Se la Chiesa non conosce se stessa

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Le conversazioni di Papa Francesco con i Gesuiti hanno il privilegio di essere conversazioni libere, senza filtri, da cui spesso esce il modo di pensare autentico di Papa Francesco. Il colloquio con i Gesuiti del Canada, pubblicato, come di consueto, su La Civiltà Cattolica [QUI], non ha fatto eccezione. Non ci sono rivelazioni sorprendenti nella conversazione. C’è, però, il senso del modo di pensare di Papa Francesco, che non può non farci riflettere se letto alla luce delle dichiarazioni che il Papa ha fatto con i giornalisti sul volo di ritorno dal Canada.

Papa Francesco con i Gesuiti della Provincia canadese (Foto di Antonio Spadaro, S.I.).

Conversando con i Gesuiti, il Papa ha parlato dell’evoluzione del diritto canonico in materia di abusi e ha detto: «Il diritto non si può tenere in frigorifero. Il diritto accompagna la vita e la vita va avanti. Come la morale: si va perfezionando. Prima la schiavitù era lecita ora non più. La Chiesa oggi ha detto che anche il possesso dell’arma atomica è immorale, non solo l’uso. Prima non si diceva questo. La vita morale va progredendo nella stessa linea organica».

Nelle parole del Papa possiamo vedere una riduzione particolarmente pragmatica delle questioni della vita. Ma il punto è diverso. La riduzione pratica porta anche a conoscere e comprendere pragmaticamente la Chiesa. Il principio, del resto, è che «le realtà sono più delle idee», come diceva il Papa nella Evangelii gaudium. Tuttavia, se così fosse stato, la prospettiva cristiana non avrebbe potuto diffondersi così ampiamente. La questione della schiavitù, in questo, è esemplare. Il Papa non si riferiva all’accettazione della schiavitù da parte della Chiesa. Tuttavia, l’Arcivescovo Victor Fernandez, suo teologo di riferimento, lo ha fatto durante una conferenza stampa del Sinodo dei Vescovi del 2014. Ma è proprio sulla schiavitù che si deve operare una profonda distinzione tra la Chiesa e il mondo. La Chiesa non ha mai accettato che gli uomini fossero ridotti in schiavitù. All’inizio la Chiesa ha accettato la schiavitù come istituzione umana, ma ciò non significa che non fosse contraria.

Gesù non ha mai parlato di sovvertire l’ordine del mondo, ma invece di cambiare il cuore delle persone, di una nuova concezione dell’uomo che crea una nuova civiltà. Il Cristianesimo ha sempre considerato gli schiavi come esseri umani. Nel IV secolo, San Gregorio di Nissa denunciò la schiavitù come contraria alla Legge di Dio. Sant’Ambrogio suggerì di liberare gli schiavi. San Giovanni Crisostomo ha esortato i maestri a insegnare agli schiavi a lavorare in modo che potessero mantenersi. Infine, Sant’Agostino si oppose fermamente alla schiavitù.

I Papi Pio I e Callisto I erano stati schiavi. Nel VII secolo fu canonizzata la schiava britannica Bathilde. Per non parlare dei vari Concili che si erano espressi contro la schiavitù o che proteggevano i profughi schiavi, che chiedevano la libertà degli schiavi e discutevano persino della tratta degli schiavi.

Se poi vogliamo sottolineare che diversi cristiani, sacerdoti e vescovi non hanno seguito il messaggio cristiano, questo è vero. Ma fu l’eccezione cristiana che portò all’abolizione della schiavitù in Europa, e ciò è dimostrato da decine di dichiarazioni dei Papi, a cominciare dalla bolla Pastorale officium del 29 maggio 1537, scritta da Papa Paolo III, che condannava la schiavitù sotto pena di scomunica [QUI].

La bolla seguì un decreto di Re Carlos I, che condannava la schiavitù degli Indiani. E qui bisogna allargare il campo della storia per capire come i re cattolici di Spagna, in realtà, non abbiano mai favorito la schiavitù. Angela Pellicciari, in due volumi (Una storia della Chiesa. Papi e santi, imperatori e re, gnosi e persecuzione e Una storia unica. Da Saragozza a Guadalupe), definisce come i re cattolici di Spagna non abbiano mai interpretato la colonizzazione dell’America come appropriazione della terra ma piuttosto come una forma di evangelizzazione. La Regina Isabella proibì di fare schiavi nel nuovo mondo e quando Colombo tornò una volta con degli schiavi, furono rimandati in America con molte scuse e Colombo fu messo in prigione.

Invece, il successo spagnolo in America Latina, sostiene Pellicciari, deriva proprio dal fatto che hanno portato l’idea di un Dio che si prende cura di ogni uomo, facendo crollare così il potente impero azteco che si fondava sul terrore e sacrificò uomini e bambini.

La cosiddetta “Dottrina della Scoperta” nasce anche da questo contesto, da questo ideale di evangelizzazione, già definito nel 1455, prima della scoperta dell’America, con la bolla Romanus Pontifex. Ma questa non era una dottrina della Chiesa. Era una visione del mondo che riguardava quei tempi. Le altre attività dei Papi l’hanno superata. È stato oscurato dalla storia.

Papa Francesco, però, non ha detto questo. Invece, nell’incontro con i giornalisti sul volo di ritorno dal Canada, ha risposto vagamente, tanto che la stampa è arrivata al punto di dire che il Papa non aveva spiegato adeguatamente tutte le questioni. Eppure, sarebbe bastato contestualizzare, spiegare. Il Papa ha infine affermato di non aver parlato di “genocidio” dei nativi americani in Canada, perché non ci ha pensato. Ma anche questo è un problema: genocidio significa l’eliminazione sistematica di un popolo e l’assimilazione culturale al quale gli indigeni erano soggetti, per quanto brutali o violenti, è un’altra cosa.

La questione qui è che un mondo laico vuole riscrivere la storia della Chiesa, negando ciò che era una volta. E c’è, purtroppo, una Chiesa che non si conosce e non sa difendere e spiegare cos’è, cos’è stata, e la sua storia.

Ovunque, sono stati i missionari che hanno imparato e preservato le lingue indigene, che hanno protetto la loro cultura dall’assimilazione. Lo hanno fatto in mezzo a grandi discussioni all’interno della Chiesa, a volte con fatali indecisioni da parte dei Papi, ma sempre con un obiettivo chiaro in mente. Se tutto si riduce a una lettura pragmatica e non teologica, se non si applica l’ermeneutica del tempo, e non si cerca di spiegare cosa muove la Chiesa, allora la Chiesa non può essere compresa. Per la Chiesa non si tratta di restare sulla difensiva, ma in un certo modo di presentare ciò che è. E lo stesso vale per il Papa, che – ha detto ai Gesuiti del Canada – parla sempre a nome della Chiesa. È difficile, però, pensare che la Chiesa apprezzi di essere ridotta al gesto delle scuse di un Papa e attaccata perché come istituzione non fa il mea culpa mentre lo fa il Papa.

È tempo che i cattolici vadano oltre le pressioni dell’opinione pubblica e le parziali ricostruzioni storiche. È tempo che i cattolici conoscano la Chiesa, soprattutto in quest’epoca della cancel culture, la cultura dell’annullamento. Un’epoca, tra l’altro, a cui il Papa ha chiaramente puntato il dito in uno dei suoi discorsi canadesi.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

Foto di copertina: Papa Francesco con i Gesuiti della Provincia canadese (Foto di Antonio Spadaro, S.I.).

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