Perché un pontificato “liquido” non è possibile

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Il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, scomparso nel 2017, ha coniato l’espressione “società liquida” per descrivere la società odierna. Vale a dire, una società in cui tutto è relativizzato, in cui ogni punto di vista è valido e relativo, e in cui non si procede secondo le proprie convinzioni ma si è convinti di prendere questa o quella posizione.

La società liquida è il risultato estremo del mondo individualista, che vuole garantire diritti a tutti e, così facendo, impone una dittatura contro chi si oppone ad alcuni di questi diritti e dimostra che questi diritti non sono naturali ma artificiali.

Se la Chiesa è anche lo specchio della società, come è vero, allora il rischio è che l’approccio degli uomini di Chiesa sia proprio quello di una società liquida. Vale a dire, un approccio meno radicato nella dottrina e nella fede dei padri e più radicato nel sentimentalismo transitorio o nell’idea della misericordia. Certo, giusto e sbagliato restano, ma sono vaghi concetti di fondo, che tra l’altro non possono essere proposti, né tanto meno imposti, a nessuno.

Gli effetti di questo approccio si sono visti anche durante il pontificato di Papa Francesco. Papa Francesco ha utilizzato un approccio particolarmente “fluido” alle situazioni, mostrando capacità camaleontiche di cambiare idea e prese di posizione molto intelligenti che non equivalevano a prendere posizione.

Ad esempio, la diplomazia di Papa Francesco è “fluida” quando punta tutto sui rapporti personali con i Capi di Stato o di governo. Crede poi che la sua sola presenza in Cina, a Mosca oggi, potrebbe essere sufficiente a garantire la libertà religiosa e un cessate il fuoco, perché è importante aprire prima i processi. Papa Francesco cerca nuovi partner quando vede che i partner cambiano rotta.

Anche il cammino di riforma di Papa Francesco è “fluido” perché è andato avanti per tentativi, con un’idea generale di volere una Chiesa in uscita, ma certamente senza una vera e propria struttura di pensiero che tenesse alla storia, alla tradizione e ai compiti della istituzione destinate a cambiare. Papa Francesco, infatti, ha utilizzato più spesso il sistema del Motu proprio per legiferare [QUI].

Infine, c’è l’approccio a temi significativi, svolto con strumenti leggeri, come le Lettere apostoliche o le Esortazioni apostoliche. Papa Francesco lavora personalmente per rompere ogni possibile struttura di potere o di resistenza. Eppure, così facendo, non si preoccupa delle relazioni internazionali e mette a rischio l’istituzione stessa – vedi le possibili conseguenze del recente processo vaticano [QUI].

Si tratta di approcci al mondo; la storia dirà se hanno ragione o torto. La storia, infatti, ha già dimostrato a Papa Francesco che non può esserci un pontificato “liquido”, perché questo crea più problemi che soluzioni.

Una storia che è venuta alla ribalta nella forma del Cammino sinodale della Chiesa in Germania. In pratica, per rispondere alla crisi della Chiesa, che è anche una crisi dei fedeli, la Chiesa in Germania ha convocato un Sinodo, sottolineando che le sue decisioni su questioni come la sessualità e il sacerdozio sarebbero vincolanti. Papa Francesco aveva inviato una lettera nel 2019 [QUI], sottolineando che quelle decisioni potevano solo essere assunte dal quartier generale. Tuttavia, i vescovi tedeschi continuarono sul loro cammino. E così sono andati avanti con una serie di proposte.

Va detto che Papa Francesco ha voluto aprire il cammino sinodale in tutto il mondo perché il Sinodo sulla sinodalità ha visto diverse Chiese locali presentarsi con proposte di confine. I vescovi francesi sono arrivati ​​dopo aver ingaggiato una società di consulenza esterna per mediare i disaccordi [QUI e QUI], e i vescovi svizzeri hanno adottato raccomandazioni simili a quelle del Cammino sinodale tedesco [QUI]. Anche i vescovi belgi non erano lontani dalle proposte tedesche.

Lo hanno fatto, però, all’interno di un processo sinodale, con l’idea di portare queste idee sul tavolo del Sinodo generale. D’altra parte, il Sinodo della Chiesa in Germania intende continuare il suo cammino e concluderlo da solo.

Occorreva allora una seconda lettera, una Dichiarazione della Santa Sede pubblicata il 21 luglio [QUI], che iniziava col dire che “per tutelare la libertà del popolo di Dio e l’esercizio del ministero episcopale, pare necessario precisare che il ‘Cammino sinodale’ in Germania non ha facoltà di obbligare i Vescovi ed i fedeli ad assumere nuovi modi di governo e nuove impostazioni di dottrina e di morale”.

La Dichiarazione spiegava che “non sarebbe lecito avviare nelle diocesi, prima di un’intesa concordata a livello di Chiesa universale, nuove strutture ufficiali o dottrine, che rappresenterebbero una ferita alla comunione ecclesiale e una minaccia all’unità della Chiesa”.

E ha concluso con l’auspicio che “le proposte del Cammino delle Chiese particolari in Germania confluiscano nel percorso sinodale che sta percorrendo la Chiesa universale, per un reciproco arricchimento e una testimonianza di quella unità con la quale il corpo della Chiesa manifesta la sua fedeltà a Cristo Signore”.

Questa posizione parla di un bisogno di chiarezza. Tuttavia, dato che Papa Francesco non ha firmato la Dichiarazione, si può anche dire che non è stato lui a volerla e che invece vuole un autentico rinnovamento nella Chiesa e che la Curia gli sta bloccando il progetto.

Il fatto che la Dichiarazione eviti di mettere in primo piano il Papa non significa che il Papa non sia d’accordo. Infatti, ha acconsentito. In caso contrario, la Dichiarazione non sarebbe stata pubblicata. Del resto, anche Papa Francesco sa che un pontificato “liquido” può esistere, forse, su questioni di minore importanza. Ma quando si tratta di dottrina, a un certo punto, deve tornare a prendere decisioni solide e concrete. Altrimenti rischi il caos. Ed è il caos che si è già verificato in molti casi.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato oggi dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

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