armeno, come preferite: la sostanza non cambia, quello che resta è un istinto elementare di sopravvivenza, che si scontra con il progetto turco della riconquista di un’influenza sempre più marcata delle aree che furono ottomane.

Imperialismo? Sì, senza dubbio: insieme ad un revival islamico politico, scuole militari e coraniche finanziate da Ankara fioriscono nei cosiddetti “Stan”; e non c’è nemmeno dubbio che un impero panturco confinante con la Cina diverrebbe un rischio troppo grande per Pechino, che si troverebbe alle prese con una recrudescenza uigura, con un’entità turcofona ma politicamente cinese, che potrebbe decidere di non avere nulla da perdere insorgendo (peggio di così come vuoi stare?), e magari suscitando un interesse indiretto da parte di Washington. Insomma, l’Armenia è l’intoppo che impedisce la continuità territoriale di una regione di almeno 200 milioni di abitanti, e di cui la Turchia sarebbe il cuore, secondo una configurazione tuttavia pericolosa per il primato iraniano, e con il confronto nel subcontinente indiano tra l’India filo armena ed il Pakistan filo azero. È nel corso della Grande Guerra, nel 1915, che si compie, in terra ottomana, il genocidio armeno ad opera del governo nazionalista dei Giovani Turchi, aiutato da consiglieri tedeschi, un prototipo di massacro utile per quello che sarebbe stato un futuro aberrante. Arresti, deportazioni ed eliminazioni fisiche diventano un cliché da circa 1.500.000 persone.
Nel 1922, l’incendio dei quartieri greco e armeno di Smirne, riconquistata dai kemalisti, conferma un certo modo di intendere il mondo al modico prezzo di decine di migliaia di vittime, deportati e donne violentate. La storiografia ufficiale turca nega l’esistenza di piani intenzionali. (…)

L’Italia a letto con il nemico
di Andrea Gaspardo
Difesa Online, 16 settembre 2022


In passato ci eravamo già occupati di una faccenda assai spinosa: i rapporti tra la Repubblica Italiana e la Repubblica dell’Azerbajgian. Alla luce degli ultimi avvenimenti che stanno scuotendo la stabilità del Caucaso e della recente visita nel nostro Paese del dittatore azero, Ilham Heydar oğlu Aliyev, ricevuto con tutti gli onori (per non dire “in pompa magna”) dalle autorità italiane, è necessario per noi ritornare sull’argomento perché la scarsa e parziale (per non dire ridicola) copertura mediatica della visita da parte dei mezzi d’informazione nazionali così come la quasi totale assenza di informazioni riguardo agli eventi del Caucaso da parte dei medesimi, rischiano di creare negli osservatori male informati un pericoloso “strabismo” che, alla lunga, può ritorcersi contro il nostro Paese. Ecco quindi che tutti quanti dobbiamo collettivamente chiederci: sappiamo bene con che cosa abbiamo a che fare?

Innanzi tutto bisogna da subito puntualizzare che, nel corso degli anni, sia il regime di Ilham Heydar oğlu Aliyev che quello di suo padre Heydar Alirza oğlu Aliyev prima di lui si sono dimostrati diabolicamente abili nella difficile e niente affatto scontata arte delle “pubbliche relazioni”.

Mentre altri regimi dittatoriali sono stati e continuano ad essere sottoposti ad un “fuoco mediatico concentrico” al fine di denunciarne abusi e malversazioni, nel caso della “Terra del Fuoco” (altro nome con il quale è noto lo stato caspico), non avviene nulla in tal senso. Intendiamoci, non esiste alcuna “cospirazione internazionale” volta a coprire le malefatte dei satrapi del Caucaso, ed i report che descrivono la reale situazione di quanto avviene laggiù sono ampiamente disponibili sia online che su carta stampata. Diverse istituzioni quali Reporter Senza Frontiere, Human Rights Watch, Amnesty International e chi più ne ha, più ne metta, hanno più volte denunciato il deprecabile stato dei diritti umani nella satrapia nel Caspio, e persino il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America (paese, quest’ultimo, che con l’Azerbajgian intrattiene rapporti tutt’altro che ostili) è stato generalmente onesto nel presentare la situazione della condizione dei diritti umani in Azerbajgian in termini assai negativi. Chiunque abbia voglia per curiosità di scorrere uno o più di questi report, in particolare quelli di Human Rights Watch, troverà che la parola utilizzata più di frequente per descrivere la condizione dei diritti umani in Azerbaigian è: “appalling”, che può essere comodamente tradotta in lingua italiana come “spaventosa/terrificante”.

Dopo aver letto queste righe, un osservatore casuale sarebbe pertanto tentato di chiedere: “ma se la situazione è così critica, perché tutti (o quasi) tacciono?”. La risposta è molto semplice e può essere riassunta in un’unica parolina magica: IDROCARBURI. Con il 41% dell’export diretto verso il nostro Paese, Roma si conferma il più importante partner commerciale di Baku, tuttavia tale “relazione speciale” è letteralmente “drogata” dalla massiccia fornitura di petrolio e prodotti derivati dalla sua raffinazione. Se escludiamo l’oro nero ed altre materie prime racchiuse nel sottosuolo infatti, gli unici altri prodotti che l’Azerbajgian esporta nel nostro mercato sono un po’ di agricoltura, pesca, silvicoltura e ricavati dalla metallurgia, ma si tratta veramente di poca cosa perciò la riportiamo qui solamente per “dovere di cronaca”.

L’importanza che il petrolio azero ha acquisito per tutta una serie di Paesi, soprattutto europei, ha garantito ad Aliyev una quasi intoccabilità da parte della stampa continentale, soprattutto nostrana, e ogni qual volta una voce sopra le righe si sia espressa al di fuori del coro, essa è stata affrontata dal regime azero con la massima durezza. È il caso della nota giornalista e conduttrice televisiva Milena Gabanelli la quale, per aver diffuso durante una puntata del programma televisivo Report un documentario avente come oggetto la realtà della corruzione e delle violazioni dei diritti umani in Azerbajgian, è stata immediatamente iscritta nel registro delle “persone non gradite” e bandita permanentemente dall’entrare nel territorio del Paese.

Tutto sommato, però, la Gabanelli può ancora considerarsi fortunata rispetto a quanto ha rischiato, e rischia ancora, ma per ragioni diverse, il viaggiatore, blogger e giornalista dalla doppia cittadinanza russa e israeliana Aleksandr Valerievich Lapshin. Nel suo caso non c’entrano nulla report giornalistici su corruzione e violazione dei diritti umani, bensì il “peccato” di aver visitato in due diverse occasioni, nel 2011 e nel 2012, il territorio del Nagorno-Karabakh (Artsakh), area al centro di un conflitto che oppone l’Armenia, gli Armeni nagornini e l’Azerbajgian da 34 anni.

Si badi bene, Lapshin non è affatto la prima persona ad aver visitato quelle terre, ma ha l’aggravante di aver documentato il tutto rendendolo fruibile alla comunità degli internauti. Così facendo egli si è di fatto “preso gioco” del regime di Aliyev e, come sanno tutti coloro che sono esperti di questioni caucasiche: non c’è niente di peggio nel Caucaso di “far perdere la faccia ad un uomo”, soprattutto se egli è un uomo di potere, perché costui farà di tutto per vendicarsi e, letteralmente, “lavare l’onore nel sangue”. La magistratura azera (niente più che un’appendice del potere del clan al comando del paese) ha per anni “dato la caccia” a Lapshin chiedendo in ben 13 occasioni diverse che venisse estradato ma incontrando sempre netti rifiuti dalle autorità di altrettanti Paesi (comprensibilmente, dato che il curriculum vitae del blogger mal si concilia con quello di “un pericoloso criminale internazionale”) fino a che Aliyev ha trovato una sponda compiacente nel regime bielorusso di Aleksandr Grigorevich Lukashenko. Visti gli importanti rapporti che legano Minsk a Baku, l’autocrate bielorusso si è dimostrato ben felice di venire incontro ai desiderata del suo “collega” caucasico.

Il 15 dicembre del 2016, Lapshin, allora in visita in Bielorussia, venne arrestato dalla polizia e il 7 febbraio 2017, su ordine dell’ufficio del procuratore generale della Repubblica di Bielorussia, estradato in Azerbajgian per rispondere dei suoi “crimini” commessi contro le autorità del Paese. Interessante notare che il viaggio di sola andata per Baku del blogger russo/israeliano si sia svolto nientepopodimeno che sull’aereo personale del satrapo! Questo la dice lunga sul fatto che l’uomo forte della “Terra del Fuoco” sia letteralmente disposto “ad andare fino in fondo” sulle vicende che gli interessano e che lo toccano personalmente. Successivamente, grazie agli sforzi congiunti ed alle proteste dei governi di Russia, Israele, Armenia (e probabilmente altri ancora) Lapshin è stato rilasciato e “perdonato” ma non prima di aver subito, nella notte dell’11 settembre 2017, un attentato che per poco non gli è costato la vita mentre si trovava rinchiuso in cella d’isolamento!

Sbaglia però chi crede che la sua personale odissea si sia conclusa con il “perdono” ed il ritorno in patria! Nel febbraio del 2019 la magistratura azera ha aperto nuovamente un fascicolo giudiziario contro di lui, questa volta accusato di “screditare o umiliare l’onore e la dignità del Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian” e di “incitare apertamente contro il governo dell’AzerbaJgian” ed il 15 di dicembre dello stesso anno egli è infine sfuggito ad un tentativo di rapimento, pare orchestrato dai servizi segreti azeri con la complicità di elementi criminali appartenenti alla stessa nazionalità ma attivi in Lettonia, laddove il blogger si trovava per partecipare ad un forum sul turismo.

È interessante notare una curiosità niente affatto secondaria. Per anni l’Azerbajgian non ha lesinato sforzi nel coltivare i rapporti con lo Stato d’Israele. Anche in questo caso la parolina magica è “idrocarburi”, dato che al giorno d’oggi ormai lo Stato ebraico importa ben il 50% del petrolio di cui abbisogna proprio dall’Azerbajgian. Esistono però anche altre ragioni strategiche che hanno spinto Azeri ed Israeliani ad instaurare una proficua relazione bidirezionale (una tra queste è la collaborazione per contenere l’Iran). Questo intreccio di ragioni ha spinto molti a credere all’immagine di facciata costruita dal regime azero, e rilanciata a 360 gradi dai suoi galoppini a libro paga sparsi in ogni angolo del mondo, che l’Azerbajgian sia “il migliore amico di Israele e degli Ebrei in generale”. Eppure, basta dare uno sguardo ai titoli dei principali quotidiani azeri all’epoca delle udienze del processo contro Lapshin ed alle foto dei manifestanti locali armati di striscioni per leggervi delle invettive antisemite che nulla hanno a che fare con la supporta immagine di “tolleranza” che la satrapia caucasica pretende di “vendere” all’estero.

Sulla scia di quanto appena detto, è necessario ora parlare di un’altra spinosissima questione: il conflitto armeno-azero. Dal 1988, quando entrambi i Paesi erano ancora parte integrante dell’Unione Sovietica, l’Armenia e l’Azerbajgian si trovano in una situazione di conflitto per il possesso del territorio del Nagorno-Karabkh (Artsakh) e delle aree circostanti; conflitto complicato dal fatto che pur essendo il Nagorno-Karabakh (Artsakh) dal punti di vista amministrativo parte di quello che al tempo era la Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbajgian, gli abitanti della regione erano in maggioranza sempre stati Armeni e, a causa di tutta una serie di problematiche ereditate dalla complicata storia di quell’area, avevano sempre visto la loro appartenenza allo “stato azero” come niente più di una “imposizione coloniale” quando non un vero e proprio sopruso da parte delle autorità sia di Mosca che di Baku.

La narrazione esaustiva del conflitto del Nagorno-Karabakh non è l’argomento di questa analisi, tuttavia alcuni risvolti grotteschi devono essere necessariamente affrontati. Dal 1994 ad oggi infatti, anche a causa della necessità di contenere le spinte centrifughe da parte di altri gruppi etnici che minacciavano/minacciano di mandare in pezzi l’unità dello Stato azero, le autorità di Baku hanno portato avanti due battaglie parallele. La prima è una scientifica e metodica campagna di soppressione delle identità culturali e linguistiche al fine di promuovere una sorta di “omogenizzazione della popolazione azerbajgiana”. La seconda è una altrettanto coerente campagna di “mortificazione” del nemico armeno che a tutti i livelli istituzionali, scolastici, mediatici e chi più ne ha più ne metta, è stato e viene dipinto come il “Male Assoluto” meritevole di essere completamente estirpato da questo mondo.

La fissazione degli Aliyev padre e figlio di distruggere “tutto ciò che è armeno” è giunta sino al punto di ordinare la quasi completa cancellazione di quello che una volta era il consistentissimo patrimonio culturale armeno presente nel Paese.

Grazie ad interazioni di ogni tipo durate millenni, gli Armeni avevano lasciato importantissime tracce nella storia archeologica e nell’architettura del vicino Caucaso e dell’Azerbajgian stesso. In particolare nella regione del Naxçıvan, una delle culle del popolo armeno, il ricercatore Argam Aivazian (Armeno nativo del luogo) documentò nel corso degli anni ’80 del XX secolo l’esistenza di un ricchissimo patrimonio culturale di origine armena mediante la pubblicazione di ben 80.000 fotografie e disegni rappresentanti tra gli altri un totale (a detta dell’autore, incompleto) di 218 tra chiese, monasteri e cappelle, 41 castelli, 26 ponti, 86 siti di città e villaggi, 23.000 lapidi e, soprattutto, 4500 croci di pietra, i leggendari “khachkar”, che rappresentano forse il marchio più importante della cultura armena in ogni epoca storica. In particolare nelle vicinanze della città di Julfa esisteva un cimitero unico al mondo costituito da una “foresta” di khachkar che si ergevano a migliaia (10.000 secondo il missionario francese Alexandre de Rhodes che nel 1648 visitò l’area) in uno spiazzo situato lungo il corso del fiume Aras.

Ebbene, negli anni successivi all’indipendenza, dopo aver prima ripulito l’area dagli ultimi Armeni rimasti, ultimi eredi di una ininterrotta presenza plurimillenaria proprio come nel Nagorno-Karabakh (Artsakh), l’Azerbajgian ha sistematicamente distrutto tutte le tracce del patrimonio archeologico ed architettonico armeno presente sul proprio territorio operando un genocidio culturale persino peggiore di quello causato dall’ISIS in Siria ed Iraq o dei Talebani quando distrussero le statue dei Buddha di Bamiyan. Tra il 1998 ed il 2002, i 3000 khachkar e le 5000 lapidi che ancora si trovavano nel cimitero di Julfa (tra le quali anche alcune rarissime e preziosissime lapidi recanti il motivo armeno dell’ariete risalente al periodo pre-cristiano, introvabili in nessun altro luogo sulla Terra) vennero metodicamente abbattute, spaccate e triturate dai soldati azeri fino a che non vennero ridotte letteralmente in polvere per venire poi scaricate nel letto del fiume Aras.

Tali distruzioni si sono poi riverberate in tutti il territorio del Paese (ad eccezione ovviamente del Nagorno-Karabakh!) tanto che oggi le uniche due chiese armene ancora in piedi in Azerbajgian sono la chiesa del villaggio di Kish (ma solamente perché nel corso della Storia essa è successivamente diventata prima una chiesa albano-caucasica e poi una chiesa georgiana, quindi è stata altro, oltre ad essere armena) e la chiesa di San Gregorio l’Illuminatore situata a Baku ma permanentemente chiusa ed oggi utilizzata come magazzino. A conoscenza dell’autore vi sono poi le rovine di una chiesa situate nella cittadina di Madrasa, le rovine dilapidate del monastero di Targmanchats e quelle altrettanto derelitte del monastero di San Sarkis sul monte Gag.

Purtroppo la propaganda di Stato è andata ben oltre questo, instillando un odio feroce non solo contro i simboli “dell’armenità” ma anche nei confronti degli Armeni in quanto esseri umani, e ciò ha avuto esiti in alcuni casi assolutamente scabrosi. Un esempio che vale quanto mille libri di testo è il caso di Ramil Safarov, ufficiale azero che il 18 di febbraio del 2004, mentre partecipava a Budapest ad un corso organizzato dalla “Partnership for Peace” della NATO uccise a sangue freddo nel sonno il Tenente Gurgen Margaryan dell’esercito armeno infliggendogli non meno di 16 colpi utilizzando un’ascia. Quando, dopo 8 anni, Safarov venne trasferito dalle autorità ungheresi per servire il resto del suo ergastolo nel Paese nativo, Ilham Aliyev non trovò niente di meglio da fare che perdonarlo e nominarlo eroe nazionale!

Ma la cosa non dovrebbe sconvolgere più di tanto dato che l’Azerbajgian è, a conoscenza dell’autore, l’unico Paese al mondo che discrimina l’ingresso da parte dei cittadini stranieri su base etnica. Esiste infatti una norma che vieta espressamente l’ingresso nel territorio della satrapia del Caspio a qualsiasi individuo di sesso maschile o femminile di qualunque nazionalità che abbia origine armena. La cosa che è necessario sottolineare più e più volte è che tale divieto non riguarda solamente “i cittadini della Repubblica d’Armenia” (tale atteggiamento sarebbe anche comprensibile, essendo i due Paesi in guerra), ma coinvolge tutti e 12 i milioni di Armeni che vivono su questa Terra anche se non hanno mai visitato l’Armenia in vita loro e si sono sempre tenuti lontani dal conflitto del Nagorno-Karabakh (Artsakh).

Certo, un lettore non attento sarebbe tentato di creare un parallelismo tra questo divieto e quello esistente nel mondo arabo-islamico laddove diversi paesi non permettono ai cittadini di Israele di viaggiare entro i loro confini, non riconoscendo l’esistenza dello “Stato ebraico”. Eppure il divieto da parte di questi Paesi riguarda solamente i cittadini di Israele (per altro non tutti Ebrei), ma non si estende ad ogni singolo Ebreo vivente su questa Terra!
Ecco perché l’atteggiamento da parte del regime di Baku rappresenta la quintessenza della malignità e non trova alcuna giustificazione razionale se non quella di creare apposta un clima tale per cui tutti gli azeri stanno venendo scientemente trasformati in macchine d’odio viventi incapaci di provare alcun tipo di empatia nei confronti degli armeni e che non avrebbero poi remore a portare a compimento qualsiasi disegno genocida che Aliyev e la sua cricca di potere ordinerebbero loro di fare.

Si dice spesso che la politica e la geopolitica sono “l’arte del possibile” e che l’unica cosa che conta nel ring delle relazioni internazionali è la tutela degli interessi nazionali. Essendo io personalmente un fautore della visione “realista” nel campo delle relazioni internazionali, non trovo assolutamente niente di sbagliato in questa impostazione tuttavia una domanda è assolutamente necessario porsela in questa situazione.

Se questo è l’Azerbajgian (e su queste righe io ho solamente grattato la superficie!), e non la versione da operetta che la maggior parte dei nostri media propagandano sapendo di mentire, che tipo di garanzie di lungo periodo ha l’Italia nel legarsi ad un Paese simile, per altro migliore amico delle Turchia, la quale ho già descritto infinite volte come una minaccia strategica nel lungo periodo per noi, trasformandolo per altro nel nostro principale fornitore di energia quando coloro che stanno al potere sia a Baku che ad Ankara possono utilizzare in ogni momento tale arma per strozzarci e sottometterci al loro volere?

Questo è un punto fondamentale perché non siamo parlando della pacifica e neutrale Svizzera ma di un regime sanguinario con velleità espansionistiche legato a doppia mandata ad un regime altrettanto cialtronesco che controlla un importantissimo paese della NATO ed entrambi attuano una spregiudicata quanto imprevedibile politica estera che rischia di destabilizzare il mondo ad un livello se possibile ancora superiore rispetto persino alla tanto vituperata Russia.

Parafrasando le parole di Socrate: “Conosci il tuo nemico. Se non lo conosci, vuol dire che non conosci nemmeno te stesso. E allora non permetterti poi di rimanere sorpreso”.

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