Papa Francesco chiede perdono agli Indiani

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Il viaggio ‘penitenziale’ di papa Francesco in Canada entra nel vivo con l’incontro delle Tribù Indiane del Canada Occidentale attraverso il primo discorso con cui ha rinnovato la richiesta di ‘perdono’ per i modi in cui “purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni”. Alle parole il Papa aggiunge gesti significativi con il bacio dello striscione rosso con i nomi dei bimbi vittime delle scuole residenziali.

Il capo indigeno Wilton Littlechild lo ha ringraziato della visita: “Il mio nome in Cree è ‘Usow-Kihew’, che significa ‘Aquila d’oro’. In inglese sono conosciuto come Wilton Littlechild. Sono stato uno studente qui alla scuola residenziale Ermineskin, che, per la Sua visita tra noi oggi, rappresenta tutte le scuole residenziali del nostro Paese.

Si sono riuniti qui questa mattina con la gente di Maskwacis i sopravvissuti delle scuole residenziali, i capi, i dirigenti, gli anziani, i custodi della conoscenza e i giovani delle comunità First Nations, Métis e Inuit di tutta la nostra terra. Ci sentiamo particolarmente onorati di accogliere anche il Governatore Generale del Canada, Sua Eccellenza Mary Simon, e il Primo Ministro, l’Onorevole Justin Trudeau”.

La speranza è quella di iniziare un cammino nuovo: “E ora, Santità, Lei è venuto nella nostra terra in risposta al nostro invito e come Lei ci ha promesso. Ha detto che viene come pellegrino, cercando di camminare insieme a noi sulla via della verità, della giustizia, della guarigione, della riconciliazione e della speranza. Siamo lieti di accoglierLa per unirsi a noi nel viaggio.

Come ha riconosciuto nel Suo discorso a Roma, noi Popoli Indigeni ci sforziamo di considerare l’impatto degli eventi e delle deliberazioni presenti sulle generazioni future. In quello stesso spirito, speriamo sinceramente che il nostro incontro di questa mattina, e le parole che condivide con noi, otterranno una vera guarigione e una vera speranza per molte generazioni a venire”.

Il primo discorso del papa è stato incentrato sul significato della memoria: “Fare memoria: fratelli e sorelle, avete vissuto in questa terra per migliaia di anni con stili di vita che hanno rispettato la terra stessa, ereditata dalle generazioni passate e custodita per quelle future.

L’avete trattata come un dono del Creatore da condividere con gli altri e da amare in armonia con tutto quanto esiste, in una vivida interconnessione tra tutti gli esseri viventi. Avete così imparato a nutrire un senso di famiglia e di comunità, e sviluppato legami saldi tra le generazioni, onorando gli anziani e prendendovi cura dei piccoli.

Quante buone usanze e insegnamenti, incentrati sull’attenzione agli altri e sull’amore per la verità, sul coraggio e sul rispetto, sull’umiltà e sull’onestà, sulla sapienza di vita!”

Citando Elie Wiesel il papa ha sottolineato l’indignazione di quanto è successo: “Fare memoria delle esperienze devastanti avvenute nelle scuole residenziali ci colpisce, ci indigna, ci addolora, ma è necessario. E’ necessario ricordare come le politiche di assimilazione e di affrancamento, che comprendevano anche il sistema delle scuole residenziali, siano state devastanti per la gente di queste terre”.

Purtroppo non c’è stato l’incontro tra i popoli: “Quando i coloni europei vi arrivarono per la prima volta, c’era la grande opportunità di sviluppare un fecondo incontro tra culture, tradizioni e spiritualità. Ma in gran parte ciò non è avvenuto.

E mi tornano alla mente i vostri racconti: di come le politiche di assimilazione hanno finito per emarginare sistematicamente i popoli indigeni; di come, anche attraverso il sistema delle scuole residenziali, le vostre lingue, le vostre culture sono state denigrate e soppresse; e di come i bambini hanno subito abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali; di come sono stati portati via dalle loro case quando erano piccini e di come ciò abbia segnato in modo indelebile il rapporto tra i genitori e i figli, i nonni e i nipoti”.

Quindi il papa ha chiesto perdono per la Chiesa che attraverso alcuni suoi membri ha cooperato con i governi, come aveva ricordato san Giovanni Paolo II nel 1998: “Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali.

Sebbene la carità cristiana fosse presente e vi fossero non pochi casi esemplari di dedizione per i bambini, le conseguenze complessive delle politiche legate alle scuole residenziali sono state catastrofiche. Quello che la fede cristiana ci dice è che si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo… Vorrei ribadirlo con vergogna e chiarezza: chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”.

Quindi il primo discorso del papa è stato un invito al silenzio: “Oggi sono qui a ricordare il passato, a piangere con voi, a guardare in silenzio la terra, a pregare presso le tombe. Lasciamo che il silenzio ci aiuti tutti a interiorizzare il dolore. Silenzio. E preghiera: di fronte al male preghiamo il Signore del bene; di fronte alla morte preghiamo il Dio della vita”.

Un silenzio che apre alla Grazia di Gesù: “Il Signore Gesù Cristo ha fatto di un sepolcro, capolinea della speranza di fronte al quale erano svaniti tutti i sogni ed erano rimasti solo pianto, dolore e rassegnazione, ha fatto di un sepolcro il luogo della rinascita, della risurrezione, da cui è partita una storia di vita nuova e di riconciliazione universale.

Non bastano i nostri sforzi per guarire e riconciliare, occorre la sua Grazia: occorre la sapienza mite e forte dello Spirito, la tenerezza del Consolatore. Sia Lui a colmare le attese dei cuori. Sia Lui a prenderci per mano. Sia Lui a farci camminare insieme”.

(Foto: Santa Sede)

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