100 anni di don Luigi Giussani al Meeting

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“Questo mistero non finisce mai di stupirci, come proprio Don Giussani testimoniò alla presenza di san Giovanni Paolo II il 30 maggio 1998: ‘Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?’ Nessuna domanda mi ha mai colpito, nella vita, così come questa. C’è stato solo un Uomo al mondo che mi poteva rispondere, ponendo una nuova domanda: ‘Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà se stesso? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio di sé?… Solo Cristo si prende tutto a cuore della mia umanità’.

Così papa Francesco ha scritto nel messaggio ai partecipanti al  Meeting dell’Amicizia tra i popoli, in corso a Rimini, incentrato su una frase che mons. Luigi Giussani pronunciò proprio qui nel 1985 sul senso educativo, che papa Francesco ha evidenziato:

“E’ questa passione di Cristo per il destino di ciascuna creatura che deve animare lo sguardo del credente verso chiunque: un amore gratuito, senza misura e senza calcoli… 

Una persona non può fare da sola il cammino della scoperta di sé, l’incontro con l’altro è essenziale. In questo senso, il buon samaritano ci indica che la nostra esistenza è intimamente connessa a quella degli altri e che il rapporto con l’altro è condizione per diventare pienamente noi stessi e portare frutto”.

E’ proprio tale passione educativa che ha permesso a mons. Giussani ad amare, come ha affermato il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, nell’omelia della concelebrazione eucaristica: “L’esistenza di una porta, e per di più stretta, infastidisce uomini come noi, allettati dal facile e dal rapido, convinti di avere diritto a tutto senza sacrificio, perdendosi davanti alle prime difficoltà.

Gesù per primo passerà per la porta stretta del non salvare se stesso, di bere il calice e di amare fino alla fine. E’ la porta che passa chi ama, chi ha una passione per cui ‘l’istante non è più banalità’, per chi non vuole ‘vivere inutilmente’, come diceva Giussani. La passano i piccoli, i peccatori, i mendicanti della vita, i sognatori che non si arrendono al vuoto dell’amore e alla depressione escatologica, cioè al vivere senza speranza”.

Il porporato ha fatto un ricordo personale di don Giussani: “Di Giussani ricordo la passione, il desiderio di incontro con l’altro, qualcosa di inesauribile… Aveva una grande attenzione all’altro: l’incontro non era mai ripetitivo, ma creativo, sempre nuovo. Don Giussani era una presenza viva, mai lontana dalla concretezza della vita. Per questo era credibile”.

Don Giussani sapeva alimentare la passione in un incontro generativo: “Si dice che la mia sia la generazione delle passioni tristi; le passioni tristi sono quelle piene di agitazione per l’io, alla fine individualiste e ora con una grande amplificazione digitale.

La passione per l’uomo, al contrario, fa trovare me stesso perché incontro gli altri. L’incontro deve essere sempre generativo. Uscire dalle passioni tristi e dall’individualismo per trovare se stessi insieme agli altri: questa è la passione per l’uomo”. 

Quindi don Giussani è stato il più grande educatore del ‘900, secondo la definizione di Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e liberazione: “Un vero educatore non è un angelo; ed infatti lui stesso si definiva ‘mendicante’ perché l’educatore mendica il compimento della propria umanità nell’umanità del figlio; questo è il senso più profondo della parola ‘comunione’ che don Giussani ci ha insegnato a vivere!”

Don Luigi Maria Epicoco, assistente ecclesiastico del Dicastero per la comunicazione ed editorialista dell’Osservatore Romano, ha sostenuto l’impossibilità di ‘imprigionare’ lo Spirito Santo in una casella e quindi “non c’è una formula che descriva un uomo attraversato dallo Spirito… Nei suoi testi non ci sono ragionamenti astratti ma si ha sempre la sensazione che abbia gli occhi negli occhi di qualcuno. Giussani sapeva che la priorità di un educatore è ascoltare”.

Secondo don Epicoco “quando leggi Giussani non leggi una persona che fa ragionamenti in astratto, ma hai sempre la sensazione che si stia rivolgendo a qualcuno. La sua è sempre la scrittura con gli occhi negli occhi di qualcuno. Non è banale: come Chiesa spesso ci siamo rinchiusi in grandi narrazioni che funzionano in astratto, ma non sanno dare del ‘tu’ alla gente”.

Giussani educatore è stato un maestro dell’ascolto: “Abbiamo l’ansia di porre subito la risposta, mentre educare non è tanto rispondere a delle domande, ma aiutare le persone a farsi bene la domanda. Don Giussani è un radicale perché porta le questioni alla loro radice più profonda”.

Quindi il cristianesimo narrato da don Giussani ha solide basi ermeneutiche, come ha ricordato Giulio Maspero, professore ordinario di Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università della S. Croce: “Il suo modo di fare teologia protegge dalla tentazione di farne un idolo, perché il significato delle parole che ci ha lasciato è sempre in una trama relazionale.

Se le parole sono solo mie e le capiamo solo tra noi, tradiamo la paternità che ci ha generato. Invece, Giussani è padre in questo senso: non è ‘accademico’ ma ci propone un metodo come i padri della Chiesa. Il teologo è chi più degli altri sa immaginare come è Dio partendo dalle tracce che lascia nella storia e Giussani ‘becca’ il punto più profondo: la tensione tra finito (il nostro cuore) ed (Infinito) che il cuore desidera”.

Quindi la ‘teologia’ di don Giussani è basato sull’ascolto di Dio attraverso il suo popolo, come ha argomentato Alberto Cozzi, professore di Teologia Sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e membro della Commissione internazionale teologica:

“Il carisma di Cl è annunciare con entusiasmo questo Dio fatto uomo. Lui ci lascia una antropologia della fede, una vigilanza su possibili riduzioni e la preoccupazione della centralità dell’incontro con Cristo…

L’antropologia della fede di don Giussani, al contrario, ricorda che c’è un avvenimento nella vita in cui ti accorgi di essere uomo e te ne accorgi perchè nelle esperienze cogli dei segni che rimandano al Mistero. Essi convocano il tuo io, come soggetto irripetibile, e capisci che lì ti aspetta Dio”.

Ma il pensiero teologico di don Giussani è aperto anche al dialogo interreligioso, che al conflitto tra civiltà, postulato dallo storico Samuel Huntington, preferisce l’incontro, come ha sottolineato il Segretario generale della Lega musulmana mondiale, Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa: “Anche i musulmani lo hanno celebrato, perché nell’Islam c’è questo detto: la saggezza è la meta smarrita di ogni credente. Nel momento in cui la trova ne diventa degno”.

Alla tentazione nichilista, contro cui metteva in guardia don Giussani, Al-Issa ha contrapposto l’alleanza tra le civiltà: “La fede nell’uomo non cancella la ragione, ma ne rispetta i valori. Giussani ci aiuta a illuminare le menti confuse che hanno perso i valori umani condivisi, senza i quali il mondo non potrà mai vivere in pace”.

(Tratto da Aci Stampa)

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