La missione della Chiesa in un mondo apostata

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In seguito alla pubblicazione dell’ultimo articolo su questo blog (che avrei voluto e dovuto intitolare “Quello che la Chiesa (non) ha fatto per Scalfari”) [QUI] aggiungo qualche riflessione alla luce delle letture di domenica scorsa (XVI Domenica del Tempo ordinario, anno C).

Nel precedente articolo [QUI] mi sono chiesto se la suprema lex eccleasiae, la salus animarum, la salvezza delle anime, non vorrebbe che anziché l’amicizia e i buoni rapporti, la Chiesa debba prima di tutto annunciare la verità su Dio e sugli uomini al mondo, in modo particolare a chi (come è stato per Scalfari e com’è per molti politici, artisti e uomini influenti di questo tempo) si dice ateo e accusa la Chiesa di ingannare gli uomini con false scritture, false immagini di Dio e falsi precetti morali auspicando una Chiesa diversa, al passo coi tempi moderni.

In questo senso le letture di domenica scorsa sono state illuminanti. Il Vangelo (quel famoso episodio di Marta e Maria su cui ho scritto qualche tempo fa [QUI]), ci da un insegnamento fondamentale, come ha affermato il frate cappuccino durante l’omelia (finalmente un’omelia come Cristo comanda!) nel Santuario dello Splendore di Giulianova (TE): i cristiani non sono dei filantropi chiamati a sforzarsi per fare opere sociali, ma sono chiamati a stare con Cristo per portarlo al mondo e poter restituire agli uomini ciò che hanno ricevuto.

Ma la risposta al nostro quesito iniziale sulla missione della Chiesa nei confronti del mondo arriva dall’apostolo San Paolo, infaticabile catechista itinerante, invaso dallo uno zelo per annunciare il Vangelo. Riferendosi alla Chiesa, Paolo scrive (Col 1, 24-28):

Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

Paolo, in quanto apostolo, in quanto cristiano, non si presenta agli uomini come un amico, un operatore sociale, un pacifista, difensore della biodiversità e delle specie in estinzione, un attivista green che combatte le emissioni di carbonio e il riscaldamento globale, un membro onorario del WWF, un sostenitore della gender equality, un opponente delle fake news, uno psicologo di massa, un paladino della classe operaia, un giustiziere sociale per il riscatto dei poveri, un freelancer dell’impegno contro la deforestazione, un paladino dell’ecumenismo o un picconatore delle tradizioni religiose fatte di “pizzi e merletti”.

La missione di Paolo è quella di “portare a compimento” il mistero nascosto ma ora finalmente manifesto ai santi (ossia ai cristiani): non altro che Cristo. È lui che Paolo, gli apostoli, Pietro, i cristiani tutti annunciano “ammonendo e istruendo ogni uomo” per rendere tutti “perfetti in Cristo. La missione di Paolo è quella di portare a conoscenza di tutti gli uomini “la gloriosa ricchezza” del mistero di Cristo che apre le porte alla pienezza della vita eterna.

Ammonire ogni uomo che sia nell’errore è qualcosa che oggi è mal visto anche nella Chiesa. Per timore di scontentare, di invadere la privacy, di ferire sentimenti e di essere politicamente scorretti. Ma essere pastori vuole anche l’ammonimento di quelle pecore che smarriscono la vita, al fine di riportarle nel recinto del Buon Pastore. Altrimenti si rischia di abbandonare un gregge disperso di uomini stanchi e affaticati, “come senza pastore”.

Questa riflessione è stata pubblicato dall’autore oggi sul suo blog Testa del Serpente [QUI].

Foto di copertina: Eustache Le Sueur, La predicazione di San Paolo a Efeso, Louvre, Parigi.

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