Archie è morto

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Nei giorni scorsi sono stati staccati i dispositivi che consentivano ad Archie Battersbee di vivere su sentenza del tribunale: l’annuncio è stato dato dalla mamma, Hollie Dance, protagonista insieme al marito Paul della battaglia legale combattuta insieme all’associazione ‘Christian Concerns’ per fermare l’esecuzione di una sentenza dell’Alta Corte di Londra confermata in secondo grado il 15 luglio.

Lo scorso 7 aprile Archie è stato trovato privo di conoscenza, con una corda attorno al collo, nella sua abitazione, vittima probabile di una ‘blackout challenge’. Trasferito in ospedale a Londra è rimasto attaccato a un ventilatore meccanico che lo aiutava a respirare. Il suo caso è arrivato in tribunale quando i medici, sospettandone la morte cerebrale, poi confermata da una risonanza magnetica, hanno chiesto l’autorizzazione a staccargli la spina.

Mossa che la famiglia ha sempre contestato perché aggrappata alla speranza, nutrita dai movimenti impercettibili di occhi e mani, che il piccolo potesse recuperare. L’interruzione delle cure è stata però avvallata, ‘nel suo miglior interesse’, da due sentenze di primo e secondo grado. Invano gli avvocati hanno cercato di dimostrare che i magistrati non avevano dato il ‘giusto peso’ ai desideri, oltre che al credo religioso, della famiglia.

La fondazione pubblica che gestisce l’ospedale, Barts Health Trust, ha diffuso una nota per ribadire che il personale medico e infermieristico della terapia intensiva pediatrica in cui Archie era ricoverato, costretto a lavorare spesso in ‘circostanze angoscianti’, ha fornito ‘cure di alta qualità’ e ‘straordinaria compassione’.

Inoltre, non sono riusciti a convincere i tribunali ad autorizzare il trasferimento di Archie in un hospice per gli ultimi giorni di vita. I medici che hanno in cura Archie in un ospedale di Londra hanno dichiarato che continuare con il supporto vitale non sarebbe stato nel suo interesse e che il trasferimento del ragazzo in un hospice avrebbe potuto peggiorare la sua situazione

Sulla situazione di Archie era intervenuto nelle scorse ore il vescovo John Sherrington, ausiliare della diocesi di Westminster e responsabile per le questioni della vita per la Conferenza Episcopale Cattolica di Inghilterra e Galles: “Ogni passo deve riconoscere la sua dignità intrinseca di persona creata a immagine e somiglianza di Dio.

In questo momento di addio, è importante il processo di accompagnamento compassionevole di Archie e dei suoi genitori… E’ necessario trovare modi migliori di mediazione con cui i genitori e gli operatori sanitari possano raggiungere accordi comuni ed evitare complessi procedimenti legali”.

Commentando la vicenda l’associazione’Papa Giovanni XXIII’ ha invitato ad osare un amore impossibile: “Certo, Archie non era più il bambino di prima, ma perché non osare e credere che la sua vita debolissima potesse comunque penetrare i cuori e commuovere ancora. Noi sappiamo che la vita è anche osare.

Abbiamo osato con la scienza astronomica finanziando ricerche incredibili. Abbiamo osato con l’ingegneria edile realizzando costruzioni straordinarie. Osiamo credere che il ‘miglior interesse’ per Archie era continuare a stringere le due dita della mamma. La sua vita meritava ancora l’abbraccio dei suoi cari, l’amicizia dei compagni di scuola, le carezze dei nonni. Il suo corpo meritava consolazione, la sua debolezza attendeva cure amorevoli.

In tanti anni nelle nostre case famiglie abbiamo assistito a miracoli nascosti: bimbi che continuano a vivere nonostante prognosi infauste, miglioramenti che la scienza fatica a spiegare. Eppure noi sappiamo qual è il segreto. Osare un impossibile amore”.

E Luca Russo, appartenente all’associazione fondata da don Benzi, ha così commentato su Avvenire la decisione di uno Stato che decreta la morte: “Se lo Stato, persino contro il volere dei familiari della persona, può decretare la morte di un suo cittadino fragile, tanto più di un dodicenne, i rischi della deriva eugenetica e della ‘società tanatologica’, come ripeteva Elio Sgreccia, studioso e cardinale, sono altissimi.

Deliberare la morte di una persona imponendo a medici e personale sanitario di interrompere il trattamento sanitario, è contro la deontologia della professione medica. Non c’è civiltà nella sentenza che decreta la morte di un bimbo che i genitori vorrebbero rimanesse ancora in famiglia e possibilmente, con i giusti supporti, anche nella propria casa. Solo una società che sa prendersi cura delle proprie fragilità, potrà dirsi una società avanzata, civile e veramente umana”.

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