La fede nel Dio uno e trino, il principio delle tenebre e il Katéchon

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Il Katéchon è il potere che tiene a freno l’avanzata dell’Anticristo prima dell’apocalisse finale e della parusia di Cristo, a cui fa riferimento 2Tessalonicesi 2,6-7: «E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene».

Oggi chi frena il potere? Il Katéchon in pensione
di Stefano Fontana
La Nuova Bussola Quotidiana, 12 giugno 2020


Il termine Katéchon è contenuto nella seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi (oltre che in altri scritti dell’antichità) e indica il contenimento o trattenimento del potere delle tenebre che, prima del ritorno di Cristo, sarà lasciato libero con la conseguente apostasia nella Chiesa e apocalittici danni nel mondo. Scopo dell’autorità politica dovrebbe essere quindi anche quello di agire come Katéchon e scopo della Dottrina sociale della Chiesa dovrebbe essere di aiutare l’autorità politica ad agire come Katéchon.

Questa visione della Dottrina sociale si è persa soprattutto da quando è emersa una visione del mondo, ossia della realtà che un tempo si chiamava secolare o profana, come qualcosa di positivo. Sul piano pastorale ciò è avvenuto con l’invito solenne di Papa Giovanni a non essere “profeti di sventura” contenuto nel discorso Gaudet Mater Ecclesia che inaugurava il Vaticano II. Nel mondo non sarebbe più operante il principio delle tenebre, ma il secolo sarebbe solo lo spazio dell’attività umana, il luogo in cui il cristianesimo incontra gli uomini. Sono note le perplessità del Cardinale Biffi o del Cardinale Siri davanti a questa visione, che però poco hanno potuto fare per correggere il percorso.

Sul piano strettamente teologico, il cambiamento decisivo e maggiormente sistematico si è avuto con la svolta antropologica di Rahner, preceduta dal personalismo cristiano in particolare e dal naturalismo politico in generale. Rahner dice che Dio si auto-comunica nella storia profana dell’umanità e la Chiesa non ha diritto a nessuna primogenitura rispetto ad altri luoghi della rivelazione di Dio e della comunicazione della sua grazia. La storia è evolutiva e anche la vita della Chiesa è dentro questa evoluzione. Sparita la distinzione tra sacro e profano non c’è bisogno più di nessun Katéchon.

Tale posizione era stata anticipata dal personalismo cristiano, che vede la persona umana come la sintesi dell’ordinamento profano del mondo secolare e ritiene che il cristianesimo dovrebbe incontrarsi con tutte le altre tradizioni religiose e spirituali proprio su questo punto (laico) della persona. Già qui c’era in anticipo la richiesta di Rahner di non parlare più di Dio ma dell’uomo. In ambedue i casi il quadro si secolarizza, la condizione umana risulta “normale”, il peccato è una debolezza che può essere combattuta e vinta con la politica, di una azione di trattenimento (Katéchon) non c’è più bisogno.

All’origine di tutto però c’è il naturalismo, ossia l’idea che l’ordine naturale sia in grado di fare da sé, abbia una sua consistenza autonoma, una sua maturità sicché il cristianesimo non debba più portargli la salvezza dall’esterno, cosa vista come ideologica, ma debba far emergere la salvezza dal suo interno. Il naturalismo esplode soprattutto nell’età moderna a cominciare da Blondel, e quello politico con Lamennais.

Oggi assistiamo al compattamento di un potere sistematico e tentacolare che penetra ovunque. È un potere ideologico che vuole uniformare l’intero pianeta ad alcuni (falsi) principi. È un potere politico che mira ad un globalismo intollerante. È un potere ateo militante. È un potere finanziario ed economico artificiale e pianificato. È un potere post-naturale, post-umano e post-cristiano. Nella prospettiva del Katéchon la Chiesa era in prima linea nella lotta per il trattenimento di questo potere e la sua Dottrina sociale era un suo strumento. Sparito il concetto teologico di Katéchon chi combatterà più contro questo potere?

Il potere che frena (Adelphi 2013, 217 pagine)
Il saggio di teologia politica di Massimo Cacciari

Nella Seconda lettera ai Tessalonicesi, che la tradizione attribuiva a San Paolo, compare l’enigmatica figura di una potenza: il Katéchon, qualcosa o qualcuno che trattiene e contiene, arrestando o frenando l’assalto dell’Anticristo, ma che dovrà togliersi o esser tolto di mezzo – affinché l’Anticristo si disveli – prima del giorno del Signore. E l’interpretazione di quella figura è qui lo sfondo su cui si dipana una riflessione generale – in costante “divergente accordo” con la posizione di Carl Schmitt – sulla “teologia politica”, e cioè sulle forme in cui idee e simboli escatologico-apocalittici si sono venuti secolarizzando nella storia politica dell’Occidente, fino all’attuale oblio della loro origine. Con quale sistema politico può trovare un compromesso il paradossale monoteismo cristiano, la fede nel Deus-Trinitas? Con la forma del­l’impero o, invece, con quella di un potere che frena, contiene, amministra e distribuisce soltanto? Oppure occorre cercare una contaminazione tra le due? Non poche delle decisioni politiche che hanno segnato la nostra civiltà ruotano intorno a queste domande, e nell’opera di alcuni dei suoi più grandi interpreti, da Agostino a Dante a Dostoevskij, trovano una drammatica rappresentazione.

Il volume è corredato da un’antologia dei passi più significativi della tradizione teologica, dalla prima patristica a Calvino, dedicati all’esegesi della Seconda lettera ai Tessalonicesi, 2, 6-7.

Alla base della lettura politica del Katéchon – mysterium iniquitatis in 2Ts 2,6-7
di Federico Della Sala
Difendere la vera fede, 27 giugno 2014


Il Katéchon come categoria teologico-politica

Nel secolo scorso il concetto del Katéchon, potere o persona che «trattiene» il mysterium iniquitatis, è tornato come tema centrale di studi e di ricerche filosofiche. A Carl Schmitt si deve la reintroduzione del Katéchon come importante figura teologico-politica ma, in vero, il potere che trattiene ha appassionato molti studiosi tra loro profondamente differenti. Basti qui menzionare ricercatori ed intellettuali del calibro di Erik Peterson, Jacob Taubes, Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, in misura minore Martin Buber. Preso da un punto di vista più ampio, il tema del Katéchon non può essere scisso né dal mistero dell’anomia né dalla venuta escatologica dell’Anti-Christós (l’anti-messia), sicché un così vasto argomento viene affrontato sin dall’antichità, si pensi ad Ireneo, Tertulliano e Agostino, fino a divenire un vero e proprio topós filosofico-letterario-teologico, si pensi, ad esempio, a Lutero, il Gaetano, Dostoevskij, J. Pieper, P. Althaus, B. Bauer, R. Bultman e altri ancora. La lettura che più di tutte ha “fatto scuola” rimane, però, quella che identifica il Katéchon come figura necessariamente teologico-politica. Non vuol essere questa la sede di un’eventuale sconfessione di tale rilettura, piuttosto, tramite una «fonazione esegetica» [1] di 2Ts, sarà possibile comprendere come il passo biblico ha saputo sollevare un’attenzione così eminentemente politica. Solo in conclusione – e molto brevemente – verranno elencati i tratti costitutivi di una teoria politica dell’eschaton, cercando di evidenziarne i tratti generali.

La «fondazione esegetica» di Paul Metzger

In un interessantissimo saggio apparso sulla rivista Politica e Religione del 2008/2009, Metzger propone un’indagine della Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2Ts 2,6-7) che non si esaurisca «né in un’analisi meramente terminologica, né in una storia diacronica» [2]. Piuttosto, solo uno studio dettagliato del contesto storico-politico della Seconda Tessalonicesi permette una più chiara comprensione del criptico richiamo al Katéchon. Secondo Metzger, la Seconda Tessalonicesi venne scritta da un autore a noi completamente sconosciuto verso la fine del I sec. d.C. Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni ricercatori, l’autore di 2Ts non sarebbe né Paolo né un suo allievo, ma addirittura un teologo che pretende di correggere l’Apostolo dei Gentili tramite una fittizia lettera paolina. Lo sconosciuto autore vuole confutare la convinzione che «il giorno del Signore sia già arrivato o quantomeno sarebbe imminente […]» [3]. Infatti, dalla lettura di 2Ts, risulta evidente che l’acquisizione di una simile tesi ha portato una sostanziosa parte della comunità a ritirarsi dal lavoro e dalla vita sociale in attesa del ritorno di Cristo, finendo così per suscitare scandalo e disappunto tanto all’interno di essa, quanto all’esterno. Appare evidente che una simile situazione non giova ad una comunità religiosa, quella cristiana, che viene già vista come sospetta dai pagani e dalle autorità politiche. Dunque, gli sforzi dell’autore sono tutti volti a limitare un’attesa esasperata e danno. La Seconda Lettera ai Tessalonicesi risponde così ad una necessità interna alla stessa comunità cristiana. In questo senso la stessa imitatio paolina dimostra la volontà dell’autore di conferire un’indubbia autorità alla propria risoluzione teologica. Il quadro tratteggiato da Metzger evidenzia come non sia in ballo unicamente «una speculazione astratta sui tempi ultimi, ma la necessità di mantenere i destinatari nella retta dottrina, di ammonirli, di dar loro assicurazione circa il fatto che le loro momentanee sofferenze saranno compensate dal giudizio di Dio[…]. In termini estremamente pragmatici la lettera tenta di rendere possibile ai destinatari diretti una vita tranquilla nel loro ambiente di riferimento» [4].

Il testo è allora apologetico, nel senso che si invita la comunità a seguire la vera dottrina senza essere sviati da pericolose – ed esasperanti – speculazioni sulla parousia. Per questo motivo la lettera si struttura come una vera e propria opposizione teologica che necessita di un iter argomentativo capace di riorganizzare la comunità. Per sconfessare l’idea che il ritorno di Cristo sia ormai imminente, all’autore non resta che dipingere un itinerario cronologico-apocalittico che ritardi questo momento. Prima della parousia è infatti necessario che si verifichino due momenti:
a) deve verificarsi un momento di apostasia generale,
b) deve disvelarsi l’Anticristo.
Questi due momenti non vengono introdotti come una novità esclusiva e ciò fa supporre che anche gli oppositori dell’autore di 2Ts li utilizzassero per propagandare le proprie dottrine. La vera novità – nonché motivo d’opposizione – riguarda allora la collocazione temporale di questi eventi [5].

«Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati» (2Ts 2,8-10).

La struttura del brano, ed in particolare 2Ts 2,8-10, evidenziano una struttura parallela che rende verosimile pensare che la rivelazione dell’Iniquo avvenga contemporaneamente alla generale diffusione dell’anomia. Tuttavia, il dato realmente essenziale riguarda la condizione della parousia: questa non può avvenire se prima non si è svelato l’Anticristo. Da un simile assunto derivano quattro aspetti essenziali che differenziano la proposta teologica dell’autore di 2Ts dai suoi oppositori:
a) non essendosi palesato l’anti-messia nel tempo storico in cui la lettera è stata scritta, allora il ritorno del Cristo non può essere imminente,
b) la rivelazione dell’Iniquo è visibile, dal momento che esso è una potenza escatologica e diabolica cui l’uomo non può opporsi,
c) il mysterium iniquitatis è attivo nel presente, ma legato all’avvento dell’Avversario di Dio nel futuro,
d) dunque l’Anticristo non è ancora operante, ma potrà esserlo solo nel momento in cui non ci sarà più il Katéchon.

Così, l’autore non nega le percezioni contemporanee dei suoi oppositori, ma le rilegge con una differente cronologia. Sicché se per il momento l’Avversario non è ancora visibile, almeno due forze, tra loro profondamente legate, sono inesorabilmente all’opera: quella dell’anomia che determinerà la venuta dell’anti-messia e quella del Katéchon che la ritarda. Viene così sviluppato un parallelismo temporale tra il presente storico della comunità, che permette di identificare con certezza i segni della futura parousia, e un futuro escatologico, non ancora visibile, i cui signi nascosti sono già attivi nel presente sotto forma di Katéchon e mysterium iniquitatis. La sofferenza quotidiana è frutto dell’azione misteriosa dell’anomia e non dell’Anticristo. Anzi, il mistero dell’iniquità è precisamente un signum ad rem, ovvero un segno presente che rimanda ad un “non-ancora” – in questo caso demoniaco – destinato ad irrompere nel futuro [6].

Al contrario, il discorso del Katéchon è volutamente criptico. Secondo Metzger, il fatto che l’autore dedichi un solo oscuro frammento a «ciò che trattiene» non testimonia un ermetismo fine a se stesso ma, al contrario, evidenzia come solo la comunità a cui l’autore si rivolge è capace di decifrarlo, interpretandolo nel modo più consono. Accanto all’indagine terminologica si rende necessario ricercare anche nelle conoscenze pregresse della comunità. Il primo dato fondamentale riguarda l’uso, prima al neuro, poi al maschile di Katéchon. La funzione di questo consiste nel trattenere il Figlio dell’Iniquo sino a quando non si rivelerà il suo tempo. Nel momento presente della comunità il Katéchon è ancora operante e viene descritto come una forza-potenza di genere neutro. Tanto i tempi dell’avvento dell’Anticristo, quanto i tempi dell’opera katechonica sono incerti e questo deriva dal fatto che solo Dio stabilisce la temporalità di simili eventi. Tuttavia, appare dato incontrovertibile che l’anti-messia si paleserà solo quanto il potere che lo trattiene verrà messo da parte. Per Metzger è precisamente questo il momento cruciale dell’intera 2Ts. Infatti: «Il cambio di genere dal neutro al maschile è vistosamente parallelo alla personificazione dell’iniquità nell’Avversario di Dio. Evidentemente, il Katéchon e l’Avversario di Dio hanno degli elementi in comune: il tempo di entrambi è concesso loro da Dio, entrambi cominciano come forza (Katéchon – mysterion) e terminano come persona. A partire da qui, è verosimile che il Katéchon debba essere determinato in maniera analoga all’Avversario di Dio» [7].

La forza del mistero dell’anomia (in neutro) sta all’Anticristo (in maschile) come la forza katechonica (in neutro) sta al Katéchon personificato (in maschile). Dunque, entrambi «paiono essenze umano-demoniache che assumono un posto nel piano di salvezza di Dio». Nonostante queste forti analogie, le due figure sono tra loro contrapposte: finché opera il primo, il secondo non può svelarsi. Malgrado questa opposizione risulti radicale, il Katéchon non garantisce alcuna protezione dall’anomia operante nel presente. Così, se da un lato i destinatari della lettera possono essere rincuorati dalla funzione frenante che ritarda l’avvento dell’Anticristo, dall’altro la «forza che trattiene» prolunga il tempo della sofferenza e dell’anomia. Così inteso il Katéchon appare addirittura come fattore negativo, dal momento che la sua azione mantiene lo status quo e obbliga i cristiani ad un confronto quotidiano con il male.

Tali opposizioni e analogie dimostrano come Katéchon e mysterium iniquitatis siano strettamente connessi. Ciò viene comprovato se si indaga come il Katéchon si oppone al demone anti-divino per eccellenza. Secondo i principi di analogica cosmica della demonologia antica, solo un demone può contrapporsi ad un altro demone, cosicché il Katéchon: «[…] è un essere intermedio umano-demoniaco, che è all’opera al tempo della comunità. Esso si personificherà nel Katéchon (maschile) che deve essere eliminato affinché possa subentrare l’Avversario di Dio» [8].

Alla comunità non resta che una nervosa attesa escatologica aspettando la parousia finale. A questo punto è sufficientemente chiaro il ruolo del Katéchon come forza demoniaca che trattiene, ma risulta ancora incerta e criptica la sua personificazione. Tuttavia, il fatto stesso che Cristo sia l’incarnazione del Dio-Bene e l’Anticristo sia l’incarnazione del mistero dell’anomia, lascia supporre che anche «la forza che trattiene» abbia una sua incarnazione in una persona sì escatologica, ma concreta, visibile, tangibile e operante nel mondo degli uomini. Evidentemente l’autore di 2Ts allude ad una persona che i destinatari della lettera conoscono o, perlomeno, a cui possono giungere facilmente attingendo dalle fonti autorevoli della tradizione, ma che, tuttavia, non può essere nominato in senso chiaro ed esaustivo in quel particolare frangente. Sono solo due gli scritti contemporanei alla Seconda Tessalonicesi che spiegano il motivo per il quale il giorno del giudizio non può ancora verificarsi: si tratta del Quarto libro di Ezra e dell’Apocalisse di Giovanni [9].

In entrambi gli scritti le problematiche affrontate e le finalità esposte sono molti simili a quelle trattate in 2Ts. Entrambi cioè si occupano del problema escatologico-temporale del Katéchon in riferimento alla parousia. In IV Ezra 5,3; 11,45 s. l’autore descrive i segni della fine del tempo che assomigliano in modo evidente a quelli riportati nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Si fa diretto riferimento al mistero dell’iniquità, al mondo dell’anomia e, infine, al bugiardo verbo dell’anti-messia che nasconderà definitivamente la verità del Verbo. Dunque anche in IV Ezra 5,3, l’autore cerca di delineare la storia cronologica dell’eschaton affinché la comunità dei fedeli possa identificare la propria collocazione temporale e il proprio ruolo nella storia del mondo. Anche nel Quarto Libro di Ezra il «tiranno terribile della fine dei tempi» si svelerà solo quando il Katéchon verrà rimosso. In questo scritto, differentemente da 2Ts, il Katéchon maschile ha un volto preciso: l’Impero di Roma.

«Perciò tu dovrai ben disparire, o aquila, tu e le tue orribili ali, le tue pessime alette, le tue malvage teste, i tuoi crudeli artigli, e tutto il tuo inutile corpo, in modo che tutta la terra torni a ristorarsi, liberata dalla tua violenza, e possa sperare nel giudizio e nella misericordia di Colui che l’ha fatta» [10].

Chi, o cosa, distruggerà Roma non viene spiegato, ma appare evidente che l’allusione all’aquila sia un chiaro riferimento al potere katechonico dell’Impero Romano. L’Apocalisse di Giovanni non aggiunge nulla di diverso ma, procedendo ulteriormente, spiega chi farà cadere l’imperium.

«Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re. I primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita, l’altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco. Quanto alla bestia che era e non è più, è ad un tempo l’ottavo re e uno dei sette, ma va in perdizione. […] Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia» [11].

L’Apocalisse di Giovanni non lascia spazio ad interpretazioni. Il «potere che trattiene» è l’Impero Romano, nient’affatto forza positiva, ma chiaramente negativa. Inoltre, ciò che toglierà di mezzo il Katèchon nasce all’interno dello stesso. Più precisamente l’ultimo re di Roma sarà colui che si volgerà contro l’imperium stesso, determinando la sua fine e lo svelamento dell’Avversario di Dio. Dunque, proprio come nella Seconda Tessalonicesi, l’apocalisse e la parousia sono rimandate alla caduta del potere politico di Roma. Roma non è quindi l’Avversario ultimo di Cristo, ma la necessaria condizione affinché il ritorno i renda possibile. L’Impero è una realtà politica demoniaca (forza neutra), il cui governante-imperatore incarna la figura del Katéchon al maschile. La sua auctoritas e la sua potestas non proteggono dal peccato e dalla sofferenza, al contrario, garantiscono l’operosità del mysterium iniquitatis. L’ultimo re, una sorta di Nerone redivivo, annuncerà l’arrivo della Bestia e siglerà l’inizio della Fine dei tempi. Risulta quindi probabile che la criptica allusione al Katéchon nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi si riferisca alle chiarissime riflessioni su Roma presenti nel Quarto Libro di Ezra e nell’Apocalisse di Giovanni.

Risulta altrettanto chiaro che l’identificazione del Katéchon nell’Impero romano lega inevitabilmente il problema teologico ed escatologico della fine dei tempi a quello schiettamente politico. Il mistero dell’iniquità viene così declinato in senso teologico-politico nel mistero dell’a-nomia (a-nomos), ovvero della realtà priva di legge, mentre l’Anti-Christos, figura escatologica e demoniaca, s’incarna in una figura squisitamente politica, quella dell’imperator romano operante nella storia degli uomini. La stessa storia cosmogonica ed escatologica finisce per cadere nel seculum, influenzando la vita umana e, con essa, la vita politica.

Bibliografia

  • C. Schmitt, Il Nomos della Terra. Adelphi, Milano 1991.
  • P. Metzger, Il Katéchon. Una fondazione esegetica in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009.
  • M. Nicoletti, Tra filosofia della storia e relazioni internazionali. Il concetto di Katéchon in Carl Schmitt in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009.
  • M. Cacciari, Il potere che frena. Adelphi, Milano 2013.
  • R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero. Giulio Einaudi editore, Milano, 2003.
  • G. Lettieri. Il nodo cristiano. Dono e libertà. dal Nuovo Testamento all’viii secolo. Edizioni Carocci. Roma 2009.
  • G. Agamben, Il tempo che resta. Un commento alla «Lettera ai romani», Bollati Boringhieri, Torino, 2000.
  • Conferenza Episcopale Italiana, La Sacra Bibbia. UELCI. Versione ufficiale della CEI. San Paolo edizioni, Roma.

Note

[1] Ci si riferisce qui all’analisi critica di P. Metzger, Il Katéchon. Una fondazione esegetica in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009.

[2] È ciò che sostiene M. Nicoletti che, proprio nell’Introduzione del medesimo volume, dedica una ampia nota al grande lavoro svolto da Metzger. Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009. p.5.

[3] P. Metzger, Il Katéchon. Una fondazione esegetica in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009. p.27.

[4] Ivi. p.28.

[5] Questo punto è, in realtà, davvero essenziale. L’aspetto cronologico della Seconda Tessalonicesi e, nello specifico, la dimensione temporale del Katéchon, sono presi in esame nell’ultimissimo saggio di R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero. Giulio Einaudi editore, Milano, 203.

[6] Questa dialettica tra segno terreno ed ontologia divina è, forse, un’eccessiva forzatura concettuale. In 2Ts non vi è traccia di un’interpretazione così rigida tra segno del male, l’anomia, e opera diretta dell’Essere del Male, l’anticristo. Tuttavia credo che una simile rilettura possa tornare utile successivamente, quando il Katéchon verrà analizzato nella sua forma più schiettamente politica.

[7] P. Metzger, Il Katéchon. Una fondazione esegetica in Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia. Tratto dalla rivista Politica e Religione 2008/2009. Morcelliana, Brescia, 2009. Per un’analisi più dettagliata pp. 33-35.

[8] Ibidem.

[9] A questo punto è doverosa una precisazione. Anche per ciò che concerne il confronto tra 2Ts, Quarto libro di Ezra e Apocalisse di Giovanni, mi rifaccio completamente al saggio di Metzger. Questo perché la sua ricerca ha il merito di indagare la fondazione del concetto di Katéchon rimanendo all’interno del contesto storico della Seconda Tessalonicesi. Questo non vuol dire affatto che la strada indicata da Metzger sia effettivamente l’unica percorribile. Al contrario, voglio qui ricordare l’interessantissimo saggio di M. Rizzi, Storia di un inganno (ermeneutico). Il Katéchon e l’Anticristo nelle interpretazioni del II e III secolo, che ha il merito di evidenziare come il concetto originario di Katéchon (studiato proprio da Metzger) finisca per subire grandi ridimensionamenti già nelle interpretazioni del II e III secolo. I continui rimandi a Metzger sono, quindi, soprattutto funzionali al fine di quest’articolo: inquadrare la figura “prima” del Katéchon spiegando così il suo indissolubile – ed originario – legame con la politica.

[10] Quarto Libro di Ezra, Xi Quinta Visione, 33 [QUI].

[11] Conferenza Episcopale Italiana, La Sacra Bibbia. UELCI. Versione ufficiale della CEI. San Paolo edizioni, Roma.

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