P. Criveller racconta la fede a Taiwan

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Un mese fa il segretario alla Difesa, Usa Lloyd Austin, aveva messo in guardia dalla crescente minaccia cinese nei confronti di Taiwan in un discorso allo Shangri-La Dialogue, per cui la Cina ha cambiato la sua politica nei confronti di Taipei, mentre gli Stati Uniti rimangono ancorati al Taiwan Relations Act, che li impegna a mantenere la capacità militare dell’isola con la fornitura di armi difensive.

Mentre nei giorni scorsi in un convegno a Roma p. Gianni Criveller, missionario e sinologo del Pime, ha ricordato gli 80 anni delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Cina (Taiwan) e la Santa Sede: “Nel 1624 gli olandesi occuparono la parte meridionale di Taiwan. Tre anni dopo Georgius Candidius, un funzionario e missionario olandese, estese un rapporto sulla popolazione locale: c’erano solo poche centinaia di cinesi, pescatori provenienti dalla provincia di Fujian. La gran parte della gente apparteneva a numerosi gruppi etnici.

Gli spagnoli arrivarono nel nord di Taiwan nel 1626. La chiamarono Formosa, l’isola bella, il nome coloniale con il quale Taiwan fu conosciuta in occidente. Arrivarono anche i missionari domenicani della provincia del Santo Rosario, che già operavano nelle Filippine e in Giappone: due spagnoli e 11 giapponesi. Costruirono la prima chiesa e fondarono comunità a Jilong e Danshui, nell’estremo nord”.

E  nel finire del XVII secolo la Cina conquistò Taiwan, esercitando il dominio per quasi due secoli: “Taiwan fu ceduta ai giapponesi nel 1895 a seguito del trattato di Shimonoseki. Nel breve intermezzo tra la firma e la presa di possesso venne dichiarata la Repubblica di Formosa, la prima dell’Asia. Nel 1945 Taiwan fu restituita alla Cina in seguito alla sconfitta giapponese nella seconda guerra mondiale”.

In questo tempo ci fu la ripresa della presenza cattolica nell’Isola: “La storia della presenza cattolica era, intanto, ripresa nel 1859, grazie ancora ai domenicani spagnoli, che operavano nella provincia di Fujian da due secoli. Da Xiamen i missionari attraversarono lo stretto e si stabilirono a Kaohsiung, città principale nel sud dell’isola. Per novanta anni, fino all’arrivo di Jiang Jieshi (Chiang Kai Shek) nel 1949, i domenicani furono i soli missionari cattolici sull’isola.

L’opera dei domenicani non fu facile: la composizione etnica, sociale e culturale dell’isola era molto complessa. Le adesioni al cattolicesimo erano rare. Alla fine dell’800 i cattolici erano poco più di 1000, concentrati in pochi villaggi dove le comunità vivevano isolate dal contesto”.

Durante la conferenza p. Criveller ha citato episodi particolari: “Particolare menzione merita il piccolo villaggio di Wanchin, a 60 chilometri a sud di Kaohsiung. L’intero villaggio aderì al cattolicesimo a partire dagli anni 60 dell’Ottocento e conservò la fede nonostante l’ostilità da parte delle autorità e dei villaggi confinanti. Ancora oggi è un luogo speciale. A Wanchin la pratica della fede rimane forte e qui sono nate molte vocazioni religiose…

Ma nel resto di Taiwan la Chiesa crebbe lentamente. Il primo seminario fu aperto solo nel 1920. La presenza giapponese pose i cristiani in una posizione difficile. Per appianare i rapporti con il governo giapponese, nel 1912 Taiwan divenne Prefettura apostolica autonoma, di lingua giapponese, staccata da Xiamen”.

La fede cristiana ha trovato difficoltà nella trasmissione per via dei ‘riti cinesi’ del cristianesimo: “I domenicani fecero ogni sforzo per attirare i Taiwanesi alla fede. Ma erano pur sempre i fieri avversari dei Riti cinesi.

E ciò accrebbe la difficoltà dell’adesione al Vangelo di una popolazione rurale molto interconnessa con la terra, le sepolture, gli antenati, la famiglia e le tavolette con i nomi dei defunti. La situazione cambiò solo a partire dal secondo dopoguerra. Nel 1935 e nel 1939 la Santa Sede ribaltò la decisione di Benedetto XIV del 1742, dichiarando che i riti tributati a Confucio e agli antenati erano ammissibili”.

Nel frattempo a Taiwan si ebbero la riforma agraria e l’industrializzazione, che emancipò il popolo di Taiwan, consentendo alla Santa Sede di stabilire relazioni diplomatiche: “La Santa Sede e la Repubblica di Cina hanno stabilito le relazioni diplomatiche nel 1942.

Il secondo ambasciatore cinese presso il Vaticano, siamo nel 1946, fu il noto giurista, studioso e politico cattolico John Wu. Si convertì al cattolicesimo grazie all’amicizia con Nicola Maestrini, missionario del Pime a Hong Kong. John Wu è l’autore di ‘La scienza dell’amore’, un bellissimo saggio dedicato a Teresa di Lisieux, dove Teresa viene descritta come sintesi dell’etica confuciana e della mistica taoista”.

Però con la rivoluzione cinese del 1949 le vicende si complicano: “A causa degli sconvolgimenti politici in Cina l’inter-nunzio Antonio Riberi fu espulso da Pechino e la nunziatura presso la Repubblica di Cina nel 1951 si trasferì a Taipei. Riberi visitò anche Hong Kong, ma la città era allora una colonia britannica, e non poteva essere la sede di una presenza diplomatica. I rapporti siglati da Pio XII con la Repubblica di Cina erano, appunto, rapporti con la Cina: la Santa Sede scelse di rimanere presente in territorio cinese.

Nel 1970 Paolo VI visitò Hong Kong e inviò un inascoltato appello alle autorità della Repubblica Popolare Cinese. L’anno successivo il papa ridusse lo status diplomatico delle relazioni inviando a Taipei un incaricato d’affari. Paolo VI volle mostrare la disponibilità della Santa Sede verso la Cina e nessun papa ha mai visitato Taiwan”.

E negli ultimi 30 anni la Chiesa imprime un nuovo impulso per i cristiani taiwanesi: “Questa situazione si è posto rimedio negli ultimi 30 anni, quando la lingua taiwanese è stata adottata nella liturgia e tutti i vescovi vengono scelti tra la popolazione locale, di qualsiasi gruppo etnico. Negli anni Settanta, grazie allo studio teologico dell’università cattolica di Fujen (Taipei), c’erano state proposte di adattamento liturgico: lettura di brani dai classici sapienziali cinesi nelle celebrazioni; rappresentazione delle immagini sacre in stile cinese”.

Però sono molte ancora le sfide per la Chiesa: “Rimangono tuttavia le sfide dell’evangelizzazione nei tempi della modernità e a fronte di una società in grande trasformazione. Tanto si è fatto per preservare l’identità delle popolazioni non cinesi delle montagne.

Questi gruppi, di circa 200.000 persone, ognuno con una propria lingua e cultura, si sono rivelati assai disponibili ad accogliere il Vangelo. Il futuro di queste popolazioni è alquanto incerto. I giovani lasciano le montagne per riversarsi nelle zone industriali lungo la costa, e facilmente smarriscono la loro identità e fede”.

Anche a Taiwan la Chiesa deve affrontare la sfida dell’indifferenza: “Ora le adesioni al cattolicesimo sono diventate rare. L’incontro con una persona interessata al cristianesimo è un caso felice. Il cristianesimo è ancora visto da molti estraneo al mondo cinese, e una realtà complicata da capire e da praticare. Ma è pur vero che si è fatto uno sforzo notevole verso la società e i giovani. Non si mira al successo numerico ma alla testimonianza credibile del vangelo, nella dinamica evangelica del piccolo gregge”.

Per p. Criveller la Chiesa a Taiwan è un bell’esempio: “Termino con questo pensiero: le circostanze storiche hanno obbligato Taiwan e la Santa Sede a camminare insieme tanti anni. Non si può considerare Taiwan come un mero retaggio storico del quale ci si può liberare.

Taiwan è piccola, ma la sua vicenda ha un grande significato: qui la Chiesa è libera e in pace. C’è libertà, pluralismo, dialogo tra credenti di diverse fedi e democrazia. Non è poco in questo tempo dove si ama così poco la libertà, il dialogo e la democrazia”.

(Foto: Asia News)

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