Patriarca Moraglia: dalla misericordia nasce la salvezza

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Domenica scorsa Venezia ha celebrato la festa del Santissimo Redentore a ricordo della fine dell’epidemia di peste del 1575-1577. Qualche giorno prima il patriarca Francesco Moraglia aveva inaugurato il ponte votivo, sottolineando le difficoltà naturali che in tale periodo ci sono, ma anche quelle causate dall’uomo, come le guerre:

“Quest’anno la festa del Redentore viene celebrata in un contesto caratterizzato da difficoltà ed emergenze molteplici e crescenti che sembrano ‘autogenerarsi’ ed ‘autoalimentarsi’ fra loro; su tutte le emergenze, spicca la tragedia della guerra. E’ necessario un richiamo forte ad una pace giusta nel rispetto del diritto delle persone e dei popoli. Preghiamo affinché tutti inizino a lavorare realmente per questo bene primario dell’umanità, la pace”.

Un secondo appello è stato rivolto ai cittadini con un invito alla coesione sociale: “Ai credenti si chiede uno sguardo ricco di fede, capace di valutare l’attuale situazione con realismo e, quindi, né facili ottimismi né facili pessimismi; un realismo che si lasci interpellare dai fatti che chiedono di superare le visioni di parte, talvolta ideologiche, così difficili a farsi da parte”.

La socialità però deve essere fondata su una grammatica comune, che permette di affrontare le sfide: “Alcune parole debbono guidarci in questo tempo così difficile e del quale, sul piano umano, non si vede lo sbocco. Le parole da riscoprire e da mettere in circolo sono: ‘responsabilità’, ‘bene comune’, ‘fiducia’, ‘dignità della persona’.

Purtroppo in questi mesi la guerra è la drammatica e crudele realtà, la padrona che genera gli altri drammi, le urgenze e le sfide… La parola ‘pace’ deve essere la strada obbligata da percorrere, con fiducia e determinazione”.

Da qui l’appello all’unità: “L’appello è a lavorare tutti insieme, con fiducia, per costruire una rete sociale capace di tenerci tutti insieme. In situazioni di emergenza bisogna mettersi in gioco tutti, al di là di visioni di parte, e non darsi mai per vinti…

Affidiamo al Santissimo Redentore le persone che, a vari livelli, sono chiamate a prendere decisioni che inevitabilmente avranno ricadute sui popoli (civili, bambini, anziani…) e che segneranno pesantemente il nostro futuro, non solo immediato ma anche a medio e lungo termine”.

Mentre nel’omelia della celebrazione eucaristica domenicale il patriarca Moraglia ha ricordato il significato di pellegrino: “Tornare pellegrini al Redentore, fedeli all’antico voto fatto dalla città di Venezia, significa riconoscere che Gesù è l’unico e vero Salvatore, è la misericordia di Dio verso tutti. Vogliamo soffermarci su tale verità della fede cristiana e provare ad intuirne le implicazioni”.

E la riflessione si è concentrata sull’episodio evangelico della conversione dell’apostolo Matteo: “In un passo dei Vangeli si racconta la chiamata e la conversione di Matteo: era un peccatore e un pubblicano e quindi inviso alla gente per il suo mestiere e perché asservito al potere di Roma.

Per la mentalità farisaica del tempo nei confronti di tali persone doveva esserci separazione assoluta e non si potevano intrattenere contatti. Invece la misericordia di Dio, resa presente in Gesù, non solo elimina tale separazione ma al contrario si rivolge a Matteo il pubblicano, gli chiede di seguirlo e poi addirittura Gesù va a pranzo da lui”.

Gesù con l’azione apre orizzonti nuovi per l’uomo: “Gesù chiama e parla con i peccatori, sta con loro, apre a tutti e non chiude le porte a nessuno domandando, però, la conversione. Il banchetto finale ci dice che Gesù ha a cuore che l’annuncio della misericordia e della salvezza raggiunga non solo Matteo ma anche quelli del suo ambiente; la salvezza e la conversione non sono un fatto intimo e nascosto ma un evento che ha risonanza familiare e sociale.

Interessante è l’episodio della moltiplicazione dei pani: Gesù non raccoglie il suggerimento dei discepoli di congedare la folla (che pure, umanamente, aveva la sua logica) e non rimane indifferente di fronte alle necessità delle persone”.

Per il patriarca l’azione di Gesù che apre alla ‘dimensione verticale della carità’: “L’io filiale di Gesù Cristo, la sua identità più profonda, va incontro ad ogni uomo (che è fratello e sorella) come Redentore. E noi siamo vicini a Lui e siamo veramente suoi discepoli quando assumiamo i suoi sentimenti e ci facciamo carico, come Lui, dei fratelli e delle sorelle.

Il venire incontro nella carità ad ogni uomo, per un cristiano, non è semplice solidarietà umana perché riguarda una dimensione trascendente che rinvia sempre al cuore di Dio, alla Sua misericordia per l’umanità, al suo desiderio di bene e salvezza”.

Gesù abbatte i muri divisori con la Redenzione, come è narrato bene nel monologo tra il Grande Inquisitore e Cristo nel romanzo ‘I fratelli Karamazov’ di Dostoevskij:

“Ma Gesù abbatte il culto pagano ed ogni messianismo terreno (fama, potere, scaltrezza), ogni barriera e tentazione farisaica, anche contemporanea, di distacco altezzoso dagli altri, sia quando si traduce in separazione e discriminazione nei confronti di chi è povero, malato o considerato ‘altro’, sia quando diventa motivo di opposizione ideologica nei confronti di tutto ciò che rappresenta ricchezza e potere, provocando lotte di classe o populismi”.

Gesù traccia all’uomo la strada della salvezza attraverso la misericordia: “Gesù è l’unico e vero Redentore perché Lui è la salvezza, è la misericordia di Dio che viene incontro all’uomo e lo chiama a conversione, tiene conto delle necessità e delle esigenze più profonde delle persone e non lascia solo nessuno; è Lui che cambia il poco in tanto, ciò che manca in ciò che sovrabbonda.

Gesù è la misericordia di Dio per l’umanità. La misericordia, però, non è facile indulgenza né superficiale tolleranza, tantomeno indifferenza al male verso chi è caduto nel peccato e ha bisogno di risollevarsi; la Sua misericordia è forza che converte, purifica e rigenera”.

(Foto:  Patriarcato di Venezia)

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