Corsi e ricorsi storici. Chi impone sanzioni ci rimette

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Napoleone docet: le sanzioni nuocciono a chi le impone. Da Atene in poi le restrizioni economiche hanno giovato sempre ai Paesi che le hanno subite. E ora Putin gongola come la Gran Bretagna dell’800.

Perché ci si ricasca ogni volta? Gli storici e gli economisti sono concordi. Quando uno Stato, o a maggior ragione un impero, dichiara sanzioni per punire una nazione ostile, a guadagnarci alla fine dei conti è sempre quest’ultima, e finisce male per chi era convinto di strozzare l’avversario con il blocco dei commerci con quel Paese. In Francia si sono scientificamente paragonate l’origine e le conseguenze del “Blocco Continentale” deciso da Napoleone I contro la Gran Bretagna nel 1806, e le sanzioni che l’Occidente ha imposto alla Russia dopo il 24 febbraio scorso. A tracciare un parallelo è stato in particolare Olivier de Maison Rouge, membro dell’Observatoire de l’intelligence économique française (Oief). È il massimo specialista del ramo, e ha dedicato al tema il suo ultimo libro: Come vincere la guerra economica (VA Editions, marzo 2022). I fatti sono noti. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno reagito immediatamente con mosse durissime e crescenti all’aggressione dell’Ucraina: banche russe bandite dalla rete Swift, congelamento dei beni degli oligarchi, sospensione delle commesse, in pratica un sofisticato laccio intorno al collo di Putin. Il quale ha reagito come fece la Gran Bretagna di fronte alle mosse sempre più pesanti di Napoleone I stabilite con l’editto di Berlino del 1806, seguito da quello di Milano dell’anno seguente. Olivier de Maison Rouge non ne fa una questione di chi siano i buoni e chi i cattivi. Come qualsiasi francese che si rispetti è dalla parte del Bonaparte per i secoli dei secoli. Ma ammette.

Il paragone

Questo tentativo di spingere al default (anche se allora si usavano termini più crudi e realistici, tipo: far morire di fame gli inglesi) la Gran Bretagna si trasformò in un clamoroso rafforzamento commerciale ed economico di Londra, e nel declino sia commerciale che politico del genio corso. Facile il confronto: come esito delle sofisticate e stritolatrici trappole finanziarie escogitate da Mario Draghi alla fine il rublo si è apprezzato e l’Europa ha preso atto della sua dipendenza dalle materie prime russe. Con una certa ironia, su Le Figaro, anche per non irritare troppo Emmanuel Macron, de Maison Rouge maschera la sua certezza con una domanda retorica: «Questo significa che le sanzioni economiche si stanno ritorcendo contro i loro autori?». Voi che ne dite? Napoleone aveva vinto ad Austerlitz, in un mese aveva piegato la Prussia ed era entrato trionfalmente a Berlino. Gli mancava di prendere per le orecchie la Grande Preda, potenza marittima dominatrice: la Gran Bretagna. Prese allora a pretesto un innocuo provvedimento inglese per inibire il commercio in certi porti, per attuare il più totalitario dei blocchi marittimi mai messi in atto. L’industria inglese, che viveva d’esportazioni, vacillò nei primi mesi. Quella francese crebbe, specialmente nel settore tessile prima soffocato dalla concorrenza d’Oltremanica. Ma il premier William Henry Cavendish-Bentinck Duca di Portland reagì, creando nuove partnership commerciali, sostituendo il continente europeo con il Canada, gli Stati Uniti d’America, l’America latina e l’Asia, facendo leva sul suo vasto impero. Il risultato? Quel Paese raggiunse l’apice della gloria, per terra e per mare, nel XIX secolo. E Napoleone? A Sant’Elena!

Vladimir Putin – come consigliava Winston Churchill a chiunque volesse governare una nazione – deve aver studiato la storia, un po’ meno i nostri leader occidentali (salvo che perversamente gli Usa e in generale gli Stati dell’Anglosfera non abbiano escogitato sanzioni che, come facevano i farisei con i giudei, impongano a Germania, Italia e Francia pesi che loro non si sognano di toccare con un dito).

L’intenzione dell’Imperatore era quella di far crollare l’economia inglese tagliando i suoi sbocchi commerciali e il flusso in entrata di materie prime destinate ad alimentare la produzione manifatturiera (cereali, armi, munizioni, cotone, lana, ecc.). Si stima che le esportazioni inglesi siano diminuite del 20% tra il 1808 e i11810. Ma nulla rispetto al crollo dei commerci nel Continente. Scrive de Maisone Rouge: «Il porto di Marsiglia vide diminuire il suo traffico dall’approdo di 200 commerciali d’oltremare nel 1805 a meno di 50 nel 1808 e a 4 nel 1812. Lo stesso vale per i porti di Olanda, Germania e Italia». Come Mosca oggi, Londra allora si servì delle triangolazioni con Paesi che si rifiutarono di attuare le sanzioni, nonostante l’Imperatore sequestrasse qualsiasi naviglio sfiorasse le coste britanniche. Il contrabbando fiorì. Così come l’elusione furbastra di questi precetti draconiani.

Boomerang

Insomma, gli effetti del blocco si rivelarono controproducenti, poiché sia le materie prime che le macchine utensili scarseggiavano e le vendite al di fuori dell’Europa non furono mai compensate da quelle con l’Impero britannico e i suoi alleati. Mentre l’Inghilterra fu in grado di forgiare un’economia rivolta verso altri orizzonti, diventando la nazione dominante del XIX secolo. Dio non voglia che le sanzioni, non solo impoveriscano l’Europa, ma facciano grande l’impero russo. Oltretutto, le sanzioni puniscono più i popoli dei sovrani. E i popoli tendono a prendersela non con i tiranni, ma con chi gli toglie il pane. Spinge inesorabilmente alla guerra, non alla resa e alla pace. Andò così con le sanzioni contro l’Italia dopo il 1936. Del resto, accadde lo stesso quando Atene, per volontà di Pericle, impose le prime sanzioni economiche di cui si abbia conoscenza. Ne parla Tucidide. Il blocco commerciale fu applicato alla città di Megara nel 432, tanti morirono di fame. Risultato? Il trionfo di Atene? Macché. Questa decisione condusse – lascia intendere il medesimo Tucidide – alla guerra del Peloponneso, cioè alla disfatta di Atene e alla vittoria di Sparta. Come scrisse Luigi Einaudi: prediche inutili.

Foto di copertina: La Battaglia di Trafalgar – combattuta durante la guerra della Terza coalizione – in un dipinto del 1836 di Clarkson Frederick Stanfield.

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