In Nicaragua Ortega contro la Chiesa

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Secondo il giornalista Paolo Manzo il governo nicaraguense sta portando avanti trattative con il Vaticano che dovrebbero culminare con l’esilio di mons. Rolando Álvarez, arrestato dalle autorità giovedì 4 agosto ed accusato di’organizzare gruppi violenti’, presumibilmente ‘con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato nicaraguense e attaccare le autorità costituzionali’. Quindi il presidente Ortega sta perseguendo l’obiettivo di arrivare a un negoziato con il Vaticano per esiliare il vescovo Álvarez, come già successo con mons. Silvio Báez nel 2019.

La dittatura sandinista accusa mons. Álvarez di ‘complotto’, secondo un comunicato della polizia, guidata dallo suocero di Ortega, il commissario Francisco Díaz: “Sotto gli auspici delle alte autorità della Chiesa cattolica, diocesi di Matagalpa, guidata dal vescovo, mons. Rolando José Álvarez Lagos, questi preti approfittano del loro status di leader religiosi, utilizzano i media e i social network per organizzare gruppi violenti, incitandoli a compiere atti di odio contro la popolazione, provocando un clima di ansia e disordine, alterando la pace e l’armonia nella comunità con lo scopo di destabilizzare lo Stato e attaccare le autorità costituzionali”.

Nei giorni scorsi il prelato ha lasciato i domiciliari con l’immagine del Santissimo Sacramento per pregare e chiedere alle forze dell’ordine di concedere il diritto alla libertà di religione e la libera circolazione del personale vescovile.

La vicepresidente/moglie del dittatore, Rosario Murillo, ha invece minacciato il vescovo affermando che ‘le leggi non devono essere infrante, né di possono commettere crimini impunemente’. Álvarez rimane ai domiciliari nella Curia episcopale dove ha officiato la messa dalla reclusione perché il regime gli impedisce di officiare la messa nella cattedrale di Matagalpa.

Il vescovo si è rivolto ai poliziotti dedicando loro la canzone ‘El amigo’, affermando di rispettare le forze di sicurezza; la sua ‘colpa’ è quella di aver diffuso un video su twitter in cui invitava il governo di Daniel Ortega a rispettare la libertà religiosa, dopo la chiusura di 8 emittenti cattoliche diocesane e l’assalto alla cappella del Bimbo Gesù di Praga di Sébaco.

Il Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), attraverso il presidente, Miguel Cabrejos, ha espresso ‘profondo dolore’ per “gli ultimi fatti, come l’assedio a sacerdoti e vescovi, l’espulsione degli esponenti delle comunità religiose, la profanazione dei templi e la chiusura delle radio”.

Inoltre la Conferenza episcopale del Nicaragua, in un comunicato firmato da tutti i vescovi, in particolare dal presidente, mons. Carlo Enrique Herrera Gutiérrez, vescovo di Jinotega, e dal vicepresidente, il card. Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, ha manifestato ‘fraternità, amicizia e comunione spirituale’ nei confronti di mons. Rolando José Álvarez: “Questa situazione ci tocca il cuore, come vescovi e come Chiesa del Nicaragua”.

Nel frattempo anche l’attivista dei diritti umani Bianca Jagger ha implorato il papa di ‘non abbandonare’ la Chiesa cattolica in Nicaragua, in particolare mons. Rolando Álvarez, detenuto da sei giorni da Ortega, che lo accusa di terrorismo: “Imploro il Santo Padre di prendere posizione, di non abbandonare i suoi vescovi e sacerdoti, in particolare monsignor Rolando Álvarez, la cui vita è in pericolo”.

Inoltre la ricercatrice nicaraguense Marta Molina ha documentato più di 250 attacchi alla Chiesa cattolica negli ultimi quattro mesi. Un esperto di questioni ecclesiastiche, che chiede protezione all’anonimato, attribuisce la repressione del regime della Chiesa cattolica ad ‘una logica di controllo assoluto’:

“La Chiesa cattolica è in concorrenza con la rete di controllo del regime perché ha parrocchie in tutti i comuni. Ogni tempio è un luogo di incontro. La domenica la gente sente un pensiero critico su ciò che sta accadendo: la sofferenza dei morti, dei prigionieri, la separazione delle famiglie a causa della migrazione di massa, la disoccupazione, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Ascolta la realtà. E oggi parlare di realtà è di per sé un atto politico”.

Nel frattempo anche don Aníbal Manzanares ha denunciato che la Polizia sandinista gli ha vietato di lasciare la sua parrocchia nel comune di Terrabona, nel dipartimento di Matagalpa: “Miei buoni amici e fratelli, posso solo comunicarvi che questa mattina (mercoledì 10 agosto) la polizia mi ha comunicato che non ho il permesso di uscire, non posso andare in strada, alle processioni, alle attività fuori dalla chiesa”.

Dall’inizio del quarto mandato consecutivo, il leader ha attuato un giro di vite nei confronti della Chiesa. A marzo è stato espulso il nunzio, Waldemar Stanislaw Sommertag, protagonista di due falliti intenti di dialogo tra il governo e l’opposizione.

Poi sono cominciate le chiusura delle emittenti cattoliche, il taglio dei fondi all’Università dei gesuiti e la rimozione della personalità giuridica alle organizzazioni caritative della Chiesa. A luglio, perfino le Missionarie della Carità sono state espulse.

Quindi in meno di quattro anni, la Chiesa ha subito 190 attacchi e profanazioni, minacce di morte, saccheggi di chiese e attacchi con bottiglie molotov, secondo l’indagine ‘Nicaragua: una Chiesa perseguitata’. 

Comunque la situazione nel Paese centroamericano è stata al centro di una sessione speciale all’Osa, l’Organizzazione degli Stati Americani, che ha chiesto al governo Ortega la fine delle ‘vessazioni’ contro la Chiesa e della ‘persecuzione’ contro ong e media, attraverso la risoluzione ‘La situazione Nicaragua’ votata a larga maggioranza, 27 voti su 34 e soprattutto con un appello al presidente nicaraguense Daniel Ortega per dire basta con le ‘vessazioni’ contro la Chiesa cattolica, con la ‘chiusura forzata’ delle ong, con la ‘persecuzione’ dei media.

Un appello, cui ha unito la voce anche la Santa Sede per bocca del suo osservatore permanente, mons. Juan Antonio Cruz Serrano, che in una dichiarazione ha espresso la ‘preoccupazione’ vaticana, invitando a trovare ‘vie di intesa, basate sul rispetto e sulla fiducia reciproca’, dirette al ‘bene comune e la pace’, e ribadendo che la Santa Sede è “sempre pronta a collaborare con quanti si impegnano nel dialogo, come strumento indispensabile di democrazia e garante di una civiltà più umana e fraterna”.

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