Al Meeting di Rimini una mostra racconta la vita nei lager

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Al Meeting dell’Amicizia tra i popoli, in svolgimento a Rimini, lo spazio dedicato alle mostre è sempre stato ben curato e ben documentato; per questo richiama l’interesse dei visitatori. E tra le mostre allestite quest’anno, quella da non perdere racconta storie di persone che hanno trascorso parte della vita nei lager senza perdere la dignità: ‘Uomini nonostante tutto. Storie da Memorial’, curata dalla Fondazione Russia Cristiana e dall’Associazione Memorial.

La mostra, suddivisa in cinque sezioni, nasce da due percorsi espositivi realizzati negli ultimi anni a Mosca da Memorial sulla base dei propri archivi e collezioni museali: il primo, dedicato alle lettere che i padri scrivevano ai figli e alle famiglie dai lager; il secondo, sull’universo femminile nei lager, sui piccoli oggetti (ricami, disegni, pupazzetti), che le madri in lager confezionavano per i figli, nel disperato tentativo di mantenere vivo un legame che a causa del passare degli anni e della propaganda del regime sembrava inesorabilmente destinato a spezzarsi.

Attraverso queste corrispondenze e questi oggetti (a volte poveri, ingenui, a volte testimoni di una sorprendente creatività) emergono storie straordinarie di umanità, amicizia, di dolore e di verità, che documentano la passione per l’uomo che si conserva nelle più intime fibre della persona. In ogni sezione si alternano ‘voci’ che sottolineano le condizioni disumane, volte appunto a umiliare, annichilire la persona, ed altre che parlano della dignità riconquistata, che consente di restare uomini.

Per comprendere meglio la mostra abbiamo chiesto alla prof.ssa Giovanna Parravicini (ricercatrice della fondazione ‘Russia Cristiana’ e specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa) di spiegare l’attualità di mons. Giussani per il mondo dell’Europa orientale:

“Don  Giussani ha sempre sentito il mondo ortodosso come parte ineliminabile dell’esperienza  e della testimonianza cristiana di fronte al mondo. In un mondo diviso, ha sempre fatto riferimento a un’unità che ci precede e ci abbraccia insieme, ‘Cristo tutto in tutti’.

Questo è stato di immensa importanza sia nel lavoro di sostegno alle comunità della ‘Chiesa del silenzio’ negli anni del comunismo, sia nel lavoro che successivamente abbiamo intrapreso in Russia, collaborando con varie strutture ecclesiastiche e culturali, in particolare attraverso l’operato del Centro ‘Biblioteca dello spirito’ a Mosca.

La sua indicazione, infatti, ci ha aiutato a porci in un atteggiamento di fraterna apertura ad accogliere la ricchezza del mondo orientale e a proporgli i doni della nostra tradizione.

Quest’esperienza di unità, che nasce nell’io e si riverbera in tutti gli aspetti del vivere, giungendo fino al giudizio storico, alla politica e all’economia, è di estrema importanza oggi, in un momento così conflittuale, in cui talvolta le gerarchie ecclesiastiche, nei Paesi dell’Est Europa, non rappresentano più delle guide spirituali affidabili agli occhi dei fedeli. La centralità di Cristo dona respiro alla persona e consente di guardare con fiducia e misericordia alla Chiesa”.

Cosa è per mons. Giussani il senso religioso?

“E’ il sentimento umano universale, che caratterizza l’umanità di sempre, e che le consente poi di percepire la risposta data da Dio all’uomo mediante l’Incarnazione. La grandezza umana sta proprio in questo presentimento della realtà come mistero più grande di ciò che gli altri sensi possono analiticamente cogliere: un mistero che nel cristianesimo assume il volto storico di Gesù Cristo.

Per questo don Giussani riusciva a percepire e a far rilevare la profondità di autori come Leopardi, Pavese, Pasolini, Grossman – per non fare che pochi nomi: ‘esperti di umanità’ nel loro travaglio esistenziale e artistico”.

Perché una mostra con l’associazione Memorial?

“Sottolineo che la mostra non è su Memorial (anche se nella sezione introduttiva se ne parla, come della prima associazione libera e indipendente nata dalla società civile in Russia, agli albori della perestrojka, e liquidata da Putin nel dicembre scorso), ma propone storie e testimonianze presentate negli ultimi anni da Memorial attraverso alcune esposizioni.

Oggi gli archivi e il museo di Memorial, raccolti grazie al contributo di migliaia di persone che hanno consegnato lettere, documenti, oggetti conservati negli archivi familiari, sono sotto sequestro. Grazie a Dio erano stati in gran parte digitalizzati, e quindi è stato possibile organizzare la mostra”.

Allora come si struttura la mostra?

Il titolo della mostra è ‘Uomini nonostante tutto’. Articolata in quattro sezioni, la mostra racconta della capacità della persona di restare se stessa, di mantenere vivi, anche negli anni dello stalinismo, anche nel contesto del Grande Terrore con le sue fucilazioni e i suoi arresti di massa – i rapporti familiari, gli interessi culturali, il senso della dignità e della libertà interiore.

Tutto questo è documentato attraverso memorie dai lager, attraverso la corrispondenza fra i detenuti e le loro famiglie, attraverso i piccoli manufatti (pupazzetti, camicine, centrini, scatoline), che le madri confezionavano nei lager, ingegnandosi a trovare materiali pressoché irreperibili per far avere ai figli un segno del loro struggente affetto.

Piccoli reperti che ci spalancano l’orizzonte su storie cariche di dolore e di umanità. Ci sono alcuni video (molto forti) con il racconto dell’arresto della madre, ad esempio, e ancor più drammaticamente dell’incontro con lei a distanza di anni: un’estranea in cui i figli non riuscivano più a ritrovare il volto familiare del passato…

Una mostra che non fa sconti, da cui non possiamo aspettarci un facile ‘lieto fine’, ma che paradossalmente ci aiuta a scoprire la dimensione della misericordia, del perdono, come la più corrispondente alla natura umana. In questo, mi sembra, sta la straordinaria attualità del suo messaggio”.

 Cosa è Memorial?

“Memorial nasce agli inizi della perestrojka, per esprimere una profonda esigenza della società civile: ritrovare la memoria del proprio passato, ridare un nome, un volto ai milioni di vittime del regime, di cui i familiari continuavano ad ignorare la data e le circostanze della morte, il luogo di sepoltura.

Suo presidente è stato inizialmente Andrej Sacharov, celebre fisico premio Nobel per la pace. Dopo la sua morte, subentra Arsenij Roginskij, storico, dissidente, ex detenuto di coscienza. Oltre al lavoro di ricerca negli archivi, di raccolta e catalogazione di documenti e materiali, Memorial sviluppa anche un’attività culturale e formativa nei confronti della società: ad esempio, si fa promotore di una giornata annuale in cui vengono letti pubblicamente tutti i nomi delle vittime delle repressioni;

contribuisce a porre lapidi sul luogo delle fosse comuni che vengono man mano scoperte dagli anni ’90 o sulle case di arrestati e giustiziati (in genere poi riabilitati per assenza di reato); organizza per anni un concorso sulla storia del XX secolo per le scuole medie e superiori; promuove la difesa dei diritti umani laddove vengono calpestati (guerre in Cecenia, giornalisti uccisi, il caso Naval’nyj, il caso Dmitriev…)”.

(Tratto da Aci Stampa)

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