Vaticano, il problema non è solo la lobby gay

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“Spiacente, ci aspettiamo di più da questo Papato”, aveva commentato acidamente Thomas Reese, dalla colonne del National Catholic Reporter. L’occasione era la nomina di una pontificia commissione referente sullo IOR, l’Istituto delle Opere di Religione. Una nomina che appariva, alla firma del cattolicesimo progressista americano, come “il tradizionale approccio vaticano di fronte ai problemi”. Ovvero, di nominare una commissione, quasi tutta di interni, senza alcuna esperienza con la materia in questione. Ora Papa Francesco ha nominato un’altra commissione, completamente di esterni, per vedere come razionalizzare spese e competenze delle oltre 37 amministrazioni vaticano. Il nodo della questione, non è se le persone provengano dall’interno o dall’esterno. È comprendere quanto queste siano in grado di dare una vera svolta all’istituzione vaticana oppure no.

C’è così un Vaticano a due velocità. Da una parte, si prosegue con l’operazione di puntellare lo Stato di Città del Vaticano e di rinforzare il ruolo internazionale della Santa Sede. Dall’altra, Papa Francesco utilizza il metodo delle commissioni per cercare una soluzione agli annosi problemi interni. Con la  prima velocità, il Vaticano si apre al mondo, diventa uno Stato moderno, ma mantiene le sue peculiarità.  Con la seconda, il Vaticano si chiude in se stesso e sui suoi problemi, chiamando “dottori” da fuori per farsi diagnosticare il suo male. Non è detto, però, che questi dottori siano in grado di guarire il Vaticano. Perché il rischio è che piuttosto lo indeboliscano. Lasciando spazio a una serie di personalità dalla carriera specchiata, è vero. Ma legate comunque alle altre istituzioni.

Non c’è solo la lobby gay. È un mondo di centri di potere, quello che ruota intorno alla Santa Sede. Tutti, in fondo, vogliono mettere le mani sul Vaticano. Il rischio, però, è quello di dare troppo peso ai gruppi di pressione e poco all’istituzione. Di guardare più alle personalità che vengono suggerite che alla necessità di inserirle in una struttura forte e con un chiaro quadro legislativo.

È tutta fatta di personalità dalla grande carriera la commissione referente per la struttura economico-amministrativa della Santa Sede. Papa Francesco l’ha voluta formata da sette laici, tutti esterni al Vaticano, e un ecclesiastico. Chi ha suggerito quei nomi?

Ci sono due revisori dei conti internazionali che già prestano servizio in Vaticano (Joseph F.X. Zahra e Jochen Messmer); l’ex presidente della European Fund and Asset Management Association  Jean Baptiste Frannsu; un uomo con esperienze nel management sanitario come Enrique Llano, e un manager come Jean Videlain-Sevestre; un ex ministro di Singapore, Jeorge Yeo.

L’ecclesiastico è Lucio Angel Vallejo Balda, che è anche numero due della Prefettura degli Affari Economici. Quando hanno visto il suo nome, alcuni hanno storto il naso, perché in Vaticano non gode ovunque di altissima reputazione. È detto vicino all’Opus Dei.

Ed si dice sia  una devota di Escrivà di Balaguer anche Francesca Immacolata Chaouqui, l’unica donna degli otto. Responsabile della  comunicazione di Ernst & Young, parte della fondazione VeDrò (quella del premier italiano Enrico Letta), Chaouqui non ha mai nascosto il suo amore per Papa Francesco e la sua disistima per il vecchio establishment vaticano. Tutti tranne uno: Ettore Gotti Tedeschi, il banchiere chiamato a presiedere il Consiglio di Sovrintendenza dello IOR e sfiduciato dal suo stesso consiglio.

La sfiducia ad Ettore Gotti Tedeschi rappresenta uno snodo fondamentale delle vicende vaticane. Al di là delle modalità (piuttosto rudi) con la quale la sfiducia è stata messa in atto, l’allontanamento di Ettore Gotti Tedeschi rappresenta la fine dell’epoca degli uomini del compromesso, a metà tra il confine italiano e quello vaticano.

Erano uomini che non erano più in linea con la storia. Sotto Benedetto XVI, la Santa Sede aveva avviato un percorso diverso e moderno: era entrata in MONEYVAL, il comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza dei Paesi membri agli standard internazionali sull’antiriciclaggio. Aveva, cioè, deciso di stare nel concerto delle nazioni, avviando rapporti multilaterali, rafforzando il ruolo della Santa Sede nel mondo. E presto ci sarà una ulteriore riforma della legge antiriciclaggio, che proietterà ancora di più la Santa Sede sullo scacchiere internazionale, con un sistema peculiare e trasparente.

Non sarebbe avvenuto seguendo il vecchio paradigma. E’ stata  una scelta di rara modernità, quella di affidarsi ad una valutazione terza ed esterna, ma mantenendo una struttura forte e moderna dello Stato.

Era questa la velocità di Benedetto XVI. Il quale aveva avviato anche la riforma del codice penale vaticano che è poi stata firmata da Papa Francesco. Perché puntellare uno Stato con il diritto significa fare in modo che non diventi poco meno di una banda di briganti.

Seguendo questo principio, quando venivano chiamati degli esperti esterni, venivano inseriti nell’organigramma vaticano. René Bruelhart, ora direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria, è entrato in Vaticano come consultore ad hoc per l’antiriciclaggio. In fondo, la Santa Sede da sempre ha avuto i suoi esperti esterni, quei consultori di cui è dotata ogni congregazione e ogni pontificio consiglio, persone che mettono la loro professionalità ed esperienza esterna al servizio della Santa Sede.

Ma la tendenza all’outsourcing viene da lontano. Per esempio, non sono bastati i consultori e i consulenti usuali per scegliere il successore di Ettore Gotti Tedeschi alla guida dello IOR.  C’è voluta piuttosto una lunga selezione affidata ad una società di “cacciatori di teste”, che hanno individuato il profilo “giusto” e lo hanno proposto al Consiglio di Sovrintendenza e alla Commissione Cardinalizia di vigilanza. La scelta è caduta su Ernst von Freyberg, un manager dall’esperienza internazionale proveniente dai Cavalieri di Malta che probabilmente sarebbe stato scelto anche senza la consulenza di esperti interni che hanno setacciato struttura e funzionamento dello IOR.

Una volta insediatosi, von Freyberg ha avviato una forte campagna di immagine,  scegliendo un suo portavoce personale. E poi, quando lo IOR è stato coinvolto nello scandalo di monsignor Scarano, il funzionario dell’APSA che è accusato di aver usato l’istituto per fare riciclaggio, ha di fatto chiamato a fianco a sé gli esperti USA della Promontory Financial Group, una società di revisione dei conti nota negli USA per aver consigliato anche la Bank of America (non senza essere incorsa in alcune critiche). Mentre la Promontory passa al setaccio i conti dello IOR, un loro funzionario, Antonio Montaresi, viene assunto da von Freyberg come “chief risk officer”. Non c’è il rischio di un conflitto di interessi? Non si teme una colonizzazione del Vaticano da parte degli esperti esterni?

È così che nascono le lobby, i piccoli gruppi di pressione. Non c’è solo la lobby gay.

Quando furono chiamati i consulenti esterni per stilare la legge antiriciclaggio (“e sottolineo consulenti, e sottolineo esterni”, aveva detto con forza Ettore Balestrero, allora sottosegretario per i Rapporti con gli Stati vaticani, nel presentare il rapporto di MONEYVAL), si mise su un impianto di legge in cui il ruolo della Segreteria di Stato era quasi inesistente. Quasi come se il Vaticano dovesse solo mantenere rapporti di buon vicinato, come un’azienda che dialoga con i governi. E’ questo il limite dei consulenti. Che possono dare consigli “aziendali” e organizzativi, ma che possono rischiare di perdere di vista il fatto che Santa Sede e Stato di Città del Vaticano sono uno Stato sovrano, con delle peculiarità precise che servono alla missione.

Per questo,  per fare un esempio, Benedetto XVI aveva scelto di riformare la Prefettura degli Affari Economici, con un nuovo regolamento  in cui le venivano affidati compiti da moderno ministero delle Finanze, piuttosto che affidarsi a dei revisori esterni, dietro le cui nomine si possono creare gli spazi vuoti dove si inseriscono i gruppi di pressione.

Cosa sarà ora di questa riforma? Verrà spazzata via dal ruolo dei consulenti esterni? Sarà una logica “aziendale” quella che si impossesserà del Vaticano?

Alcuni segnali di una colonizzazione aziendale ci sono. Il Grupo Santander, di proprietà della famiglia Botin (Opus Dei), sta preparando dei corsi di formazione in campo economico per il personale amministrativo della Prefettura. E c’era un rappresentante del gruppo al seminario organizzato dalla Prefettura a giugno per discutere il nuovo regolamento e proporre uno scambio di informazioni tra esperti amministrativi, per creare forme di collaborazione tra uffici e responsabili vaticani del settore. Una presenza che sta a significare un nuovo protagonismo del Santander in Vaticano, dopo il periodo di appannamento seguito alla cacciata di Gotti Tedeschi, che era anche un top manager della banca di Botin in Italia.

Il problema viene comunque da lontano. Addirittura, tempo fa venne ventilata l’idea di nominare nunzi apostolici dei laici. Non era sempre possibile. Il nunzio deve essere un vescovo, anche perché è coinvolto nella scelta e nella selezione dei candidati all’episcopato. Ma ci sono i nunzi inviati presso le organizzazioni internazionali che non devono nominare o proporre vescovi. E quel ruolo – venne affermato nei corridoi diplomatici – potrebbe essere benissimo affidato ad un laico. Che lo avrebbe potuto fare anche senza percepire uno stipendio, avendo altre fonti di reddito, sollevando la Santa Sede da un peso economico. Se ne era parlato, in quei corridoi diplomatici che puntano a far perdere vigore alla diplomazia vaticana. Perché il Vaticano è uno Stato scomodo per i governi di tutto il mondo. E se non si può ridurre il suo status a quello di una Organizzazione Non Governativa (come spesso chiesto, per depotenziarne la profezia), è meglio minarlo dall’interno.

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