Una vita da giacobino fino all’ultimo giorno

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«Papa Francesco ha appreso con dolore della scomparsa del suo amico, Eugenio Scalfari. Conserva con affetto la memoria degli incontri – e delle dense conversazioni sulle domande ultime dell’uomo – avute con lui nel corso degli anni e affida nella preghiera la sua anima al Signore, perché lo accolga e consoli quanti gli erano vicini», ha riferito il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. L’eroe della sinistra è stato fascista, radicale, socialista, condannò Calabresi, Leone, Craxi, Berlusconi. Se ne va nella festa della Bastiglia dopo aver sempre servito la ghigliottina rossa. Oltre al giornalismo, gli è riuscita bene anche la morte. Per il resto ha fatto danni. Adesso ha finito di fare danni al popolo italiano, che i Signore abbia pietà della sua anima!

Anche con i colloqui che erano iniziati nel 2013 sollecitati da Papa Francesco. Ma Scalfari interpretava e non riportava alla lettera suo pensiero, provocando diverse reazioni della Sala Stampa della Santa Sede («Come già in precedenza in una circostanza analoga, bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo “fra virgolette” le sue parole, è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite», dichiarò Padre Federico Lombardi, S.I. nel luglio 2014) [*]. Con il tempo rapporto si era affievolito.

A Eugenio Scalfari, oltre al giornalismo, è riuscita bene anche la morte. Per il resto ha fatto danni, ha aperto, lui sì, l’Italia come una scatola di tonno, tagliandone la tenera polpa con il grissino della pubblicità di Rio Mare, distribuendola agli amici e nutrendone il proprio ego. Per lui “Io” (titolo di un suo libro) era Dio. Ma fossimo stati al suo posto, avremmo avuto anche noi la tentazione di crederlo: (quasi) ogni ginocchio dinanzi a quest’uomo si è piegato. Ho avuto l’onore di frequentare Scalfaci tanti anni fa. Emanava una forza calamitante. Una luce. Mi illuminò. Poi si spostò, ed entrai nel suo tremendo e vendicativo cono d’ombra. Non mi monto la testa, non sono gran che tra i suoi scalpi: sono stato uno tra i tanti.

Ma che bella morte ha avuto Eugenio Scalfari! A 98 anni se l’è portato via dolcemente. Testimoniano le figlie che «La Signora» (così scrive repubblica.it) ha soffiato con delicatezza su quel lucignolo fumigante. Scalfari del resto non aveva paura della morte. Più probabile che fosse lei ad aver paura di lui che negli ultimi anni, avvicinandosi all’estrema soglia, aveva cominciato a esercitare non più per cambiare il mondo ma il cielo, ricostruendo a sua immagine persino l’aldilà e Dio stesso. Nel quale diceva di non credere, ma che deve avergli obbedito. Scalfari è deceduto infatti nel giorno che più gli somigliava, e che aveva eretto a fondamento di tutta la sua vita: il 14 luglio. Sarà mica un caso. E la festa della Rivoluzione Francese, anniversario della presa della Bastiglia. Quella data e quegli eventi segnarono la vittoria dei suoi alter ego intellettuali, Voltaire senz’altro, ma soprattutto Diderot. Ci sarebbe anche la ghigliottina, come lascito del 14 luglio. E diciamo che Scalfari si è preso la briga di usarla da provetto boia, contribuendo a scrivere la condanna a morte morale del Commissario Calabresi, definendolo «Commissario torturatore»: ciò che solo il 20 maggio 2017 – in risposta a un articolo di Vittorio Feltri – ha riconosciuto essere stato un “errore”, riuscendo nello stesso tempo a definire Libero «ciarpame»; in seguito L’Espresso – di cui era editore – assassinò la reputazione del Presidente Giovanni Leone, che si dimise e cadde in profonda depressione; il linciaggio di Craxi, che da anni aveva legato al personale palo della tortura di Repubblica.

Uomo per tutte le stagioni

«Libertino è una parola che ha molti significati. Ce n’è uno filosofico, uno politico, uno sessuale. Spesso non si incontrano i significati nella stessa persona. Io sono stato un libertino… complessivo», disse di sé.

Qui accontentiamoci del suo libertinaggio politico. Parte fascista. Per anni non ne ha fatto cenno. Infine trasformò questa sua appartenenza in un segno prepotente di “freschezza” giovanile. Toccò ad Antonio Socci, sull’Indipendente, infilare una serie di articoli nel 1992 in cui raccontò gli articoli che scriveva per Roma Fascista. Ritrovò nell’archivio di Stato la corrispondenza tra lui e Roberto Farinacci, e perché alla fine lo contrastò: «Quel ragazzo è un estremista». Insomma, ebbe rogne perché troppo fascista. Si stufò, se ne andò e la sfangò. Detto ciò, la sua anima, in conformità coi tempi, si spostò a sinistra, alla scuola dei banchieri azionisti e liberali. Partecipò infine alla fondazione del Partito radicale (1955). Fondato L’Espresso, con i soldi di Olivetti, ebbe la ventura di vedersene regalate le quote, diventando ricco, poi ricchissimo. Su quelle pagine prese di mira con Lino Jannuzzi il Generale De Lorenzo, accusandolo di aver tentato un golpe nel 1964. I due furono condannati per diffamazione a 17 mesi di carcere. Il dossier Mitrokhin ha rivelato quanto fasulle fossero le fonti, passate dalle mani dei sovietici. Ma non si dà la galera per un articolo. Però non è neppure bello trovare un rifugio da privilegiati nell’immunità parlamentare. Lui dice che furono Riccardo Lombardi e Pietro Nenni a procurargli il posto da deputato a Milano, altre fonti sostengono che a offrirgli il seggio fu Giacomo Mancini.

Per quattro anni sedette a Montecitorio, da deputato socialista. Quel periodo non è stato glorioso per quanto accaduto in aula, ma per la sua lite con un vigile urbano. La cronaca dei fatti è sul Corriere della Sera, a pagina 9, il 1° aprile. Titolo: «Ritirata la patente all’onorevole Scalfari. Il deputato del Psi preannuncia una denuncia contro il vigile urbano». Il 9 giugno il Corriere annuncia la decisione del Pretore di procedere al contrario per oltraggio a pubblico ufficiale. Che era successo? Scalfari aveva preteso di parcheggiare la Volkswagen nel posteggio riservato ai carabinieri, in Galleria delle Carrozze, il punto più comodo per accedere alla Stazione Centrale. Il vigile lo multa, gli ritira la patente perché scaduta anni prima. Secondo i testimoni il deputato sbraita: «Lei non ritira un bel niente, anzi sarebbe meglio facesse una cura ricostituente anziché fare contravvenzioni, perché lei non sa chi sono io! Sono l’onorevole Scalfari!» Per dindirindinal. Da tutta questa militanza socialista ha ricavato un vitalizio da 2300 euro mensili. Ma anche un odio personale contro Craxi, essendosi convinto fosse stato il giovane ed emergente Bettino a manovrare giornali e vigili contro di lui.

Questo spiega la campagna pro Berlinguer e pro De Mita, finché morto il primo, scaricò il secondo per Occhetto. Poi lavorò alla defenestrazione di Cossiga dal Quirinale, quindi a quella di Berlusconi da Palazzo Chigi onde spedirlo in carcere. Su questa faccenda ha insistito per vent’anni. Salvo rimpiangerlo un paio di anni fa, dicendo che lo aveva “sottovalutato”. Non credo riposerà in pace. Paradiso o no, Craxi gli rifilerà comunque uno sganassone.

Questo articolo è stato pubblicato oggi su Libero Quotidiano.

[*] «Il 14 luglio è morto a 98 anni Eugenio Scalfari, figura di indubbio rilievo nel panorama mediatico italiano. Co-fondatore (1955) e poi direttore del settimanale L’Espresso, fondatore (1976) e direttore fino al 1996 del quotidiano la Repubblica, Scalfari ha sempre ambito a influenzare, riuscendoci spesso, la politica della sinistra italiana. Era molto noto anche per i rapporti instaurati con Papa Francesco, che – come ha comunicato il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni – ha appreso “con dolore della scomparsa del suo amico, Eugenio Scalfari”, “conserva con affetto la memoria degli incontri – e delle dense conversazioni sulle domande ultime dell’uomo – avute con lui nel corso degli anni e affida nella preghiera la sua anima al Signore, perché lo accolga e consoli quanti gli erano vicini”. Restano nella memoria le interviste-conversazioni tra Francesco e Scalfari a partire dal 2013 e riferite dal “Fondatore” spesso in termini controversi. Di quest’ultimo tema Scalfari ha parlato per la prima volta il 21 novembre 2013 presso la Stampa estera di Roma, rispondendo dettagliatamente a una nostra domanda sui modi delle sue interviste [QUI][Giuseppe Rusconi].

Foto di copertina: Facebook, 15 gennaio 2016: «Annuntio vobis gaudium magnum habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum Eugenium Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Scalfari qui sibi nomen imposuit Atheus [Grazie all’amico Pino Pane per aver fornito la foto) – Nel suo intervento dal palco della Festa per i quarant’anni di Repubblica, il fondatore del “quotidiano di approfondimento” Eugenio Scalfari parla della sua amicizia con Papa Francesco e dice: “Papa Francesco mi ha chiesto di non convertirmi”: “Da ateo sono diventato amico con Papa Francesco. Non diventerò credente, vuole parlare con un ateo”. Dopo 20 anni di “pensionamento” continua ancora a “sorvegliare” il Direttore del “suo” giornale e ha avvisato, conversando con il suo successore e direttore uscente, di continuare a fare ciò con il direttore entrante, e se necessario, anche tirarlo le orecchie. Parlando di stile, altroché l’atteggiamento corretto e rispettoso verso il suo successore del predecessore del Papa regnante che ha ceduto i poteri temporali e spirituali, legislativi, esecutivi e giudiziari ad Atheus».

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