La Giornata del Creato invita alla conversione

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Oggi si celebra la 17^ Giornata mondiale di preghiera  per la cura del Creato e papa Francesco nel messaggio sottolinea l’importanza della preghiera come ascolto del Creato, incoraggiando ad una conversione, come anche i santi papi Giovanni Paolo II e Paolo VI avevano caldeggiato :

“E’ un momento speciale per tutti i cristiani per pregare e prendersi cura insieme della nostra casa comune. Originariamente ispirato dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, questo tempo è un’opportunità per coltivare la nostra ‘conversione ecologica’, una conversione incoraggiata da san Giovanni Paolo II come risposta alla ‘catastrofe ecologica’ preannunciata da san Paolo VI già nel 1970 . Se impariamo ad ascoltarla, notiamo nella voce del creato una sorta di dissonanza. Da un lato, è un dolce canto che loda il nostro amato Creatore; dall’altro, è un grido amaro che si lamenta dei nostri maltrattamenti umani”.

Come  già accennato nell’enciclica ‘Laudato sì’ papa Francesco invita ad una ‘spiritualità ecologica’: “In questo Tempo del Creato, riprendiamo a pregare nella grande cattedrale del creato, godendo del ‘grandioso coro cosmico’ di innumerevoli creature che cantano le lodi a Dio. Uniamoci a San Francesco d’Assisi nel cantare: ‘Sii lodato, mio Signore, con tutte le tue creature’. Uniamoci al Salmista nel cantare: Ogni vivente dia lode al Signore!”.

Però il canto al creato non deve far dimenticare il grido dei poveri: “Purtroppo, quella dolce canzone è accompagnata da un grido amaro. O meglio, da un coro di grida amare. Per prima, è la sorella madre terra che grida. In balia dei nostri eccessi consumistici, essa geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione. Poi, sono le diverse creature a gridare…

Ma sono anche i più poveri tra noi a gridare. Esposti alla crisi climatica, i poveri soffrono più fortemente l’impatto di siccità, inondazioni, uragani e ondate di caldo che continuano a diventare sempre più intensi e frequenti. Ancora, gridano i nostri fratelli e sorelle di popoli nativi…

Infine, gridano i nostri figli. Minacciati da un miope egoismo, gli adolescenti chiedono ansiosi a noi adulti di fare tutto il possibile per prevenire o almeno limitare il collasso degli ecosistemi del nostro pianeta”.

Nel messaggio il papa fa riferimento anche al cambiamento climatico: “Si tratta di ‘convertire’ i modelli di consumo e di produzione, nonché gli stili di vita, in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e dello sviluppo umano integrale di tutti i popoli presenti e futuri, uno sviluppo fondato sulla responsabilità, sulla prudenza/precauzione, sulla solidarietà e sull’attenzione ai poveri e alle generazioni future”.

Tale ‘conversione’ è un impegno che coinvolge tutti: “Ciò comporta, oltre a un’azione determinata all’interno dei loro confini, di mantenere le loro promesse di sostegno finanziario e tecnico per le nazioni economicamente più povere, che stanno già subendo il peso maggiore della crisi climatica.

Inoltre, sarebbe opportuno pensare urgentemente anche a un ulteriore sostegno finanziario per la conservazione della biodiversità. Anche i Paesi economicamente meno ricchi hanno responsabilità significative ma ‘diversificate’; i ritardi degli altri non possono mai giustificare la propria inazione.

E’ necessario agire, tutti, con decisione. Stiamo raggiungendo ‘un punto di rottura’. Durante questo Tempo del Creato, preghiamo affinché i vertici COP27 e COP15 possano unire la famiglia umana”.

Mentre la Cei prende lo spunto del prossimo Congresso Eucaristico nazionale a Matera per sottolineare il ‘gusto del pane’, dono della natura: “Ogni pezzo di pane arriva da lontano: è un dono della terra. E’ lei che ha prodotto il grano. Il contadino lo sa: ara, prepara il terreno, semina, irriga, miete… ma non è lui a produrre quei chicchi dorati…

E quand’anche i ritrovati della tecnica soppiantassero la sapienza contadina e i talenti artigianali, il pane continuerebbe a parlarci della sua identità più profonda: quello di essere un’offerta della terra, da accogliere con gratitudine”.

Il pane rimanda all’istituzione dell’eucarestia: “Gesù stesso, Pane vero, si fa ‘sacrificio’, lasciandosi spezzare, affinché l’uomo e l’intero cosmo ritrovino un’armonia possibile e siano insieme trasfigurati nel frutto della redenzione. Gesù si fa dono, abilitando ciascuno di noi a spendersi per custodire la terra, per prendersi cura di un’umanità sofferente”.   

E questa istituzione invita a ringraziare: “Siamo tutti a rischio di diventare come colui a cui è stato condonato un debito abnorme (10.000 talenti) ma, a sua volta, è incapace di fare grazia a chi gli doveva una quantità irrisoria di denaro… Più che ingiusto è stato ingrato.

Chi non è grato non è misericordioso. Chi non è grato non sa prendersi cura e diventa predone e ladro, favorendo le logiche perverse dell’odio e della guerra. Chi non è grato diventa vorace, si abbandona allo spreco, spadroneggia su quanto, in fondo, non è suo ma gli è stato semplicemente offerto”.

Ciò comporta un ingiusto accaparramento: “Chi non è grato, può trasformare una terra ricca di risorse, granaio per i popoli, in un teatro di guerra, come tristemente continuiamo a constatare in questi mesi. Una guerra che distrugge la terra e limita la distribuzione del cibo. Siamo tutti a rischio di divenire ingrati e rapinatori; ingrati ed ingiusti. E questo verso la creazione, la società umana e Dio”.

Il secondo gesto è la divisione: “Prendere il pane, spezzarlo e condividerlo con gratitudine ci aiuta, invece, a riconoscere la dignità di tutte le cose che si concentrano in un frammento così nobile:

la creazione di Dio, il dinamismo della natura, il lavoro di tanta gente: chi semina, coltiva e raccoglie, chi predispone i sistemi di irrigazione, chi estrae il sale, chi impasta e inforna, chi distribuisce.

In quel frammento c’è la terra e l’intera società. Ci fa pensare anche a chi tende inutilmente la sua mano per nutrirsi, perché non incontra la solidarietà di nessuno, perché vive in condizioni precarie: c’è qualcuno che attende il nostro pane spezzato”.

E nelle celebrazioni eucaristiche la liturgia offre questa visione: “In particolare, spezzare il pane la domenica, Pasqua della settimana, è per i cristiani rinnovamento ed esercizio di gratitudine, per apprendere a celebrare la festa e tornare alla vita quotidiana capaci di uno sguardo grato”.

Ultimo gesto è la condivisione di un banchetto: “Mangiare con altri significa allenarsi alla condivisione. A tavola si condivide ciò che c’è. Quando arriva il vassoio il primo commensale non può prendere tutto. Egli prende non in base alla propria fame, ma al numero dei commensali, perché tutti possano mangiare.

Per questo mangiare insieme significa allenarsi a diventare dono. Riceviamo dalla terra per condividere, per diventare attenti all’altro, per vivere nella dinamica del dono. Riceviamo vita per diventare capaci di donare vita…

La condivisione così può diventare stile di cittadinanza, della politica nazionale e internazionale, dell’economia: da quel pane donato può prendere forma la civiltà dell’amore”.

Mentre i vescovi europei sottolineano  nel loro messaggio la possibile distruzione del pianeta: “E’ preoccupante, inoltre, il fatto che gli studiosi stiano già ipotizzando il passaggio dalla nostra epoca (antropocene) a quella successiva, alla quale hanno già dato il nome di ‘pirocene’, i cui effetti sono già visibili, se si considera che le emissioni di CO2 hanno raggiunto livelli che il pianeta non conosceva da ben più di 3.000.000 di anni”.

E’ un effetto causato anche dalle guerre: “A tutto questo va aggiunto l’enorme, e forse ancora incalcolabile, danno all’ambiente provocato dai conflitti bellici in atto in Ucraina come in altre aree del pianeta.

Già negli anni ’60 del secolo scorso fu coniato il termine ‘ecocidio’, proprio a seguito della campagna militare in Vietnam, e da allora l’attenzione agli effetti delle guerre sull’ambiente è cresciuta.

Non bisogna dimenticare il pesante inquinamento atmosferico provocato dall’incendio degli impianti petroliferi in Kuwait durante la Guerra del Golfo (1990-1991), e le guerre in Yemen e Siria con le contaminazioni del suolo e dei corsi d’acqua. Gli esperti ucraini, al momento, stimano che gli effetti a lungo termine di questo conflitto potranno provocare tumori, malattie respiratorie e ritardo nello sviluppo dei bambini”.

Però non bisogna rinunciare alla speranza invitando ciascuno alla responsabilità: “Ma, se la mano dell’uomo è la causa principale di questo stato di cose, fa anche ben sperare che la stessa mano può porre un limite a tutto questo.

Ed è qui che assume grande importanza il messaggio del Santo Padre Francesco: non una pia esortazione, ma una vera e propria sfida lanciata ai potenti della terra e ai responsabili delle singole nazioni (ricche o povere che siano), ciascuno per la propria parte; come anche l’appello ad atteggiamenti di conversione che siano concreti da parte di tutti i cristiani, per essere noi quella mano capace di porre un freno ad una distruzione annunciata”.

(Foto: CCEE)

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