Beato Tommaso da Tolentino: le missioni ed i martiri francescani nel Trecento

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Un messaggio molto attuale, forte e chiaro quello che è stato lanciato da Tolentino a chiusura del 700^ anniversario della morte del beato Tommaso da Tolentino: da un’azione locale svolta con intelligenza e perseveranza si può incidere anche su delle questioni che interessano territori geograficamente lontani.

Il prof. p. Pietro Messa, docente alla Pontificia Università Antonianum di Roma, ha esortato ad andare oltre il campanilismo della celebrazione del Santo locale ed invece di contribuire alla beatificazione dei suoi Confratelli martiri, in particolare di Demetre, perché in questo momento darebbe più forza alla chiesa cattolica georgiana nella sua paziente e laboriosa azione diplomatica per riportare le ragioni della pace a prevalere su quelle che hanno scatenato il sanguinoso conflitto in atto in quelle aree intorno al Mar Nero.

P. Messa ha incentrato l’intervento partendo dai protomartiri francescani in Marocco ai martiri di Thane in India: “Berardo da Calvi, Ottone da Stroncone, Pietro da Sangemini, Accursio Vacuzio e Adiuto da Narni. Furono loro i primi martiri francescani, coloro che versarono il proprio sangue per testimoniare la fede in Cristo. E furono loro i primi missionari inviati da San Francesco nelle terre dei Saraceni.

Li animava il desiderio di santità, quello stesso di Francesco. I cinque protomartiri all’inizio del XIII secolo, erano giovani, persone semplici, come la maggior parte dei contemporanei, dediti al lavoro dei campi e di limitata istruzione. L’incontro con Francesco d’Assisi cambia per sempre la loro vita.

La personalità di Francesco li travolge tanto da accendere i loro cuori e di prendere l’iniziativa di viaggiare per il mondo a predicare il Vangelo e a diffondere la regola francescana. I cinque martiri non solo lasciarono tutto, lasciarono anche sé stessi, vincendo la paura dell’incognito e della morte”.

Nel frattempo la politica di espansione dell’impero mongolo attuata da Genghiz khan nel primo quarto del XIII secolo ha avuto uno sviluppo ampio e veloce. Alla sua morte nel 1227 l’impero costruito in quegli anni venne diviso in quattro parti, una per ciascuno dei figli i quali, a loro volta, hanno ampliato i confini dei territori sotto il dominio della dinastia mongola.

Fondamentalmente il dominio dei quattro successori di Genghiz khan nelle decadi centrali del Duecento hanno creato una distinzione che è rimasta visibile in Asia fino ad oggi. Si può provare a descriverle sommariamente così: l’attuale Cina meridionale e la Russia orientale era in mano a Qubilai, il Medio Oriente era in mano a Hülegü, la Mongolia e nord della Cina in mano a Chagatai, la Russia orientale in mano a Batu.

 Le successioni non furono del tutto pacifiche ed anche in seguito non mancarono gli scontri per la determinazione dei confini; gli scontri più cruenti si ebbero nella zona di confine tra Crimea e Mar Caspio; nell’ultimo quarto del XIII secolo si scontrarono ripetutamente i due imperi dell’Il-Khan e dell’Orda d’oro:

“Proprio in quell’area alla fine del Duecento passa la porta di accesso per l’Oriente usata dai mercanti europei, soprattutto genovesi e veneziani. Per una nave mercantile delle repubbliche marinare che si recasse in Oriente era fondamentale poter accedere dapprima attraverso il Bosforo al Mar Nero e poi da lì dirigersi a nord, verso la Crimea e quindi risalire per via fluviale il territorio asiatico.

Verso est si procedeva navigando il fiume Don fino ad arrivare all’attuale Volgograd, e da lì ci si poteva recare ancora più a est navigando il fiume Volga, fino al mar Caspio”.

E qui si è inserito il racconto di p. Alessio Mecella, dottorando in Storia del francescanesimo, che ha raccontato il motivo per cui i francescani hanno evangelizzato la Crimea: “Dalla parte a nord della Crimea si può navigare il fiume Dnepr e risalire fino a Kiev; la penisola di Crimea era dunque l’unico snodo che dava accesso all’Oriente.

Si consideri inoltre che alla fine del Duecento, dopo la caduta dei regni latini in Terra Santa e la conquista dei territori da parti ostili ai cristiani, si era chiuso il più importante accesso ad Oriente del Mediterraneo. I mercanti della penisola italica, tra cui Marco Polo, volsero la loro attenzione verso il Ponto.

Giunsero allora numerosi nel Mar Nero e crebbe moltissimo l’importanza di città come Caffa, l’attuale Theodosia, che dava accesso al Mar d’Azov e di Cherson, che dava accesso al fiume Don e quindi alla via per Kiev”.

Questa via fu seguita anche dai francescani: “Tra i frati spintisi in quelle terre vi fu il francescano Giovanni da Pian del Carpine e il domenicano Guglielmo di Rubruck, Giovanni da Montecorvino, primo vescovo in terra di Cina, il beato Tommaso da Tolentino, il beato Gentile da Matelica ma anche un gruppo di frati Minori, tra cui il georgiano Demetrio da Tbilisi, che andranno fino in India dove testimoniarono la loro fede morendo martiri nel 1321. Così l’annunzio di pace rivelato dal Signore a Francesco d’Assisi attraverso i frati Minori giunse nel Donbass e da lì nell’intero continente asiatico”.

Al termine dell’incontro a p. Alessio Merella abbiamo chiesto di spiegarci il motivo della scelta dell’India da parte dei francescani marchigiani: “Scelgono l’India, perché è una via di comunicazione che si aprono nel Trecento per andare ad Oriente, perché da qui arrivavano tessuti, spezie, i colori per la pittura e tanti altri prodotti ricercati in Europa.

Nel 1291 cade Acri, che è stato l’ultimo baluardo latino in Terra Santa. Quindi non è più possibile andare in Oriente attraverso la Terra Santa. Alcuni commercianti seguono la rotta al sud del mar Caspio ed arrivano in Cina passando attraverso l’India; altri attraverso il mar Nero seguono la via al nord del mar Caspio.

Per questo i francescani si mettono in coda ai commercianti, perché loro hanno già le reti commerciali e conoscenza dei territori e si accodano ai commercianti delle repubbliche marinare di Venezia e di Genova; dove arrivano loro arrivano anche i francescani per evangelizzare ai pagani l’annuncio della resurrezione di Cristo”.

Inoltre ha tracciato un quadro storico del XIII secolo dell’Europa orientale: “Nel frattempo la politica di espansione dell’impero mongolo attuata da Genghiz khan nel corso del primo quarto del XIII secolo ha avuto uno sviluppo ampio e veloce. Alla sua morte nel 1227 l’impero costruito in quegli anni venne diviso in quattro parti, una per ciascuno dei figli i quali, a loro volta, hanno ampliato i confini dei territori sotto il dominio della dinastia mongola…

E’ interessante notare come i territori dell’attuale Russia occidentale costituiscano in linea di massima la parte d’impero spettata a Jöchi, figlio di Genghiz khan, morto pochissimo tempo dopo essere salito al potere. A Jöchi successe al potere Batu che diede vita un impero destinato a durare nei secoli.

Le successioni non furono del tutto pacifiche ed anche in seguito non mancarono gli scontri per la determinazione dei confini; gli scontri più cruenti si ebbero nella zona di confine tra Crimea e Mar Caspio; nell’ultimo quarto del XIII secolo si scontrarono ripetutamente i due imperi dell’Il-Khan e dell’Orda d’oro”.

Perché scelgono la ‘via’ del Donbass per andare in Cina?

“Dall’attuale Donbass, alla fine del Duecento, passa la porta di accesso per l’Oriente usata dai mercanti europei, soprattutto genovesi e veneziani. Per una nave mercantile delle repubbliche marinare che si recasse in Oriente era fondamentale poter accedere dapprima attraverso il Bosforo al Mar Nero e poi da lì dirigersi a nord, verso la Crimea e quindi risalire per via fluviale il territorio asiatico. Verso est si procedeva navigando il fiume Don fino ad arrivare all’attuale Volgograd, e da lì ci si poteva recare ancora più a est navigando il fiume Volga, fino al mar Caspio.

Inoltre dalla parte a nord della Crimea si può navigare il fiume Dnepr e risalire fino a Kiev; la penisola di Crimea era dunque l’unico snodo che dava accesso all’Oriente. Si consideri inoltre che alla fine del Duecento, dopo la caduta dei regni latini in Terra Santa e la conquista dei territori da parti ostili ai cristiani, si era chiuso il più importante accesso ad Oriente del Mediterraneo”.

Quanto è importante Pietro di Giovanni Olivi in questa scelta missionaria dei francescani?

“Dal mio punto di vista è fondamentale, perché è colui che passa il messaggio all’interno dell’ordine dei frati minori, affermando che è necessario che i pagani si convertano, affinchè possa venire il Signore alla fine dei tempi. In una lettera l’apostolo Paolo scrive che tutte le genti si convertano, affinchè torni il Signore nella gloria per la resurrezione di tutti. I francescani prendono alla lettera il versetto, mossi proprio dalle indicazioni date da Pietro di Giovanni Olivi, che per primo mette a tema la venuta di Gesù alla fine dei tempi all’interno dei frati minori”.

Per quale motivo il beato Tommaso abbraccia la ‘linea’ di Pietro di Giovanni Olivi?

“L’abbraccia, perché questo modo di pensare che la fine dei tempi è vicina è caratteristica di vivere la fede già vissuta da alcuni frati minori, che desideravano vivere in maniera più radicale la fede, facendolo attraverso una povertà più stretta, predicata sempre da Pietro di Giovanni Olivi. Insieme al discorso della povertà si lega anche l’annuncio ai pagani la Resurrezione di Cristo, affinchè credano per entrare tutti nel Regno di Dio”.

(Tratto da Aci Stampa)

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