Papa Francesco invita i vescovi a prendersi cura del ‘gregge’

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Nella penultima giornata in terra canadese papa Francesco ha celebrato i Vespri nella cattedrale di Quebec, salutato dal ringraziamento di mons. Raymond Poisson, vescovo di St-Jérôme-Mont-Laurier e presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici del Canada:

“Santo Padre, con grande gioia e profonda riconoscenza saluto la Sua presenza in Canada a nome di tutti i miei fratelli Vescovi. La Sua risposta positiva al nostro invito e la Sua presenza, qui oggi, a Québec sono per noi una testimonianza di affetto molto apprezzata”.

Papa Francesco lo ha ringraziato, ricordando san Francesco de Laval, prendendo spunto dalla lettura dei Vespri: “E’ significativo che ci troviamo nella basilica di Notre-Dame de Québec, cattedrale di questa Chiesa particolare e sede primaziale del Canada, il cui primo vescovo, saint François de Laval, aprì il Seminario nel 1663 e per tutto il suo ministero si occupò della formazione dei preti…

Mentre siamo qui radunati come Popolo di Dio, ricordiamoci che è Gesù il Pastore della nostra vita, che si prende cura di noi perché ci ama davvero. A noi, pastori della Chiesa, è chiesta questa stessa generosità nel pascere il gregge, perché possa manifestarsi la sollecitudine di Gesù per tutti e la sua compassione per le ferite di ciascuno”.

E’ un invito a pascere le pecore secondo l’esortazione di san Pietro: “Prendetevene cura con dedizione e tenerezza. Ed, aggiunge, fatelo ‘volentieri’, non per forza: non come un dovere, non come stipendiati religiosi o funzionari del sacro, ma con cuore di pastori, con entusiasmo.

Se noi guardiamo a Lui buon Pastore prima che a noi stessi, scopriamo di essere custoditi con tenerezza, sentiamo la vicinanza di Dio. Da qui nasce la gioia del ministero, e prima ancora la gioia della fede: non dal vedere ciò che noi siamo capaci di fare, ma dal sapere che Dio è vicino, che ci ha amati per primo e ci accompagna ogni giorno”.

Questo è il valore della gioia cristiana: “La gioia cristiana, piuttosto, è unita a un’esperienza di pace che rimane nel cuore anche quando siamo bersagliati da prove e afflizioni, perché sappiamo di non essere soli ma accompagnati da un Dio che non è indifferente alla nostra sorte. Come quando il mare è agitato: in superficie è in tempesta, ma in profondità rimane calmo e pacifico.

Ecco la gioia cristiana: un dono gratuito, la certezza di saperci amati, sorretti e abbracciati da Cristo in ogni situazione della vita. E’ Lui che ci libera dall’egoismo e dal peccato, dalla tristezza della solitudine, dal vuoto interiore e dalla paura, dandoci uno sguardo nuovo sulla vita e sulla storia”.

Ed ha chiesto se la Chiesa esprime la gioia cristiana: “Se vogliamo affrontare alla radice questi interrogativi, non possiamo fare a meno di riflettere su ciò che, nella realtà del nostro tempo, minaccia la gioia della fede e rischia di oscurarla, mettendo seriamente in crisi l’esperienza cristiana.

Viene subito da pensare alla secolarizzazione, che da tempo ha ormai trasformato lo stile di vita delle donne e degli uomini di oggi, lasciando Dio quasi sullo sfondo. Egli sembra scomparso dall’orizzonte, la sua Parola non pare più una bussola di orientamento per la vita, per le scelte fondamentali, per le relazioni umane e sociali”.

Il papa ha messo in guardia contro il pessimismo: “Dobbiamo però fare subito una precisazione: quando osserviamo la cultura in cui siamo immersi, i suoi linguaggi e i suoi simboli, occorre stare attenti a non restare prigionieri del pessimismo e del risentimento, lasciandoci andare a giudizi negativi o a inutili nostalgie”.

Ed ha proposto due modi per guardare il mondo: “Il primo, lo sguardo negativo, nasce spesso da una fede che, sentendosi attaccata, si concepisce come una specie di ‘armatura’ per difendersi dal mondo… Il Signore, che detesta la mondanità, ha uno sguardo buono sul mondo.

Egli benedice la nostra vita, dice bene di noi e della nostra realtà, si incarna nelle situazioni della storia non per condannare, ma per far germogliare il seme del Regno proprio là dove sembrano trionfare le tenebre. Se ci fermiamo a uno sguardo negativo, finiremo per negare l’incarnazione, perché fuggiremo la realtà, anziché incarnarci in essa”.

Invece per uno sguardo sul mondo occorre il discernimento di san Paolo VI: “Infatti, Dio non ci vuole schiavi, ma figli, non vuole decidere al posto nostro, né opprimerci con un potere sacrale in un mondo governato da leggi religiose.

No, Egli ci ha creati liberi e ci chiede di essere persone adulte e responsabili nella vita e nella società. Altra cosa, distingueva Paolo VI, è il secolarismo, una concezione di vita che separa totalmente dal legame con il Creatore, cosicché Dio diventa ‘superfluo e ingombrante’ e si generano ‘nuove forme di ateismo’ subdole e svariate”.

Compito dei ‘pastori’ è il discernimento: “Ecco, come Chiesa, soprattutto come pastori del Popolo di Dio e come operatori pastorali, sta a noi saper fare queste distinzioni, discernere. Se cediamo allo sguardo negativo e giudichiamo in modo superficiale, rischiamo di far passare un messaggio sbagliato, come se dietro alla critica sulla secolarizzazione ci fosse da parte nostra la nostalgia di un mondo sacralizzato, di una società di altri tempi nella quale la Chiesa e i suoi ministri avevano più potere e rilevanza sociale. Questa è una prospettiva sbagliata”.

La secolarizzazione è un invito a riflettere sul modo di trasmettere la fede: “Se ci soffermiamo su questo aspetto, ci accorgiamo che non è la fede a essere in crisi, ma certe forme e modi attraverso cui la annunciamo…

Così lo sguardo che discerne, mentre ci fa vedere le difficoltà che abbiamo nel trasmettere la gioia della fede, ci stimola a ritrovare una nuova passione per l’evangelizzazione, a cercare nuovi linguaggi, a cambiare alcune priorità pastorali, ad andare all’essenziale”.

Il problema oggi è l’annuncio del Vangelo: “Cari fratelli e sorelle, c’è bisogno di annunciare il Vangelo per donare agli uomini e alle donne di oggi la gioia della fede. Ma questo annuncio non si dà anzitutto a parole, bensì attraverso una testimonianza traboccante di amore gratuito, come fa Dio con noi. E’ un annuncio che chiede di incarnarsi in uno stile di vita personale ed ecclesiale che possa far riaccendere il desiderio del Signore, infondere speranza, trasmettere fiducia e credibilità”.

Ed ha proposto tre piste per affrontare le sfide: “La  prima: far conoscere Gesù. Nei deserti spirituali del nostro tempo, generati dal secolarismo e dall’indifferenza, è necessario ritornare al primo annuncio. Non possiamo presumere di comunicare la gioia della fede presentando aspetti secondari a chi non ha ancora abbracciato il Signore nella vita, oppure soltanto ripetendo alcune pratiche o replicando le forme pastorali del passato.

Occorre trovare vie nuove per annunciare il cuore del Vangelo a quanti non hanno ancora incontrato Cristo. Ciò presuppone una creatività pastorale per raggiungere le persone là dove vivono, trovando occasioni di ascolto, di dialogo e di incontro. Occorre ritornare all’essenzialità e all’entusiasmo degli Atti degli Apostoli, alla bellezza di sentirci strumenti della fecondità dello Spirito oggi”.

La Chiesa canadese ha iniziato questo percorso: “Il Vangelo si annuncia in modo efficace quando è la vita a parlare, a rivelare quella libertà che fa liberi gli altri, quella compassione che non chiede nulla in cambio, quella misericordia che senza parole parla di Cristo.

La Chiesa in Canada ha iniziato un percorso nuovo, dopo essere stata ferita e sconvolta dal male perpetrato da alcuni suoi figli. Penso in particolare agli abusi sessuali commessi contro minori e persone vulnerabili, scandali che richiedono azioni forti e una lotta irreversibile. Io vorrei, insieme a voi, chiedere ancora perdono a tutte le vittime”.

E’ un invito alla conversione: “Il dolore e la vergogna che proviamo deve diventare occasione di conversione: mai più! E, pensando al cammino di guarigione e riconciliazione con i fratelli e le sorelle indigeni, mai più la comunità cristiana si lasci contaminare dall’idea che esista una superiorità di una cultura rispetto ad altre e che sia legittimo usare mezzi di coercizione nei riguardi degli altri.

Recuperiamo l’ardore del vostro primo Vescovo, saint François de Laval, che si scagliò contro tutti coloro che degradavano gli indigeni inducendoli a consumare bevande per truffarli. Non permettiamo che alcuna ideologia alieni e confonda gli stili e le forme di vita dei nostri popoli per cercare di piegarli e di dominarli”.

Per compiere tale conversione c’è bisogno di fraternità, come ribadiva san Laval: “La Chiesa sarà credibile testimone del Vangelo quanto più i suoi membri vivranno la comunione, creando occasioni e spazi perché chiunque si avvicini alla fede trovi una comunità ospitale, che sa ascoltare ed entrare in dialogo, che promuove una qualità buona delle relazioni…

Si tratta di vivere una comunità cristiana che così diventa scuola di umanità, dove si impara a volersi bene come fratelli e sorelle, disposti a lavorare insieme per il bene comune. Al cuore dell’annuncio evangelico, infatti, c’è l’amore di Dio, che trasforma e rende capaci di comunione con tutti e di servizio verso tutti”.

(Foto: Santa Sede)

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