Le prime 3 priorità del prossimo Governo

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Inizia oggi la campagna elettorale e, per come è partita, c’è da scommettere che si svilupperà più sullo scontro personale che sul confronto di idee anche lontane tra loro.

Beninteso, un confronto di idee può essere anche duro, forte, ammettiamo pure che possa trasformarsi in scontro di visioni, progetti, antropologie, ma che almeno si discuta, si parli, si animi il dibattito sociale, e poi si scelga ai sensi delle regole democratiche. Questo è il minimo per uscire dallo scontro personale, utile agli algoritmi ma dannoso per una democrazia parlamentare come la nostra. Purtroppo la Social-Communication ci ha abituati alla reductio del mi-piace contro il non-mi-piace, peraltro su temi e con criteri analitici pre-scelti da pochi che si trovano nella parte alta della piramide globale; questo a sua volta costituisce la base logica per la reductio della capacità di ragionamento, di comprensione di un pensiero articolato, di lettura di un episodio in un contesto o in una tendenza. Con questa premessa, ecco una semplice quanto paradossale riflessione sulle priorità del prossimo Governo, insieme a qualche motivazione. 

La prima priorità è: il lavoro. Ogni lavoro è un lavoro degno e lavorare dà dignità alla vita. Dal funzionario e dal dipendente pubblico, passando per l’operaio, arrivando al partita-Iva, all’artigiano e al raccoglitore nei campi. Una politica del lavoro deve passare da un cambio culturale in questa direzione. E questa dignità ha come prima conseguenza un fatto: ogni sostegno pubblico va offerto in cambio di lavoro (e viceversa), pubblico, privato, socialmente utile che sia. Ne parlava già Keynes, magari esagerando sul fare buche e riempire buche, ma la logica corretta è che ogni lavoro è degno e dà dignità alla vita, non l’inoccupazione. Se ne discuta, per favore.

La seconda priorità è: il lavoro. Rivedere la politica dei bonus, che, nella loro discrezionalità non strutturale, mettono in secondo piano la contrattualistica giuslavoristica, scivolando pericolosamente verso il paternalismo padronale tanto combattuto negli anni delle lotte sindacali, oggi sterilizzate da strane simpatie tra chi dovrebbe sedere su lati opposti del tavolo, nel rispetto reciproco, ma nella diversità delle funzioni. Se ne discuta, per favore.

La terza priorità è: il lavoro. Lo stipendio minimo in misura da definire e di cui si parla va bene quando il principio è applicato a tutti. Per banalissimo esempio, se un partita-Iva forfetario non fattura perché sia ammala, gli dai l’integrazione, lo esenti dall’Inps minima o cosa? Una politica del lavoro che tenga il primo punto come sostanziale se lo deve chiedere. Magari si risponde di no, ma si deve dire perché. Tuttavia anche lo stipendio massimo va messo sotto la lente se un top manager prende 649 volte lo stipendio di un operaio e magari ha licenziato o messo in cassa integrazione i dipendenti per migliorare i bilanci su cui è parametrato il suo stipendio. Basterebbe iniziare con una prima regoletta: hai messo in cassa integrazione dei dipendenti nell’anno di bilancio? Gli altri cittadini stanno pagando questa scelta con le loro tasse e i loro contributi? Allora perdi i benefici legati al bilancio così che il tuo stipendio totale magari sia 10 volte quello del salario più basso, non centinaia di volte; un limite, questo, indicato non da un Marx o un  Proudhon o un Saint-Simon, ma dall’imprenditore Adriano Olivetti. Così come, in mancanza di ulteriori risorse, vanno compressi al centro gli stipendi pubblici su base funzionale: un insegnante laureato con decenni di esperienza prende 28mila euro lordi all’anno, mentre lo stipendio pubblico Top è di 240mila. Nel mentre, faccio semplicemente notare che nell’ultima legge di bilancio il tetto dei 240mila euro per i vertici amministrativi pubblici verrà sfondato per la prima volta dal 2014 venendo gli stipendi riparametrati in base agli aumenti ISTAT; questo succede mentre, secondo l’OCSE,  l’Italia è l’unico Paese europeo che nel trentennio 1990-2020 ha perso il 2,9% del salario minimo, mentre in tutti gli altri Paesi i salari sono cresciuti. Se ne discuta, per favore e per giustizia.

Certo serve pure un nuovo patto collettivo di onestà perché chi froda lo Stato sui sostegni al lavoro, temporanei o strutturali che siano,  passi dalla categoria di furbo-furbetto a quella di delinquente comune, da rieducare e reinserire nel consesso sociale, secondo l’articolo 27, comma 3 della Costituzione, quella più bella del mondo, ma forse addormentata nel bosco. Ne va della dignità della persona, non solo del lavoro. Se ne discuta, pure di questo, per favore e per giustizia.

Questo articolo è stato pubblicato oggi dall’autore sul suo blog dire oltre [QUI].

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